mercoledì 27 luglio 2016

Petrini ha torto in fatto di varieta’ tradizionali! Le indagini scientifiche e i dati di fatto lo confermano.

di Alberto Guidorzi

Varietà antiche                        Varietà moderne   
Prendo spunto, per dare corpo al titolo scelto, ai “rifiuti” elencati da Luigi Mariani nel suo bellissimo articolo sull’ineffabile personaggio divenuto “maître à penser” mondiale, anzi il suo essere assurto a tale livello qualifica il pianeta come governato da una pletora di persone che mancano assolutamente di “leadership”, il che purtroppo ci porterà al disastro (sono abbastanza vecchio per affermarlo e fregarmene, ma ancora con abbastanza buon senso per intravvedere nell’avvenire dei miei nipoti qualcosa di molto negativo che la mia generazione si era illusa non potesse più succedere).
Mi riferisco in particolare a questi due rifiuti: 
  • rifiuto dell’innovazione nel settore della genetica vegetale e animale (se una razza o varietà ha meno di cinquant’anni è ritenuta qualcosa di satanico e dannoso per l’agricoltura e l’ambiente)
  • rifiuto della globalizzazione in favore delle difesa ad oltranza delle peculiarità e tradizioni locali (varietà, tecniche colturali, ecc.).
Per argomentare mi viene in aiuto una relazione di Bernard Le Buanec che ha presentato alla « Journée ASF du 4 février 2010 » « Diversité génétique, structures variétales et amélioration des plantes ».
In pratica si dice che è in atto un dibattito a tutti i livelli, nazionali e internazionali, circa la perdita di diversità genetica delle attuali varietà coltivate a causa dei metodi moderni di miglioramento vegetale.
Ormai tutti sono convinti che una volta vi erano a disposizione per gli agricoltori più varietà di specie vegetali di oggi. Chiariamo per coloro che sono meno addentro nella materia che miglioramento genetico significa cercare di unire in uno stesso individuo il maggior numero possibile di buoni caratteri agronomici ereditari e moltiplicare questo individuo ottenendo moltissimi individui a lui identici da poter coltivare in pieno campo. Ciò da origine a varietà che sono più adattabili all’ambiente di coltivazione, più produttive, che rispondono meglio alla trasformazione tecnologica per ricavarne cibo, che abbisognano di meno fitofarmaci in quanto uniscono un certo numero di resistenze ai parassiti. 
E’ ovvio che non sempre questo tentativo di riunificazione è ottimale; tuttavia chi compie questo lavoro è obbligato a presentare ciò che ha ottenuto dalla sua fatica alla verifica da parte di organismi tecnici specialistici terzi che giudicano se la nuova varietà proposta presenta qualche vantaggio in più di altre per l’agricoltore che ne farà uso e se risulta distinguibile dalle altre, omogenea e stabile. Qualora il giudizio si riveli positivo la varietà viene iscritta al registro varietale e può dunque essere commercializzata e proposta per la semina agli agricoltori.
E’ evidente che l’introduzione e la diffusione di nuove varietà migliori delle precedenti è un obiettivo che l’uomo persegue da quando ha domesticato le specie vegetali e che si è tradotto in una sensibile diminuzione della diversità genetica. Pertanto Petrini dovrebbe mettere sotto accusa prima dell’uomo moderno, gli uomini del paleolitico e del neolitico! Solo che i metodi empirici usati anticamente avevano un rendimento di riunione dei caratteri favorevoli molto basso e inoltre la possibilità di reperire questi caratteri era limitata dall’impossibilità di comunicazione, di trasporto e di scambio. Le società agricole per quasi 2000 anni sono rimaste delle minuscole enclave composte da uno o pochi villaggi. Diverso, invece, è divenuto il discorso quando, non più tardi di due secoli fà, si sono cominciati a comprendere i meccanismi dell’ereditabilità dei caratteri genetici e l’accesso a questa diversità di caratteri è stato reso assai più facile. Esemplare in tal senso è stata la selezione di varietà di barbabietola ad alto tenore in saccarosio, cominciata in epoca napoleonica e che in soli 50 anni ha portato il contenuto in zucchero nella radice dal 7% al 16%
