di Alberto Gudorzi
Dunque
l’Inghilterra esce dall’Europa. Ma gli Stati che si professano
europeisti sono diversi, certamente no, molti ne parlano a favore,
perché non permettano ai loro cittadini di esprimersi? Non possiamo
negare lo iato tra attese dei cittadini e istituzioni comunitarie. In
Europa giungono solo le istanze degli egoismi nazionali e si prendono
le decisioni solo in funzione della politica interna di ciascun
paese. Ad esempio possiamo permetterci di mandare a Strasburgo dei
deputati che decidono in funzione delle deviazioni mentali
dell’opinione pubblica che evidenzieremo sotto o unicamente
guardando al consenso di cittadini male informati e ipocondriaci?
Possiamo permetterci dei commissari che di fronte all’ignavia degli
Stati membri sono disposti a compromessi sempre al ribasso minando
sempre più la credibilità delle istituzioni europee?
Non
ho le competenze per addentrarmi in una analisi sociopolitica
completa dei mali dell’UE, ma da conoscitore dell’agricoltura
posso giudicarla su come si affrontano certi problemi che la
interessano. Sono conscio che le decisioni su OGM e gliphosate non
siano basilari per l’esistenza dell’UE, ma il modo in cui vengono
assunte è il termometro di cosa non funziona nell’UE e che
potrebbe a mio avviso provocate altrettanti “FRexit” o “ITexit”
ecc. Per farlo però parto da un rapporto redatto per l’Accademia
della tecnologia francese dal fisico Etienne Klein e dal sociologo
Gérard Bronner dal titolo “UNA
SOCIETA’ MALATA DALLA PAURA DEL RISCHIO!”. In tale scritto si
dice in sostanza che la nostra percezione dei rischi sanitari o di
quelli generati dalla tecnoscienza è falsata da molte visioni
distorte. La “rischiofobia” è la madre del principio di
precauzione che ha pervaso le nostre società, al punto da frenarne
il progresso. Ci assumiamo rischi enormi facendo di tutto per non
assumerne!
I due autori partono dall’analisi dei presunti rischi delle vaccinazioni e osservano che da un’inchiesta del 2013 risulta che il 38,2% dei francesi esprimono parere sfavorevole alle vaccinazioni, quando appena 10 anni prima era solo l’8,5% ad essere contrario alle vaccinazioni. Eppure nessun fatto nuovo ha potuto supportare questa aumento di paura verso una pratica tanto salutare. Essi continuano dicendo che esiste un rapporto ambivalente con la scienza e il Prof. Bronner è un buon conoscitore dell’instaurarsi di queste paure spesso irrazionali e di come pervadono la collettività. Egli infatti dice che: “La percezione del rischio risulta sempre da un incrocio tra invarianti mentali e variabili socioculturali”. Queste ultime fanno si che rischi uguali non vengano considerati nello stesso modo in tutte le collettività ed in tutte le epoche.Tuttavia sono molto più importanti gli invarianti mentali perché sono questi “tramite” cognitivi che ci impediscono di farci un’idea obiettiva del rischio reale che corriamo. Il nostro cervello è fatto per sovrastimare con un fattore da 10 a 15 i rischi che presentano sia un bassissima probabilità di capitare sia conseguenze modeste se gli eventi dovessero realizzarsi. Questo effetto è il frutto delle ricerche del pioniere della neuroeconomia, il professore al MIT Drazen Prelec e molti dei rischi tecnologici rientrano in questa categoria. Un esempio? Allorchè il grande acceleratore del CERN si è lanciato nella ricerca del bosone di Higgs sono stati depositati due reclami presso i tribunali, con la motivazione che questo dispendio energetico rischiava di provocare un “mini-buconero” e cioè un avvenimento dalle conseguenze apocalittiche, ma con probabilità infinitesimale di realizzarsi.
