di Maurizio Monti
Questo articolo è uscito in originale sulla rivista Molini Magazine numero di ottobre 2016, per gentile concessione dell' autore pubblichiamo.
Collezione di circa 3000 ampolle contenenti cariossidi di frumento, relative alle varietà di grano costituite da Strampelli
tra il 1904 e il 1940. Fonte CRA-SVG.
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La superficie coltivata scese a 3 milioni di ettari all’inizio degli anni Sessanta e a 1,5 milioni nel decennio successivo. I forti incrementi delle rese unitarie avevano, per decenni, compensato le contrazioni delle superfici. Nell’ultimo quarantennio la diminuzione delle aree a grano è continuata a ritmi sostenuti, stabilizzandosi infine attorno ai 600 mila ettari. Il panorama varietale si è modificato negli anni Settanta, quando alle varietà con buona attitudine panificatoria - come Marzotto e Mec - si affiancarono Salmone, Manital e Golia, che presentavano caratteristiche qualitative confrontabili con quelle dei grani di forza di importazione. Il lavoro di miglioramento genetico condotto nel Paese ha prodotto varietà di successo come Irnerio, Mec, Pandas, Centauro, Mieti, Serio, che negli anni ebbero diffusioni tra il 15 e il 36% dell’area investita. Le tecniche di analisi delle proteine di riserva - sviluppate a partire dagli anni Ottanta e ampiamente utilizzate dai selezionatori italiani - hanno poi consentito di integrare e razionalizzare il lavoro di miglioramento genetico per la qualità. Negli anni recenti si assiste alla graduale diffusione di varietà francesi, dotate di una potenzialità produttiva superiore e con caratteristiche qualitative accettabili. Nelle aree più vocate del Centro e del Nord d’Italia si intensifica però la coltura grazie all’adozione della difesa fitosanitaria e al maggior impiego di azoto, in qualche caso anche dell’irrigazione. Aumentano così le rese che, nei casi più favorevoli, arrivano tra le 8 e le 9 t/ha. Alcuni agricoltori superano, negli appezzamenti migliori, la soglia delle 10 tonnellate per ettaro»
L’importanza della genetica
La figura di Strampelli mi ha sempre appassionato perché, con i pochi mezzi e le scarse conoscenze tecniche di quegli anni, è riuscito a migliorare le rese per ettaro delle sue varietà di frumento sfruttando il miglioramento genetico e le buone prassi di lavorazione dei terreni. Per merito suo, infatti, si riuscì a produrre sufficiente materia prima per sfamare il Paese, reduce da una guerra disastrosa. E ciò avvenne nonostante le continue contrazioni dei terreni coltivati a cereali. Strampelli è considerato il precursore della “rivoluzione verde”. Fu un grande tecnico e un vero innovatore: senza le sue conoscenze e intuizioni, senza il suo lavoro - mirato a far sì che le spighe migliorassero la resistenza alle ruggini e alle malattie, a ridurre l’altezza dei fusti della pianta, ad anticipare la spigatura e la maturazione dei grani - certi risultati non sarebbero mai arrivati. I suoi studi sono stati la base del miglioramento genetico successivo, che ha portato alla creazione delle varietà moderne: i frumenti che maciniamo oggi, grani capaci di soddisfare le esigenze dei trasformatori di farine, dell’industria molitoria e della pasta.
I tempi moderni
La mia curiosità di capire meglio la figura e il lavoro di questo straordinario genetista è cresciuta di recente, quando nei molini sono aumentate le richieste per farine di “cereali antichi”: la semola “Senatore Cappelli”, varietà di grano di Nazareno Strampelli, è tra le più gettonate. In internet mi sono imbattuto nel blog agrariansciences.blogspot.it e su un post di Sergio Salvi, laureato in Scienze Biologiche presso l’Università di Camerino, autore del libro su Strampelli: “L’uomo che voleva nutrire il mondo”. Titolo del post: “Povero Nazzareno Strampelli, prigioniero del grano Cappelli” (qui). Dopo la lettura ho approfondito con l’autore alcuni temi. Online si legge: «Il Cappelli è uno dei risultati meno importanti, scientificamente parlando, ottenuti da Strampelli nel corso della sua attività di miglioramento genetico del frumento. Possiamo azzardare che il lavoro svolto da Strampelli sul frumento duro sia stato quasi un “incidente di percorso”, visto che le varietà di duro costituite dal genetista furono appena una quindicina. Al grano Cappelli si deve riconoscere un ruolo importante nel miglioramento genetico del frumento duro italiano, poiché le varietà prodotte successivamente derivano quasi tutte da questa, ma Strampelli è stato soprattutto un breeder del frumento tenero. A testimonianza di questo prevalente impegno parlano le 80 varietà di grano tenero. Il vero problema è che il Cappelli è l’unica varietà che è sopravvissuta a tutto il resto del lavoro compiuto dall’agronomo marchigiano, quindi si è portati a credere che oggi esso rappresenti l’unico motivo valido per ricordare il suo costitutore». La cosa che più dispiace all’autore del post è che «accostando Strampelli unicamente al grano duro Cappelli - la meno innovativa delle sue creazioni - si è portati ad esaltare la tradizione, ovvero il miglioramento fatto senza nemmeno quel minimo d’innovazione che era dato unicamente dall’ibridazione, ossia dall’incrocio inter-varietale o intergenerico». In altre parole Strampelli, il più innovatore, capace e competente genetista italiano di quei tempi, viene ricordato come un mentore della tradizione e del modo di operare “antico”.