Dunque da un lato si assiste al continuo tentativo di assemblare con metodi scientifici corredi genetici più numerosi e soprattutto diversi, mentre dall’altro lato si diffonde sempre più il preconcetto secondo cui i “metodi scientifici” oggi in uso distruggerebbero il lavoro fatto dai nostri avi. Intuitivamente il preconcetto parrebbe fondato in base al ragionamento per cui ogni contadino avrebbe posseduto un suo seme per le specie che coltivava e quindi tanti contadini messi avrebbero posseduto tante sementi tutte diverse fra loro. Solo che ad una analisi scientifica questa diversità si rivela ben più apparente che reale, come cercheremo di dimostrare in seguito. Peraltro l’erroneità del suddetto preconcetto era stata già intuita dal grande agronomo e botanico del XVI sec. Olivier De Serres, il quale ebbe a dire che: “ Scambiare il frumento da seme con il vicino non è quello che io intendo in quanto non fate altro che seminare sempre la stessa semente. Occorre invece fare la questua lontano da voi, almeno una o due giornate di cammino, al fine di avere la fortuna di trovare sementi di grano diverso”. Possiamo riassumere questo dicendo che i nomi dati alle sementi di grano ad esempio erano tanti e diversi da contadino a contadino e da villaggio a villaggio, ma in realtà si trattava di qualcosa di uguale e che quindi non apportava nessun vantaggio. Non solo, ma si è poi accertato che nemmeno a “ due giorni di cammino” si trovava veramente qualcosa di diverso e che i geni diversi esistevano ma erano talmente sparsi nei miliardi di miliardi di piante di frumento coltivate che in un campo di un contadino, per sua natura limitato in estensione, di questi caratteri ne erano concentrati pochi. L’elemento di confusione risiedeva nel fatto che ogni contadino o un gruppo di contadini assegnava un proprio nome alla semente che seminava e così facevano altri contadini con altrettanti nomi diversi. Ed è così che la pletora di denominazioni antiche porta l’osservatore superficiale alla Petrini a dire che la diversità genetica era maggiore una volta. Se a ciò aggiungiamo le indubbie doti d’istrione del Petrini e l’ipocrita distinzione che molti operano fra opportunità e convinzioni possiamo senza alcuna difficoltà arrivar a comprendere l’adesione alle tesi petriniane da parte del Papa, di svariati governanti e di istituzioni mondiali. Da non trascurare è inoltre l’adesione a tali tesi da parte di tanta altra gente che, invece, non sa ragionare con la propria testa e non dà credito alla scienza; anche perchè per capirla occorrerebbe dotarsi di tante cognizioni e impegnarsi in tanto studio. Ecco, forse l’unico che non si fa stregare è Farinetti, il quale si serve di Petrini per fare i suoi affari.
A proposito di scienza, useremo proprio questa per dimostrare che Petrini racconta una cosa non vera e fa mala informazione e che quindi non merita l’ascesa che certe istituzioni gli hanno riservato. Per farlo useremo degli indicatori scientifici di vario genere che vanno dalle analisi morfologiche , agli indicatori genealogici e ai marcatori molecolari. 
Analisi mediante caratteristiche morfologiche
Con questa analisi si può verificare se realmente delle varietà di frumento conosciute negli anni ‘30 del XX secolo fossero veramente diverse o se invece a cambiare fosse solo il nome. Bene, per farlo si possono consultare i risultati delle revisioni fatte nell’elenco delle varietà di quel tempo per verificare il grado di diversità che moltissimi (anche cattedratici universitari attuali) ritengono ci fosse allora.
Cosa si è fatto? Si sono seminate tante parcelle per ognuna delle varietà degli elenchi e se n’è osservata la distinguibilità (cioè si è guardato se i caratteri morfologici, derivati da altrettanti alleli di uno stesso gene, erano diversi tra parcella e parcella), l’omogeneità (cioè si è verificato se i caratteri morfologici erano si diversi, ma omogenei all’interno della parcella), la stabilità (si è voluto vedere se tra un anno e l’altro e con semina ripetuta di una stessa varietà questa presentasse gli stessi caratteri morfologici dell’anno prima). La verifica di questi tre elementi messi assieme stabilisce inequivocabilmente se quel nome varietale designa veramente qualcosa di diverso da tutti gli altri. Certo una certa diversità vi è sempre e non tale da annullare un certo grado di parentela, ma tuttavia tale da poter dire che si tratta di individui diversi.
Ebbene ecco il risultato. Nel 1935 in Germania la lista delle denominazioni comprendeva ben 454 varietà di frumento che, dopo la revisioni di cui sopra, si sono ridotte a sole 17 sicuramente diverse, oltre a 54 sulla cui diversità sussistevano forti dubbi. Tutte le altre avevano sicuramente solo nomi diversi ma erano la stessa cosa. Nel 1933 una revisione analoga fu iniziata per la lista varietale francese e fu protratta per più anni; la lista inizialmente contava 562 denominazioni, ma che dopo un anno di studio si ridussero a 170 per ridursi addirittura a 40 dopo 10 anni. e dopo altri 10 anni di verifiche si ridussero a 40, il che ci dice che grossomodo ogni semente era conosciuta con 10 nomi diversi.