Un altro aspetto ben conosciuto dagli specialisti di psicologia cognitiva concerne il rischio ad effetto soglia e qui ancora le tecnoscienze ci offrono numerosi esempi. Come dice sempre il sociologo Bronner, il cervello umano ha molte difficoltà a riflettere correttamente su questo tipo di rischio; egli percepisce una continuità laddove in realtà vi è discontinuità e a dimostrazione cita l’esempio delle antenne e al rischio dei campi elettromagnetici per le popolazioni interessate. Ebbene benché è dimostrato che il pericolo non c’era in quanto i campi elettromagnetici si diluiscono velocemente con la distanza dalla sorgente, la percezione del rischio e l’inquietudine conseguente non si dissipana in quanto gli interessati pensano che anche se situati a conveniente distanza l’effetto non si annulli e che un’esposizione prolungata possa così creare un rischio da non sottovalutare. Anche l’approccio razionale fondato sulla valutazione, la più obiettiva possibile, del rapporto rischio-beneficio non ci mette al riparo da queste distorsioni, in quanto il nostro giudizio è falsato in modo analogo a quanto avviene per un’illusione ottica. I lavori del premio Nobel Daniel Kahneman riportati in modo divulgativo nel suo best-seller “Sistema 1 e Sistema 2, le due velocità del pensiero” ci mostrano che occorrono in media 2,50 € di beneficio per compensare psicologicamente il rischio di perdere 1 euro.
I due autori sono anche consci che queste “invarianti mentali” sono sempre esistite, ma attualmente dicono che sono intervenuti due fenomeni recenti ad ampliarne gli effetti: 1°- la deregolazione del mercato dell’informazione (blog, reti sociali ecc.) che diffonde massicciamente paure irrazionali (ciò che prima rimaneva confinato nella sfera dell’intimo ora è esposto ad un ampio pubblico). 2°- la concorrenza che subiscono i ricercatori e la conseguente sempre più sfrenata corsa a pubblicare. Oramai il motto inglese “publish or perish” (pubblica o perisci) è divenuto il comandamento di molti ricercatori e ciò abbassa la qualità media delle pubblicazioni e fa si che nella pletora delle ricerche scientifiche pubblicate sia possibile trovare almeno uno studio, difficilmente riproducibile, peraltro, e di nessuna rappresentatività, che potrà venire in appoggio alle tesi di chi teme gli effetti della tecnologia.
Che si tratti di nanotecnologie, di manipolazioni genetiche sull’uomo, di nucleare o di geo-ingegneria si può sempre trovare un qualcosa che permetta di ipotizzare un rischio, ma non si riflette che il rigettare qualsiasi assunzione di rischio, seppur minima, non è essa stessa senza rischio. Le conclusioni a cui arrivano le due personalità che hanno steso il rapporto sono che tutto ciò congiura a farci sentire oppressi dalle conseguenze delle nostre azioni, senza mai si stimino le conseguenze della nostra inazione. Purtroppo però un tale comportamento è ormai codificato come principio da seguire in modo generalizzato. Sicuramente il filosofo tedesco Hans Jonas quando ha enunciato il suo “principio di responsabilità” negli anni 70 del secolo scorso, non credeva che da questo scaturisse il “principio di precauzione” e che tale principio venisse incluso nella Dichiarazione di Rio e, successivamente, dagli europei nel Trattato di Maastricht.
Il contenuto del rapporto Klein-Bronner ci consente di esemplificare come funzionano le istituzioni europee, cioè la Commissione ed il Parlamento europei che sono poi l’esatta fotografia dell’idea che dell’Europa Unita hanno i "28" Stati membri.
E’ di queste ore la notizia che la decisione sul rinnovo o meno dell’uso del gliphosate, il diserbante totale largamente usato in agricoltura da 40 anni, ma messo in discussione da un giudizio di probabile cancerogeno dato dal CIRC solo recentemente, ma successivamente smentito dall’OMS che è l’organismo da cui emana il CIRC, non si è potuta prendere in sede di Comitato d’Appello perché non si è raggiunta ancora una volta la maggioranza qualificata degli Stati votanti: 19 Stati hanno votato a favore del rinnovo, due contro (Francia e Malta) e 7 si sono astenuti (Germania, Italia, Austria, Grecia, Lussemburgo, Portogallo e Bulgaria). Ora la palla è nelle mani della Commissione in quanto a questo punto è autorizzata a prendere lei la decisione. Per ben comprendere occorre sintetizzare com’è la procedura. La Commissione, una volta redatto un dossier in cui figurano tutti i pareri tecnici di nullaosta all’ammissibilità, deve interpellare i paesi membri l’UE per avere un voto. Queste votazioni ormai da molto tempo portano all’impasse più totale perché non si arriva mai a maggioranze qualificate capaci di decidere per il rifiuto o l’ammissione. Questi casi, dopo essere passati anche attraverso il Comitato d’Appello, sono divenuti quasi regola, mentre secondo gli intendimenti del legislatore europeo avrebbero dovuto restare un’eccezione, da risolvere demandando la decisione finale alla Commissione.