Antico è meglio?
Sempre sul blog Salvi scrive: «Ci risiamo: antico è meglio, quindi viva l’antico, viva il grano duro Senatore Cappelli e il suo creatore vecchia maniera Nazareno Strampelli. L’importante è che passi il messaggio che il Cappelli è il top, in quanto dotato di requisiti che solo i buoni, vecchi grani di una volta possedevano. Invece, non è considerato importante ricordare che l’agronomo, delle vecchie varietà di frumento, aveva una pessima concezione, derivante dagli innumerevoli insuccessi registrati all’inizio della sua attività, quando incrociò inutilmente il Rieti con tutte le altre varietà tradizionali dell’epoca, riuscendo a ricavarne un bel fico secco «.
Delle vecchie varietà tradizionali di frumento, Nazareno Strampelli, ormai anziano, ebbe a scrivere: “Le vecchie varietà di grano, che hanno il merito di essere molto diversificate per effetto dell’ambiente in cui erano state coltivate per secoli, presentavano delle caratteristiche così peculiari da poter essere prese poco in considerazione per le migliorie in atto e per i nuovi raccolti. La nuova agricoltura necessitava di nuovi tipi che vennero creati appositamente e con cognizione di causa per i nuovi obiettivi prefissati (più alta resistenza alle malattie, allo stoccaggio e alla mancanza di maturazione) rendendo possibile una forte intensificazione della coltura (superfici di lavoro senza difetti, somministrazione di concimi chimici e manutenzione più scrupolosa) e garantendo raccolti più consistenti”». E Salvi sottolinea: «Chi continua ad esaltare le vecchie varietà, compreso il grano Cappelli, dovrebbe fare tesoro del pensiero espresso dal ricercatore marchigiano. Invece, oggi molti si sentono autorizzati a parlare - spesso a vanvera - di Strampelli e del grano Cappelli, mostrando spesso disprezzo nei confronti di chi, puntando sull’innovazione proprio come fece a suo tempo l’agronomo, tenta di trovare la via della nuova “rivoluzione verde” che dovrà salvare, in un futuro ormai imminente, la popolazione mondiale da una progressiva penuria di cibo. Un problema serio, che non può trovare adeguata risposta nei grani antichi e nel ritorno al passato». Trovo questo articolo di una chiarezza e correttezza tecnica inconsueta, scritto da una persona preparata in materia che non teme di mettersi contro l’opinione di molti. Personalmente, pur riconoscendo la dignità di ogni prodotto e il suo diritto di esistere sul mercato, soprattutto di nicchia, ritengo che se un grano “antico” non è più utilizzato, almeno un motivo ci sarà: scarsa produttività, facile germinabilità, cattiva resistenza alle micotossine, malattie, ruggini.
No alla macinazione “fai da te”
Bisogna poi diffondere il messaggio che il “fai da te” è pericoloso: macinare in casa il grano non garantisce il rispetto di tutte le norme igienico-sanitarie garantite, invece, nei nostri impianti Indipendentemente dalle varietà “antiche” o “moderne”, senza una adeguata pulitura delle cariossidi, capace di eliminare polvere, semi estranei, chicchi striminziti, malati, fusariati, di ridurre dal 30 al 60% le micotossine eventualmente presenti (Don, in particolare), le muffe e i lieviti, si rischia di ottenere cibi poco salubri. Altro post che consiglio di leggere nello stesso blog, sempre a firma di Sergio Salvi, è: “Pasta e pane di grano duro Senatore Cappelli: a quando la prima frode?”. L’autore sottolinea che il quantitativo di granella certificata è molto probabilmente insufficiente a garantire i volumi di pane, pasta e prodotti finiti attualmente sul mercato a prezzi decisamente elevati. Concludo sottolineando che il più grande genetista italiano del Novecento meriterebbe di essere maggiormente ricordato come il padre di una “varietà antica” prodotta “da un agronomo vecchia maniera”. Se questo non si può pretendere dal consumatore generico del secondo millennio, sarebbe auspicabile, invece, che i tecnici della filiera del grano diffondessero con la giustizia che merita l’opera di Strampelli.