Ecco, dato che parliamo di quasi un secolo fa, questa è la diversità genetica della sementi antiche di cui Petrini ci parla, con la quale ha conquistato il Papa e il Ministro Martina e che insegna a masse di giovani, futuri suoi agitprop, presso l’Università di Pollenzo.
A nulla vale mostrare che oggi i cataloghi varietali sono composti da centinaia di varietà veramente diverse e che ogni pianta che nascerà da quella semente porterà in se tutti i caratteri agronomici buoni che si è riusciti ad inserire in quella varietà. Ad esempio nel catalogo francese si annoverano oggi ben 294 varietà di frumento diverse non solo per il nome ma per una serie di caratteristiche che le qualificano; per quanto riguarda il mais le varietà sono ben 1017 ed ogni anno ne vengono accettate, perché diverse, una novantina. E’ bene precisare che una varietà non la si iscrive nel Registro Varietale solo se è più produttiva delle altre ma anche se ha un quadro di caratteristiche di adattabilità ambientale maggiore ed è meno produttiva.
L’OCSE, che è l’organismo che tiene la contabilità della creazione varietale nel mondo, ci dice che le varietà certificabili, quindi riconosciute diverse, sono ormai 40.000 ed il numero aumenta di un migliaio ogni anno.
Quando si dice quindi che si è persa della biodiversità occorrerebbe che chi lo afferma riflettesse sui dati sopraccitati e che potremmo definire “diversità genetica nel tempo”, oppure valutasse che una volta il seme che si usava era solo quello del proprio raccolto, mentre oggi un agricoltore normalmente semina in azienda da 2 a 5/6 varietà diverse, appunto per stabilizzare le produzioni a fronte delle variabilità meteorologica e ambientale; questa la possiamo definire appunto “diversità in posto”. 
Per ultimo non bisogna dimenticare che a differenza di un tempo conserviamo e soprattutto riusciamo a mantenere vitali tutte le sementi di vecchie varietà dismesse e questo costituisce una “diversità di riserva”. E un dato di fatto che oggigiorno nelle agricolture più evolute (e non certo in quella italiana!) la durata media di una varietà di grano è di 4/5 anni. Ora non mi si dirà che gli agricoltori moderni modificano a un tale ritmo le loro scelte varietali solo in virtù di un’innata volubilità: così facendo essi vogliono solo approfittare della nuova diversità genetica offerta loro. E si badi bene che da tale ragionamento si deduce con facilità che gli agricoltori di una volta, seminando per tradizione sempre la stessa semente, si privavano degli enormi vantaggi insiti in una maggiore variabilità genetica.
Possibile che Petrini e molti cattedratici divenuti in parte consulenti di Slow Food (i vari Salvatore Ceccarelli, Manuela Giovannetti, Gianni Tamino, Marcello Buiatti ecc. ecc. tanto per essere meno generici nelle citazioni) non vedano queste evidenze passate sotto valutazione scientifica?
Non è infrequente sentir imputare alla mancanza di diversità genetica crisi storiche come la peronospora della patata in Irlanda, La ruggine del caffè in Brasile e l’uso del solo citoplasma texano nella creazione dei maschiosterili di mais nell’anno 1970. Indipendentemente dal fatto che a questo riguardo occorre sapere cosa si intende per “antico” (la crisi della patata è del 1845, mentre le altre due citate sono degli anni 1970) accettare tali tesi significa ammettere che non esisteva diversità neppure 150 anni fa nel caso della patata, come non esisteva nel 1970 per il caffè se ambedue le malattie sono ancora presenti e ormai ubiquitarie. Non solo ma tra il caffè, la patata e il mais, è quest’ultimo ad essere stato più migliorato con i metodi moderni e guarda caso è qui che abbiamo creato più diversità. Per la patata le resistenze alla peronospora le abbiamo scoperte solo ora andando a reperirle nella “diversità di riserva” in specie diverse, ma ne è precluso l’uso perché la strada da intraprendere per trasmettere la resistenza alla malattia sarebbe la transgenesi, che l’ideologia ci preclude obbligandoci a fare ancora 15 trattamenti all’anno alla coltivazione.
Una prova di quanto si è affermato la possiamo trovare analizzando i trend produttivi del mais in USA e che il diagramma mostra tramite le rese (bushel/acro) nel periodo 1963-1983