Il caso non è però isolato, in quanto durante le sedute del Parlamento europeo del 6/8 giugno 2016 sono state prese delle decisioni, non vincolanti per fortuna, ma comunque foriere di decisioni/non-decisioni come ci ha abituato ormai ad assistere la Commissione Europea.
In primo luogo la Commissione doveva decidere dell’ammissione o meno all’importazione di un mais prodotto da sementi OGM portanti quattro modifiche (due di resistenza, contro i lepidotteri e coleotteri parassiti e due di tolleranza ai due diserbanti totali, gliphosate e gluphosinate). Si tratta quindi di decidere solo se i tratti genetici modificati sono ammissibili al fine di poter importare le derrate che li contengono e non di valutare la seminabilità in Europa delle varietà di sementi così modificate. I costitutori della varietà OGM hanno deciso, dopo l’esperienza del MON810, di non presentare nessuna domanda di autorizzazione alle semine di varietà OGM. (qui)
Ebbene cosa ha deciso di fare il parlamento europeo, peraltro strapagato e con diarie da nababbi pagate dai cittadini? Ha votato una mozione in cui, partendo dalla constatazione che la Commissione stessa aveva segnalato che la decisione non le spetterebbe se non in casi eccezionali, si auspica che la Commissione si astenga dal decidere, anche se così le istituzioni comunitarie vengono meno al loro dovere e incorrono in azioni sanzionatorie per il non rispetto dei trattati.
In altri termini a Bruxelles è divenuto comportamento istituzionale l’atteggiamento delle famose tre scimmiette per cui una non vede, l’alta non sente e l’ultima non parla. Ma il colmo dei colmi è che, tornando al caso in specie, i quattro tratti genetici modificati sono già stati ammessi singolarmente e quindi i mais OGM con uno solo dei tratti presenti sono già liberamente importabili, mentre per quello che li porta tutti e quattro, ora si vorrebbe il blocco senza che vi sia uno straccio di prova che la presenza concomitante dei quattro eventi genetici possa modificare il giudizio positivo di rispetto della salute pubblica ed ambientale dato su ogni singolo tratto genetico. E’ bene anche che si sappia che abbiamo un Parlamento europeo che vota solo per compiacere un’opinione pubblica disinformata e fuorviata da una propaganda fasulla. Infatti la petizione che interdice la Commissione dal decidere è passata con 426 voti a favore, 202 contrari e 33 astensioni, vale a dire che non hanno votato a favore solo i deputati che hanno fatto dell’ideologia verde il loro credo, il che rientra nelle regole democratiche, ma si sono astenuti o hanno votato contro anche altri eletti mandati a Strasburgo perché il Parlamento decidesse sulla base di pareri scientifici dati dai consulenti nominati allo scopo.
Il parlamento europeo si preoccupa pure di interferire su come debba svilupparsi l’agricoltura africana, ordinando uno studio da cui scaturisce che un piano di sviluppo programmato in ambito G8 a sostegno delle agricolture di molti paesi poveri africani e avente come finanziatore anche l’UE, debba rispettare le seguenti condizioni (qui ):
I due autori partono dall’analisi dei presunti rischi delle vaccinazioni e osservano che da un’inchiesta del 2013 risulta che il 38,2% dei francesi esprimono parere sfavorevole alle vaccinazioni, quando appena 10 anni prima era solo l’8,5% ad essere contrario alle vaccinazioni. Eppure nessun fatto nuovo ha potuto supportare questa aumento di paura verso una pratica tanto salutare. Essi continuano dicendo che esiste un rapporto ambivalente con la scienza e il Prof. Bronner è un buon conoscitore dell’instaurarsi di queste paure spesso irrazionali e di come pervadono la collettività. Egli infatti dice che: “La percezione del rischio risulta sempre da un incrocio tra invarianti mentali e variabili socioculturali”. Queste ultime fanno si che rischi uguali non vengano considerati nello stesso modo in tutte le collettività ed in tutte le epoche.Tuttavia sono molto più importanti gli invarianti mentali perché sono questi “tramite” cognitivi che ci impediscono di farci un’idea obiettiva del rischio reale che corriamo. Il nostro cervello è fatto per sovrastimare con un fattore da 10 a 15 i rischi che presentano sia un bassissima probabilità di capitare sia conseguenze modeste se gli eventi dovessero realizzarsi. Questo effetto è il frutto delle ricerche del pioniere della neuroeconomia, il professore al MIT Drazen Prelec e molti dei rischi tecnologici rientrano in questa categoria. Un esempio? Allorchè il grande acceleratore del CERN si è lanciato nella ricerca del bosone di Higgs sono stati depositati due reclami presso i tribunali, con la motivazione che questo dispendio energetico rischiava di provocare un “mini-buconero” e cioè un avvenimento dalle conseguenze apocalittiche, ma con probabilità infinitesimale di realizzarsi.