Maurizio Monti
Esperto in tecniche
molitorie, settore agroalimentare. E' stato Presidente dell
ANTIM (Associazione Nazionale Tecnici Industria Molitoria italiana)
dal 2007 al 2015.
Grani antichi e moderni: un paradigma o una moda - "Le saragolle"
Venerdi 28, al porto di Ancona, ci sarà la manifestazione di protesta dei coltivatori a difesa del grano italiano: http://www.corriere.it/economia/16_ottobre_24/coldiretti-in-piazza-difendere-grano-italiano-7aadacbe-99f4-11e6-939e-ec3a0eea054f.shtml
RispondiEliminaLa solita demagogica manifestazione della Coldiretti, perchè non dice che nei consorzi agrari controllati da questo sindacato si vendono mangimi Ogm tanto osteggiati...
EliminaQuale grano difendono? Quello che non produciamo e che se non importassimo a qualcuno non resterebbe che mangiar polenta?
RispondiEliminaTempo fa lessi di manifestazioni della Coldiretti nel meridione contro i grani costituiti da Strampelli perché “distruttori” delle varietà locali, naturalmente la Codiretti “ha sempre ragione” ieri come oggi, basta indossare le pettorine gialle made un China.
RispondiEliminaOh, non scambiatemi per un supporter di Coldiretti... :) !
RispondiEliminaLa manifestazione è a difesa dei produttori italiani e del grano italiano pagato un fico secco. Mi metto nei panni di chi coltiva e produce e non ci guadagna...
Sergio
RispondiEliminaIl produttore italiano potrebbe anche produrre di più all'ettaro (se nelle prove sperimentali si realizzano produzioni medie di 50/55 q/ha di grano duro noi non possiamo fermarci a 30, almeno dovremmo arrivare a 40 come media nazionale). Non solo, ma gli agricoltori dimenticano che facciamo parte dell'UE, abbiamo aderito all'Euro e che abbiamo firmato le regole del WTO.
Alcuni dicono che non avremmo dovuto fare nulla di tutto questo, ma io credo che se non l'avessimo fatto ora saremmo messi peggio di qualche paese nordafricano.
Gli agricoltori italiani devono diventare più professionali, prima lo fanno più guadagneranno e meglio starà il Paese. Nella mia vita professionale non ne ho conosciuti più di un 15/20% di veramente professionali, tutti gli altri non meritano neppure la qualifica professionale.
Ritiene invece che la ricerca e la sperimentazione siano sufficienti? E il lavoro di selezione varietale? In altri paesi tipo la Francia esistono enti come le camere dell'agricoltura per raccordare sperimentazione e aziende, ho l'impressione che da noi la scienza, quando si fa, arriva raramente in azienda... Andrej Drosghig
EliminaAnonimo
RispondiEliminaSe la domanda è rivolta a me penso che un paese come l'Italia che non ha un'industria sementiera non possa dire di poter fare agricoltura a lungo, infatti si rincorrono le "varietà antiche", anche se ora sono un falso storico. La ricerca è cosa troppo seria per farla fare alle nostre università attuali e soprattutto a un buon numero di professori che attualmente le popolano. Gli istituti tematici (cereakicotura, maisicoltura, bieticoltura ecc. ecc. sono solo luoghi per impiegare portinai senza più neanche la portineria. Molte loro sedi sono in vendita per fare cassa. Il messaggio tecnico non arriva in azienda perchè sono troppo poche le aziende che pressano per avere risposte tecniche aggiornate e quindi i ricercatori fanno altro e se dovessero essere incaricati di qualcosa non vedo come possano applicarvisi... Conosco la realtà agricola francese da 40 anni ed ora che anche loro si lamentano ed allora dico loro: "chiamatevi ancora fortunati che non siete in Italia". Il mio non è disfattismo è che l'agricoltura è sempre più considerata non come luogo per produrre cibo ma luogo per godimento ludico degli inurbati.
Sì.Grazie della risposta. Sono completamente d'accordo con lei. Io personalmente credo nel biologico ma credo anche che l'assenza di ricerca e sperimentazione renda il bio italiano meno credibile di quello di altri Paesi. Sono stato poco in Francia (Erasmus) e mi sono reso conto che già l'approccio all'università è tutta un'altra cosa. Non ho conosciuto molto il mondo agricolo ma mi è sembrato tutto molto più in fermento, con meno tabù. Andrej
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