Se si osserva il dato del 1970 si vede la caduta della produzione dovuta a particolari forti attacchi di Helminthosporium causati da una particolare sensibilità indotta dal citoplasma texano dei maschio sterili con cui si erano create molte delle varietà ibride commerciali in quei tempi. Il fenomeno era già stato evidenziato negli anni precedenti e quindi nelle produzioni commerciali di sementi ibride si erano già cambiati i maschio sterili. Infatti nel 1971 usando i nuovi ibridi le produzioni si sono riportate sui livelli normali prima raggiunti.       E’ una prova lampante che nel mais, specie grandemente migliorata, si era creata una “diversità genetica di riserva” da sfruttare in casi critici, cosa che varietà antiche di altre specie non possedevano.

Analisi mediante Indicatori genealogici
All’atto dell’iscrizione di una nuova varietà nel registro si debbono indicare in genitori e questo ci permette di avere importanti notizie sulla genealogia della stessa.
Ebbene tra il 1970 e il 1980 si è visto che a parità di numero di varietà presentate all’iscrizione il numero di genitori diversi usati nella creazione varietale era aumentato. In particolare se il materiale esotico nel 1960 costituiva il 30% dei genitori usati negli incroci, nel 1980 questa percentuale era già salita al 50%. Ora nessuno può negare che genitori diversi e maggiormente se esotici apportano la loro diversità ai discendenti.
Questa valutazione è continuata usando il “coefficiente di parentela” di una varietà rispetto ad un’altra. In USA ad inizio XX secolo si seminavano razze locali o selezioni da esse derivate con metodi empirici. Specifiche analisi hanno permesso di valutare che nel caso del frumento il coefficiente di parentela del materiale vegetale usato era del 70% mentre una analoga valutazione condotta nel 1980 ha indicato un grado di parentela del 20%, il che in soldoni significa che con un grado di parentela del 20% due varietà hanno 1/5 dei geni uguali e 4/5 dei geni diversi. Ora è vero che nel tempo i coefficiente di parentela può aumentare o diminuire, ma ciò è funzione di fatti contingenti. Un esempio lo troviamo in bietola da zucchero, che negli ultimi 60 anni essa ha subito due rivoluzioni genetiche, la monogermizzazione (il seme è stato reso geneticamente monogerme da plurigerme che era, con lo scopo di risparmiare tempo nel diradamento manuale) e l’inserimento della resistenza ad una gravissima malattia chiamata “rizomania”. Ecco, qui abbiamo due esempi in cui per operare queste trasformazioni si è stati obbligati ad aumentare il grado di parentela tra le varietà e ciò è comprensibile se si riflette sul fatto che i geni della monogermia e della resistenza alla rizomania si trovavano in pochissime piante e quindi queste sono state grandemente usate come genitori ricorrenti per fare incroci al fine di trasmettere i geni che ci interessavano. Così facendo si è però anche trasferito gran parte del corredo genetico proprio di quei pochi individui, tanto che in ambedue i casi si notò che la produzione di zucchero era calata a causa della poca diversità, o meglio dei pochi altri geni agronomicamente validi accumulatisi nella stessa pianta. Anche in questo caso però di disponeva della “diversità di riserva” precedentemente creata e quindi si è fatto subito ricorso a questa per diminuire il grado di parentela e riaccorpare geni diversi. Di conseguenza In pochi anni l’obiettivo è stato raggiunto e si è andati oltre, portandosi però dietro le due rivoluzioni genetiche.
Immaginiamo ora che tre o quattro secoli fa una virulenta malattia si fosse abbattuta sulle coltivazioni di grano di un comprensorio. Dove si sarebbe andata a prendere la diversità necessaria per debellare la malattia se in ambito comprensoriale si usava lo stesso materiale genetico e i geni di resistenza esistenti si trovavano a distanze irraggiungibili dai mezzi di comunicazione di allora? Ecco la spiegazione delle frequenti carestie e conseguenti epidemie storiche. Ecco dove ci vogliono portare i Petrini e accoliti con le loro teorie bislacche.
A onor del vero un fenomeno simile a quello osservato per la bietola da zucchero avviene anche ai nostri tempi per volontà umana, nel senso che il fare agricoltura oggi significa confrontarsi con il mercato e ciò porta gli agricoltori a scegliere di seminare solo le varietà più performanti e quindi in pratica, se rapportiamo il tutto a livello di superficie investita, la diversità diminuisce. L’unica differenza rispetto al passato è che in caso di inconvenienti noi abbiamo una grande diversità genetica di riserva a cui possiamo far ricorso in tempi molto brevi.
Ma dove si trova nelle varietà antiche una immissione mirata di diversità genetica quale quella che ci mostra l’albero genealogico sotto riportato e riferito alla varietà Sonalika del Cymmit?