Un altro aspetto ben conosciuto dagli specialisti di psicologia cognitiva concerne il rischio ad effetto soglia e qui ancora le tecnoscienze ci offrono numerosi esempi. Come dice sempre il sociologo Bronner, il cervello umano ha molte difficoltà a riflettere correttamente su questo tipo di rischio; egli percepisce una continuità laddove in realtà vi è discontinuità e a dimostrazione cita l’esempio delle antenne e al rischio dei campi elettromagnetici per le popolazioni interessate. Ebbene benché è dimostrato che il pericolo non c’era in quanto i campi elettromagnetici si diluiscono velocemente con la distanza dalla sorgente, la percezione del rischio e l’inquietudine conseguente non si dissipana in quanto gli interessati pensano che anche se situati a conveniente distanza l’effetto non si annulli e che un’esposizione prolungata possa così creare un rischio da non sottovalutare. Anche l’approccio razionale fondato sulla valutazione, la più obiettiva possibile, del rapporto rischio-beneficio non ci mette al riparo da queste distorsioni, in quanto il nostro giudizio è falsato in modo analogo a quanto avviene per un’illusione ottica. I lavori del premio Nobel Daniel Kahneman riportati in modo divulgativo nel suo best-seller “Sistema 1 e Sistema 2, le due velocità del pensiero” ci mostrano che occorrono in media 2,50 € di beneficio per compensare psicologicamente il rischio di perdere 1 euro.
I due autori sono anche consci che queste “invarianti mentali” sono sempre esistite, ma attualmente dicono che sono intervenuti due fenomeni recenti ad ampliarne gli effetti: 1°- la deregolazione del mercato dell’informazione (blog, reti sociali ecc.) che diffonde massicciamente paure irrazionali (ciò che prima rimaneva confinato nella sfera dell’intimo ora è esposto ad un ampio pubblico). 2°- la concorrenza che subiscono i ricercatori e la conseguente sempre più sfrenata corsa a pubblicare. Oramai il motto inglese “publish or perish” (pubblica o perisci) è divenuto il comandamento di molti ricercatori e ciò abbassa la qualità media delle pubblicazioni e fa si che nella pletora delle ricerche scientifiche pubblicate sia possibile trovare almeno uno studio, difficilmente riproducibile, peraltro, e di nessuna rappresentatività, che potrà venire in appoggio alle tesi di chi teme gli effetti della tecnologia.
Che si tratti di nanotecnologie, di manipolazioni genetiche sull’uomo, di nucleare o di geo-ingegneria si può sempre trovare un qualcosa che permetta di ipotizzare un rischio, ma non si riflette che il rigettare qualsiasi assunzione di rischio, seppur minima, non è essa stessa senza rischio. Le conclusioni a cui arrivano le due personalità che hanno steso il rapporto sono che tutto ciò congiura a farci sentire oppressi dalle conseguenze delle nostre azioni, senza mai si stimino le conseguenze della nostra inazione. Purtroppo però un tale comportamento è ormai codificato come principio da seguire in modo generalizzato. Sicuramente il filosofo tedesco Hans Jonas quando ha enunciato il suo “principio di responsabilità” negli anni 70 del secolo scorso, non credeva che da questo scaturisse il “principio di precauzione” e che tale principio venisse incluso nella Dichiarazione di Rio e, successivamente, dagli europei nel Trattato di Maastricht.
