martedì 20 settembre 2016

Agricoltura pomo della discordia tra i partiti siciliani - A Palermo la conferenza agricola regionale

 di Antonio Saltini e Francesco Marino

 Bossoli di lupara sul cancello di un agrumeto di Lentini. 
Foto A. Saltini 1980. Archivio Nuova terra antica.

Qualche lettore ci ha chiesto di quali informazioni disponesse il prof. Saltini sulla Conferenza sull’agricoltura siciliana, svoltasi a Palermo, a Villa Igiea, nella prima settimana di febbraio del 1979 nella quale, secondo una didascalia al suo più recente articolo, tanto Pio La Torre, allora responsabile del settore agricoltura del Pci (nei mesi successivi segretario regionale in Sicilia) e Piersanti Mattarella, presedente della Giunta regionale, si sarebbero, entrambi, condannati a morte. Abbiamo trasmesso la domanda all’antico cronista, che ci ha riferito che quella a Palermo fu la sua prima missione di cronista per “Terra e Vita”, dove era stato assunto da un anno. Era anche la sua prima missione in Sicilia, della cui agricoltura non conosceva ancora nulla. Quanto Saltini ricorda con lo stupore di allora corrisponde, racconta, all’immensa tensione che si percepiva in sala durante la relazione di Mattarella, che lo incantò  per le finezze di autentico erede del greco Demostene.
Confida che non capiva perché discorso tanto alato, argomentativo, pacato, potesse suscitare l’eccitazione che si percepiva in sala come un’immane carica elettrica sul punto di scaricarsi. Confida altresì che, alla sua prima missione, non conosceva la Sicilia ed i suoi usi, e non sapeva che l’esplicita accusa di corruzione rivolta da La Torre all’assessore Aleppo, avrebbe dovuto suscitare la focosa reazione del Presidente a difesa del proprio Assessore, verosimilmente personaggio di spicco del clan andreottiano di Palermo. Invece Piersanti Mattarella riconobbe la verità di quanto aveva proclamato il dirigente comunista: la legalità dei conti avrebbe dovuto imporsi anche nelle pratiche dell’Assessorato agricoltura, l’implicito riconoscimento che quello fosse, invece, un covo di malavita: un’accusa che a Palermo si doveva pagare con la lupara (ma questo Saltini non era, allora, in grado di capirlo: purtroppo l’attesa di capire non sarebbe stata interminabile) A ricordare, nel primo reportage di un giovane giornalista, una delle pagine più tragiche della storia repubblicana, riportiamo l’articolo che comparve, a fine settimana, sul n. 17 di Terra e Vita, 7 febbraio 1979.


A Palermo la conferenza agricola regionale Agricoltura pomo della discordia tra i partiti siciliani