Analisi mediante marcatori molecolari
Una premessa divulgativa è necessaria: è possibile appurare l’esistenza di un gene di resistenza in una data varietà solo se la coltivo per almeno un anno e se durante la coltivazione si verifica la malattia, fatto questo che è improbabile per cui mi obbligherebbe a seminare per più anni la varietà. Orbene ciò significa tempo e denaro. Ecco allora che i progressi in genetica molecolare hanno permesso di scoprire dei marcatori molecolari collegati quasi indissolubilmente a geni interessanti e favorevoli che possono essere individuati tramite analisi particolari (gli acronimi che cito sotto) sui cromosomi della cellula della pianta. L’individuazione dei marcatori consente dunque a tavolino di individuare se un gene è presente o meno senza dover materialmente seminare la varietà in esame. Ben si comprende che analisi di questo genere possono anche essere usate per stabilire la diversità tra una varietà ed un'altra. Le analisi sono le seguenti: AFLP (Amplified Fragment Length Polymorphism), RFLP (Restriction Fragment Length Polymorphism) e fenotipicamente, nel senso di confrontare analisi molecolari con analisi fenotipiche sul materiale vegetale. Ebbene si sono eseguite queste analisi in Inghilterra sulle liste delle varietà raccomandate dal 1920 per orzo, dal 1930 per frumento e dal 1973 per colza. 
Le conclusioni ricavate sono le seguenti; “i dati dello studio dimostrano che il miglioramento moderno delle piante, il diritto del costitutore, e le liste raccomandate non hanno condotto ad alcun restringimento significativo del livello generale di diversità genetica nelle coltivazioni inglesi nel corso del periodo considerato”.
Analisi similari sugli ultimi 50 anni, tramite il progetto Gediflux d’iniziativa dell’UE, sono state eseguite in Europa. Esse hanno dato il seguente responso: “ La diversità genetica dell’orzo non è cambiata in mezzo secolo mentre è aumentata nelle varietà di frumento più coltivate. Nel mais tedesco si è notato un aumento iniziale di diversità e poi una diminuzione, mentre in Francia vi sono più variazioni qualitative che quantitative, ma ciò non ha comportato nessuna diminuzione globale. Nelle patata nessun allele è stato perso, quindi non vi è stata erosione genetica negli ultimi 60 anni, ma al contrario vi è stato aumento a causa dei programmi di introgressione di caratteri di resistenza d’origine selvatica”