Il contenuto del rapporto Klein-Bronner ci consente di esemplificare come funzionano le istituzioni europee, cioè la Commissione ed il Parlamento europei che sono poi l’esatta fotografia dell’idea che dell’Europa Unita hanno i "28" Stati membri.
E’ di queste ore la notizia che la decisione sul rinnovo o meno dell’uso del gliphosate, il diserbante totale largamente usato in agricoltura da 40 anni, ma messo in discussione da un giudizio di probabile cancerogeno dato dal CIRC solo recentemente, ma successivamente smentito dall’OMS che è l’organismo da cui emana il CIRC, non si è potuta prendere in sede di Comitato d’Appello perché non si è raggiunta ancora una volta la maggioranza qualificata degli Stati votanti: 19 Stati hanno votato a favore del rinnovo, due contro (Francia e Malta) e 7 si sono astenuti (Germania, Italia, Austria, Grecia, Lussemburgo, Portogallo e Bulgaria). Ora la palla è nelle mani della Commissione in quanto a questo punto è autorizzata a prendere lei la decisione. Per ben comprendere occorre sintetizzare com’è la procedura. La Commissione, una volta redatto un dossier in cui figurano tutti i pareri tecnici di nullaosta all’ammissibilità, deve interpellare i paesi membri l’UE per avere un voto. Queste votazioni ormai da molto tempo portano all’impasse più totale perché non si arriva mai a maggioranze qualificate capaci di decidere per il rifiuto o l’ammissione. Questi casi, dopo essere passati anche attraverso il Comitato d’Appello, sono divenuti quasi regola, mentre secondo gli intendimenti del legislatore europeo avrebbero dovuto restare un’eccezione, da risolvere demandando la decisione finale alla Commissione.
Il caso non è però isolato, in quanto durante le sedute del Parlamento europeo del 6/8 giugno 2016 sono state prese delle decisioni, non vincolanti per fortuna, ma comunque foriere di decisioni/non-decisioni come ci ha abituato ormai ad assistere la Commissione Europea.
In primo luogo la Commissione doveva decidere dell’ammissione o meno all’importazione di un mais prodotto da sementi OGM portanti quattro modifiche (due di resistenza, contro i lepidotteri e coleotteri parassiti e due di tolleranza ai due diserbanti totali, gliphosate e gluphosinate). Si tratta quindi di decidere solo se i tratti genetici modificati sono ammissibili al fine di poter importare le derrate che li contengono e non di valutare la seminabilità in Europa delle varietà di sementi così modificate. I costitutori della varietà OGM hanno deciso, dopo l’esperienza del MON810, di non presentare nessuna domanda di autorizzazione alle semine di varietà OGM. (qui)
Ebbene cosa ha deciso di fare il parlamento europeo, peraltro strapagato e con diarie da nababbi pagate dai cittadini? Ha votato una mozione in cui, partendo dalla constatazione che la Commissione stessa aveva segnalato che la decisione non le spetterebbe se non in casi eccezionali, si auspica che la Commissione si astenga dal decidere, anche se così le istituzioni comunitarie vengono meno al loro dovere e incorrono in azioni sanzionatorie per il non rispetto dei trattati.
In altri termini a Bruxelles è divenuto comportamento istituzionale l’atteggiamento delle famose tre scimmiette per cui una non vede, l’alta non sente e l’ultima non parla. Ma il colmo dei colmi è che, tornando al caso in specie, i quattro tratti genetici modificati sono già stati ammessi singolarmente e quindi i mais OGM con uno solo dei tratti presenti sono già liberamente importabili, mentre per quello che li porta tutti e quattro, ora si vorrebbe il blocco senza che vi sia uno straccio di prova che la presenza concomitante dei quattro eventi genetici possa modificare il giudizio positivo di rispetto della salute pubblica ed ambientale dato su ogni singolo tratto genetico. E’ bene anche che si sappia che abbiamo un Parlamento europeo che vota solo per compiacere un’opinione pubblica disinformata e fuorviata da una propaganda fasulla. Infatti la petizione che interdice la Commissione dal decidere è passata con 426 voti a favore, 202 contrari e 33 astensioni, vale a dire che non hanno votato a favore solo i deputati che hanno fatto dell’ideologia verde il loro credo, il che rientra nelle regole democratiche, ma si sono astenuti o hanno votato contro anche altri eletti mandati a Strasburgo perché il Parlamento decidesse sulla base di pareri scientifici dati dai consulenti nominati allo scopo.