Acceso dibattito sul decentramento delle funzioni amministrative. Duro attacco comunista al clientelismo della gestione democristiana. L’arabesco oratorio del presidente della regione Mattarella per la ricomposizione dei contrasti.Si è svolta a Palermo la conferenza agricola regionale, che la Giunta aveva già indetto per i primi giorni di gennaio, ma che i contrasti tra le forze che sostengono la maggioranza di governo a Palazzo dei Normanni aveva imposto allora di rimandare.
Il programma prevedeva tre giorni di lavori: un’introduzione, una giornata di discussione per commissioni, una per i problemi economici generali, una per la situazione dei settori produttivi, una sulla ristrutturazione dell’apparato istituzionale, al terzo giorno il dibattito e le conclusioni. Al di là dei temi in discussione, e di un confronto che toccava ripetutamente gli apici del più raro virtuosismo dialettico, il disagio per trent’anni di politica agraria non esente da smagliature e da insuccessi, e il braccio di ferro tra Democrazia cristiana e Partito comunista, che, venuta meno a Roma l’intesa su cui si reggeva il Governo Andreotti, si fronteggiano anche nell’Isola con durezza rinnovata.
Creata dalla stessa Carta Costituzionale nel novero di quelle a statuto speciale, la Regione siciliana assumeva la responsabilità dell’agricoltura dell’Isola fino dal 1948. In un trentennio, la fisionomia della Trinacria agricola è profondamente mutato: la Sicilia annovera oggi tra le proprie realtà agricole alcune delle esperienze più evolute di tutto il Paese: aziende d’avanguardia operanti nel settore degli agrumi e degli ortaggi, dell’allevamento e dei cereali. Le realizzazione tecnologiche ed economiche più avanzate non nascondono, tuttavia, le fratture di un tessuto produttivo frammentario e disorganico, l’isolamento tecnico e mercantile in cui opera la stragrande maggioranza delle piccole aziende contadine. Né nascondono le conseguenze drammatiche delle spinte incontrollate che nello stesso trentennio hanno dilacerato il tessuto agricolo regionale: l’impoverimento delle aree interne, la sottrazione all’agricoltura, da parte di uno sviluppo edilizio svoltosi nel segno dell’anarchia, di una quota imponente delle aree irrigue di più elevata fertilità.
Secondo le regole antiche dell’alchimia della vita politica isolana, l’analisi degli insuccessi della politica agricola regionale non costituiva tema iscritto all’ordine del giorno dell’assise regionale: il contrasto tra le parti si accendeva, invece, su un tema squisitamente formale, quello del decentramento dei poteri regionali di intervento tramite deleghe ai comuni e ai consorzi di comuni.
Per condurre il proprio attacco alla politica agricola regionale erano gli stessi esperti del P.C.I. a scegliere il terreno apparentemente anodino dell’apparato istituzionale. E sullo stesso tema li contrattaccavano i rappresentanti democristiani, con impeto proporzionale all’entità reale, al di là delle forme, della posta in gioco: il potere di disporre dei finanziamenti nelle campagne. In una regione nel cui bilancio le disponibilità di spesa in agricoltura costituiscono una mole imponente di denaro, l’interesse per il suo controllo non può non giustificare la passione giuridica con cui le più alte autorità politiche regionali si gettavano nella disputa, al secondo giorno della conferenza, fino a notte inoltrata, confortando, col peso del proprio intervento, le sottigliezze esegetiche degli esperti rispettivamente delegati ai lavori della commissione istituzionale.
Tanta passione per i sottili distinguo giuridici avrebbe potuto restare, tuttavia, incomprensibile allo spettatore inesperto di un rituale politico che affonda le proprie radici nella più genuina tradizione greco-bizantina, se uno spiraglio sui termini reali dello scontro in atto non lo avesse aperto, con un intervento che infrangeva il contrappunto dei coristi in dissonanza, il comunista Pio la Torre. Con una durezza che anche i comunisti ritrovano, orami, solo quando si sentono ricacciati lontano dalla stanza dei bottoni, il responsabile dell’Ufficio agrario del P.C.I. proclamava che nella condotta della politica agraria della Regione si riscontra una costante che ne pregiudica tutto il contesto: la volontà di dare tutto a pochissimi, e niente alla grande massa dei piccoli e dei piccolissimi. I pochi che beneficiano delle provvidenze regionali costituiscono una casta, diceva La Torre, legata al potere regionale da legami clientelari: la rimozione dei suoi privilegi è la prima condizione, insisteva il parlamentare comunista, per il varo di una politica regionale capace di promuovere lo sviluppo della totalità delle aziende agricole della Regione.
Era un fendente vibrato allo scoperto alla tradizione amministrativa democristiana: il suo destinatario diretto, spiegano gli esegeti delle cose politiche isolane, doveva reputarsi l’assessore all’agricoltura Aleppo, che con la propria singolare possessività per ciascuna pratica di mutuo o di contributo si sovrapporrebbe, si lamenta unanimemente, anche al giudizio dei funzionari regionali, mancando peraltro, per la stessa assiduità al controllo del lavoro dei propri subalterni, anche a quegli appuntamenti romani cui gli assessori sono chiamati per coordinare al centro le linee ispiratrici della politica regionale.
Il sibilo della sciabolata comunista si perdeva, tuttavia, tra le olimpiche colonne dell’augusta sala che ospitava i lavori assembleari: il sottosegretario Zurlo e l’onorevole Bortolani, presidente della Commissione agricoltura della Camera, rasserenavano l’atmosfera portando le proprie parole di rincuoramento sul futuro agricolo del Paese, i propri auspici e l’assicurazione della solidarietà della Democrazia cristiana al grande impegno di sviluppo agricolo sostenuto dal Partito nell’Isola. Il presidente della Regione Mattarella concludeva con un’allocuzione che incantava i presenti per la sottigliezza dei concetti e per la suadente eleganza dell’eloquio: attribuendo le più gravi delle disgrazie agricole dell’Isola alla politica CEE, Mattarella proclamava la necessità di una revisione immediata e radicale: un’evidente mano protesa a Pio la Torre, che di quella revisione è sempre stato apostolo fervente.
Senza nulla replicare, tuttavia, alla sostanza delle recriminazioni del parlamentare comunista, il presidente della Regione siciliana riportava il confronto al terreno della disputa giuridica della sera precedente, proclamando che il progresso richiede apertura, coraggio, lungimiranza, affermava che le istituzioni regionali debbono potersi adeguare ai tempi: non sarà la D.C., sottolineava Mattarella, a opporsi al processo della loro evoluzione. Nulla possiamo dire, ribadiva tuttavia con calore il presidente della Regione, su ciò che dovrà essere oggetto della nostra azione rinnovatrice: tutto dovrà essere sottoposto a esame approfondito, a dialogo, a confronto, e quello che risulterà essere necessario cambiare verrà cambiato, senza cadere negli eccessi, evitando, insieme, di arrestarsi nel difetto.L’essenziale, concludeva il dottor Mattarella, è che questo conferenza sia l’inizio di una riflessione che porti a identificare le urgenze, così che poi si possa passare a realizzarle con sollecitudine. Essa dovrà costituire, cioè, l’avvio di un processo di grande significato storico: il passaggio ad un’intensa fase operativa.
La Sicilia è, infatti, una delle uniche tre regioni a non avere ancora recepito le direttive comunitarie, è una delle ultime a non aver approntato i criteri di ripartizione dei fondi dello stralcio ’78 del Quadrifoglio. Dopo trent’anni di riflessione il lancio operativo dovrà rifulgere per tempismo, lungimiranza, scatto.



Antonio Saltini 

Docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e Vita. E' autore della Storia delle Scienze Agrarie opera in 7 volumi.  www.itempidellaterra.com (qui).






Francesco Marino
Agronomo e Zootecnico, Presidente dell'Associazione AgronomiperlaTerrA e di Copagri Toscana, organizzazione Sindacale che tutela gli interessi della aziende agricole aderanti all' UGC Cisl, UIMEC Uil e UCI.  E' responsabile del Blog Agrarian Sciences.


2 commenti:

  1. Interessante prospettiva. Il Fatto Quotidiano, approfondendo in occasione dell'elezione del Presidente Mattarella, mi par non facesse cenno a questa ipotesi Andrej

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  2. Gentile Andrej, grazie per l' apprezzamento, approfitto per dirle che se vuole che il suo nome compaia basta inserirlo nella tendina Nome/URL.

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