Petrini è servito! Solo che lui crede molto più all’ideologia, che gli fa comodo per assurgere a posizioni di potere, che non agli argomenti scientifici quali quelli che ho qui portato. Oggi come in passato infatti gli argomenti della scienza fanno purtroppo assai meno presa sulla collettività rispetto agli approcci demagogici fondati su slogan, i quali sono spesso in grado di portare individui alla Petrini a posizioni di comando, un dato di fatto questo che mi porta a temere per l’avvenire dei miei nipoti e delle future generazioni.



Alberto Guidorzi
Agronomo. Diplomato all' Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureto in Scienze Agrarie presso UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni presso la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia ; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.

 

2 commenti:

  1. Ecco il testo di una mail ricevuta dal Presidente Direttore generale della Florimond DESPREZ:

    Bonjour Alberto,
    Merci pour votre message.
    ……………………………….
    2/ moisson 2016
    Les résultats sont effectivement catastrophiques à l’exception du sud-est et d’une partie du Sud-Ouest. Les rendements sont souvent à 50% de ceux de l’année dernière (qui était une très bonne année). Ainsi sur ma ferme proche de Lille, où au cours des cinq dernières années, les rendements d’escourgeon ont toujours dépassé les 100 quintaux par ha, ils sont cette année inférieurs à 50 quintaux. Les rendements en blé dans le centre ou en Ile de France descendent parfois à 20 ou 25 quintaux par ha. Cela touche toutes les variétés mais, avec des variations locales, selon la précocité de celles-ci. En cause, une pression « maladies » très forte mais surtout une stérilité liée à l’absence d’ensoleillement et aux pluies incessantes de mai et de juin. En fait, c’est la situation Moulin/Pernel de 1987 étendue à toutes les variétés et à presque tout le pays.
    Dans les régions où 2015 n’avait pas été une bonne année (Bourgogne, Lorraine), de nombreux agriculteurs vont faire faillite et n’auront pas les moyens d’investir pour la prochaine saison.
    Le Conseil de l’Agriculture Française demande à l’Etat d’intervenir.
    C’est la situation la plus grave pour l’agriculture française depuis la fameuse sècheresse de 1976.
    Les cours des céréales ne vont pas compenser la perte de rendement car les récoltes sont presque toutes excellentes ailleurs en Europe.
    Cela sera aussi une année perdue en sélection car, quelle importance donner à des essais dont la moyenne est de 40 quintaux au lieu des 110 qx habituels ?
    De plus, nous manquerons souvent en quantité et en qualité des semences nécessaires aux essais officiels en France et à l’étranger.
    Enfin, la récolte s’annonce calamiteuse en maïs et en tournesol (le colza est médiocre). Même la betterave sera affectée par cet excès de pluviométrie
    ……………………………….
    J’espère que toute la famille va bien et que vous profitez d’un bel été. Merci de transmettre notre bon souvenir à tous.
    Amicalement,

    François DESPREZ
    Ingénieur agronome

    BP 41 - 59242 CAPPELLE-EN-PÉVÈLE - FRANCE
    http://www.florimond-desprez.com

    Quanta gente dimentica che l’agricoltura si fa a cielo aperto!!!!!!!
    Quanto mi piacerebbe sapere se le varietà antiche o le colture di grano biologiche si sono comportate meglio o peggio.

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  2. Alessandro Cantarelli2 agosto 2016 alle ore 22:37

    Buonasera Alberto,
    ...più chiaro di così! Ma non tutti la pensano (o pensavano) allo stesso modo, proprio per quelle motivazioni che sono state efficacemente riportate.
    Per citare un esempio pertinente a fatti e persone richiamate, a Parma negli ultimi anni sono stati premiati dalla Provincia all'interno di un premio annuale istituito per meriti agricoli, in sequenza rispettivamente Vandana Shiva, Carlo Petrini e Salvatore Ceccarelli.
    La strada maestra da seguire è stata indicata.

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