Il parlamento europeo si preoccupa pure di interferire su come debba svilupparsi l’agricoltura africana, ordinando uno studio da cui scaturisce che un piano di sviluppo programmato in ambito G8 a sostegno delle agricolture di molti paesi poveri africani e avente come finanziatore anche l’UE, debba rispettare le seguenti condizioni (qui ):
- “che i governi africani favoriscano lo sviluppo della solidarietà intergenerazionale ed riconoscano il ruolo essenziale che gioca nella lotta contro la povertà”. Come se la società tribale passata e presente sia stata capace di lenire la fame endemica in questi paesi….
- “prega caldamente i membri del G8 affinchè non sostengano la diffusione degli OGM in Africa”. Non sembra questo un ricatto bello e buono? Cosa diranno dei paesi come USA e Canada che sono membri, del pari dell’UE, del G8? E poi condanniamo il colonialismo…ma questo comportamento cos’è?
Il paese che ha giudicato in modo positivo i tratti genetici frutto di transgenesi è stata l’Olanda, solo che come sempre il parere favorevole dato dagli organismi giudicanti olandesi non ha poi trovato una maggioranza qualificata da parte dei 28 Stati dell’UE. Il 25 aprile 2016 infatti gli Stati non hanno deciso: sette Stati membri (7,84% della popolazione europea) hanno votato contro la proposta della Commissione di permettere l’importazione, sei Stati (46,26% della popolazione) si sono astenuti, 11 Stati (36,29% della popolazione) hanno votato a favore mente 4 Stati non hanno espresso nessun parere. La “patata bollente” è quindi ritornata alla Commissione in quanto come si vede nessuna maggioranza è stata raggiunta perché in 11 hanno fatto come le tre scimmiette e 4 hanno “bigiato”. Ebbene, il parlamento europeo è intervenuto con un documento votato da 430 voti contro 188 e 33 astensioni affinché la Commissione ritiri il suo progetto di decisione a favore dell’ammissione dei tratti genetici in quanto la pianta OGM non rispecchierebbe gli obiettivi di protezione della salute e dell’ambiente (qui).
Quali sono le motivazioni contenute nella mozione votata dal parlamento? C’è di che sbudellarsi dalle risate…per non piangere purtroppo.
Dato che l’EFSA ha detto che il garofano non è pianta alimentare, ma al limite vi sono solo alcune popolazioni che hanno l’abitudine di guarnire i piatti con dei petali di garofano e di mangiarseli e che questa non ha valutato le conseguenze di una ingestione intenzionale o accidentale da parte di umani e animali, allora il tratti genetici inclusi nei garofani non devono essere ammessi. In altri termini basta produrre corde perché alcuni se ne servono per impiccarsi o accidentalmente mettersele al collo e strozzarsi! Ma le corde non sono forse già vendute senza una valutazione degli effetti imprevedibili?
Una seconda eccezione è stata individuata nel fatto che il genere botanico Dianthus, a cui appartiene il garofano OGM, è molto coltivato ed esistono anche specie spontanee quindi si può temere un flusso genico. Per il Parlamento europeo non conta il fatto che il garofano OGM non diverrà una coltivazione da farsi su suolo Europeo, conta invece l’eccezione di Cipro per la quale qualcuno potrebbe prendere lo stelo di un fiore reciso e farne una talea e riprodurre il fiore per usi privati.
A nulla è valso far notare anche che l’EFSA ha detto che il flusso genetico è reso pressoché impossibile, ma non escludibile al 100%, perché la produzione di polline nel genere Dianthus è bassissima e che occorre solo una farfalla con proboscide molto lunga perché possa arrivare ai contenitori del nettare per sporcarsi di polline. Inoltre se anche fosse, per l’EFSA difficilmente si produrrebbero ibridi capaci di sopravvivere e soprattutto di disseminare e quindi per l’organismo tecnico comunitario che redige la relazione scientifica gli effetti ambientali negativi sono da escludere. Ebbene abbiamo un Parlamento che pretende che si debba dimostrare l’impossibilità assoluta (rischio zero dunque) di uno scenario altamente improbabile.
La terza eccezione poi ha del fantastico in quanto si dice che, dato che i mazzi di fiori hanno una durata limitata e che questi finiscono nei rifiuti e dal dossier dell’EFSA non risulta che essa abbia valutato le conseguenze dell’immissione nell’ambiente tramite questa forma. Ma ci si rende conto di cosa ci costerebbe il valutare le conseguenze dell’immissione nei rifiuti di ogni sostanza che scartiamo?
La quarta eccezione invece ha basi un po’ più solide, ma dimentica lo stato dei fatti. Essa verte sul fatto che vi sia un tratto genetico modificato derivante da una mutazione riscontrata su tabacco che conferisce una tolleranza ai diserbanti della categoria ALS. Innanzitutto occorre dire che i diserbanti della categoria ALS sono stati creati appositamente per sostituirne altri molto più tossici per l’uomo e gli animali. Infatti, essi inibiscono un enzima che interviene nella sintesi di tre amminoacidi essenziali nei vegetali, mentre questo enzima non esiste nel mondo animale, per cui uomo e animali hanno sempre tratto questi amminoacidi dai vegetali. Altro vantaggio è che essi agiscono a dosi molto limitate, ma è proprio questo che “sgomenta” i nostri sfaticati parlamentari, e cioè il fatto che una piccola quantità sia tossica, significa che l’espansione dell’uso deve essere impedita per non provocare un danno a piante non bersaglio. Qui la confusione è doppia, poichè anzitutto l’uso di queste sostanze avviene già indipendentemente dal garofano OGM, che tra l’altro non si può coltivare in Europa. Infatti le mutazioni avvenute su tabacco sono state riscontrate nel riso (riso Clairfield®) e nel girasole e quindi queste molecole diserbanti sono già in uso su queste piante. Dato poi che le mutazioni sono naturali, le varietà di riso e di girasole ottenute non sono considerate OGM e pertanto sfuggono tutti i controlli a livello d’impatto ambientale è della salute animale.
Altro aspetto legato sempre ai diserbanti ALS è che alcune molecole di questa categoria, ma totalmente diverse da quelle diserbanti, sono usate come medicine per il trattamento delle sindromi di diabete 2, ma l’uso ha come controindicazione dei rischi cardiovascolari al contrario di altre medicine similari; ecco che allora si dice che aumentarne l’uso a livello mondiale (perché l’UE comprerebbe questi garofani) ha impatto negativo sulla salute dei popoli e quindi l’Europa deve astenersi dal concorrervi. Il comportamento delle tre scimmiette invece si deve tenere per le varietà di riso e di girasole già in coltivazione!
In conclusione: molti si lamentano giustamente che la politica ha troppo spesso il sopravvento sulla scienza, ma qui mi sembra che la politica abbia il sopravvento anche sul buon senso.
Nota: Personalmente sono convinto che solo un’Europa unita può favorire gli interessi dei cittadini degli Stati Membri, il disfacimento dell’Europa sarebbe un disastro e ci porterebbe a rivivere di disastri capitati nei 100 anni che vanno tra il 1850 ed il 1950, solo che l’Europa deve funzionare e più tempo passa per farla funzionare veramente più corriamo il rischio che il suo disfacimento si trasformi in deflagrazione.
Nota: Personalmente sono convinto che solo un’Europa unita può favorire gli interessi dei cittadini degli Stati Membri, il disfacimento dell’Europa sarebbe un disastro e ci porterebbe a rivivere di disastri capitati nei 100 anni che vanno tra il 1850 ed il 1950, solo che l’Europa deve funzionare e più tempo passa per farla funzionare veramente più corriamo il rischio che il suo disfacimento si trasformi in deflagrazione.
Agronomo.
Diplomato all' Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureto in
Scienze Agrarie presso UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni presso
la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez
come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti
l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo
per Italia ; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così
conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.
Spes ultima dea!
RispondiEliminahttp://seppi.over-blog.com/2016/07/encourager-la-societe-a-respecter-les-avis-independants-de-la-science-et-condamner-les-attaques-physiques-sur-les-scientifiques.html