giovedì 16 giugno 2016

Chi ricorda il glicole dietilenico?

di Antonio Saltini

L'articolo che presentiamo, nonostante sia stato scritto dall' autore nel 2007, ci sembra di rilevante attualità per l'argomento trattato.


Un episodio di adulterazione del vino austriaco consentì alla stampa americana l’assalto furibondo che distrusse anni di lavoro del maggiore produttore di Lambrusco. Cosa sarà, domani, se il Segretario di Stato proibirà i mais tradizionali come causa di deformazioni fetali? L’industria americana non ne approfitterà per rigettare nell’Atlantico prosciutto e formaggi italiani?

Chi scrivesse la storia dei fasti che il vino italiano sta conoscendo sui mercati del Globo è probabile sarebbe indotto a iniziare la narrazione da una data che non segnò fasti ma iscrisse nefasti, la data del 17 marzo 1986, quando una ventata di comunicati stampa informò l’opinione internazionale che il vino italiano stava uccidendo: in alcune grandi città anziani di condizione modesta erano morti a causa del metanolo presente nei bottiglioni di Barbera di una ditta astigiana.Fu il grande scandalo, il prestigio del vino italiano toccò il punto più basso di una storia pure non esente da frodi indecorose: riscattarsi sarebbe stato impegno lungo e gravoso, ma da allora, con un lavoro costante, il vino italiano si è riscattato, e ha conquistato un primato mondiale che tutti i concorrenti, primo tra gli altri la Francia, insidiano invano.

Immaginando l’opera dello storico delle glorie enologiche ho usato il condizionale. Prima dello scandalo del metanolo, infatti, con l’anticipo di poco più di un anno, il vino italiano suscitò un immenso scandalo internazionale senza avere commesso alcun delitto, uno scandalo che non ha un posto nelle cronache enologiche ma in quello delle guerre commerciali: uno scandalo “costruito” per distruggere un competitore troppo agguerrito.

Fu lo scandalo del glicole dietilenico, un composto che le analisi nei paesi importatori provarono essere addizionato ai vini austriaci, generalmente vini bianchi, perché acquistassero morbidezza e nobiltà. Praticamente innocuo, gli enologi austriaci lo aggiungevano, senza ritegno, a centilitri per litro: un paio di cucchiai da cucina ogni bottiglia. Era il primo scandalo internazionale del vino. Naturalmente i cronisti evitarono di sottolineare che il dietilenglicole era innocuo, che punendo i colpevoli si sarebbe semplicemente affermato il principio che la vite ha bisogno di sole, e che nei paesi dove non c’è sole sussiste la forte tentazione a sostituirlo con la chimica.
Uno scandalo che avrebbe dovuto favorire il vino italiano, che ricevette invece un colpo mortale quando la stampa americana esplose proclamando che il glicole era stato trovato nel Lambrusco del primo esportatore italiano. La quantità identificata: 4 parti per milione. Se nessuno aveva sofferto di bruciori allo stomaco bevendo vini austriaci che contenevano due cucchiai di glicole per bottiglia, il Lambrusco con dieci molecole per bottiglia era palesemente innocuo. Ma l’establishment alimentare americano, che stava osservando, preoccupato, il clamoroso successo del Lambrusco emiliano, colse l’occasione, alimentò una brutale campagna di stampa, la cooperativa emiliana che stava conoscendo, da qualche anno, un clamoroso successo, vide le vendite crollare, rischiò il tracollo economico.

Chi scrive ricorda di avere chiesto cosa fosse successo al presidente, personaggio colorito, senatore comunista che amava, dopo il successo delle sue bottiglie, ostentare gusti e abitudini da billionaire americano. L’erede di Gramsci che si atteggia a emulo di Nelson Rockfeller può muovere il sorriso: credo che i trionfi attuali del vino italiano negli Stati Uniti abbiano le proprie radici nelle imprese del senatore reggiano, che ai suoi agenti imponeva di vendere, al cliente che chiedeva cento cartoni di Lambrusco, anche un cartone di Chianti e uno di Pinot. Poteva essere stato un poro nei tubi d’acciaio di uno scambiatore di calore: un evento irrilevante. Gli americani lo avevano usato per distruggere un nemico.
Una campagna di stampa priva di ogni fondamento minacciò la distruzione del primo grande business del vino italiano negli Stati Uniti. La prova esemplare ed emblematica della prassi con cui l’industria alimentare americana si confronta con i concorrenti. L’industria alimentare americana: cinque, sei colossi che operano su scala planetaria, che per operare su scala planetaria pretendono dal Congresso la legislazione più liberale che esista al mondo: per vendere i propri prodotti all’estero devono dimostrare al consesso delle nazioni di difendere la libertà di accesso di tutti i produttori a qualsiasi mercato, debbono provare che il mercato americano è aperto a chiunque voglia tentarlo. Contando, peraltro, che chi sul mercato americano vendesse troppo può sempre essere “buttato fuori” mediante strumenti che non sono scritti nelle leggi votate a Washington, ma che non sono per questo meno efficaci. Quegli strumenti sono le normative doganali, quelle sanitarie, le leggi sulla concorrenza, e, supremo tra tutti, la stampa.

Per verificare l’efficacia di quegli strumenti è sufficiente ricordare che un giudice della California ha sentenziato che vendere negli Stati Uniti Chianti che portasse il simbolo di un gallo costituiva concorrenza sleale ai danni del signor Gallo, il più importante vinaio dello Stato. Lo stesso giudice dichiarò irrilevante che lo stemma del gallo vantasse cinquecento anni, e che il Chinati lo avesse adottato all’alba del secolo. Nonostante i sistemi legali siano diametralmente diversi, i giudici americani non paiono essere né più imparziali né più disinteressati di quanto risultino, a chi ne abb0i a fatto personale esperienza, quelli italiani.

La legislazione sanitaria americana è, probabilmente, la più severa al mondo, ma è altrettanto certo che la stampa americana usa rimodellare la verità, secondo le convenienze dell’editore, con assoluta disinvoltura. Valga l’imperituro ricordo della dedizione con cui i giornali si impegnarono a ignorare la verità nelle scabrose circostanze dell’assassinio Kennedy. Di fronte alla copertura degli assassini di un presidente, manipolare dati sanitari costituisce, palesemente, peccato veniale. Il senatore comunista dai gusti di miliardario americano non dovette lamentare alcuna minaccia all’incolumità personale: la canea della stampa della patria della libertà gridò che il suo Lambrusco era adulterato, una falsità perfettamente accettabile secondo le regole dell’hard play sul mercato alimentare americano.

Ma perché ricordare un episodio tanto felicemente dimenticato? Il Lambrusco vacillò, ma Brunello, Teroldego, Pinot e Chabernet hanno riconquistato il mercato americano, moltiplicato per cento il valore di quelle prime bottiglie per gli americani meno abbienti. Oggi l’Italia è la grande esportatrice di prodotti di alta qualità: formaggi, oli, salumi, vini di prestigio mondiale. Negli Stati Uniti non riforniamo più i supermarkets, ma le boutiques dell’alta gastronomia sulla Fifth Avenue. Possiamo rigettare il passato, Guardiamo al futuro!
Guardiamo al futuro! Questo giornale ha riferito, sul numero scorso, che dopo studi che hanno coinvolto tutto l’apparato scientifico nazionale, gli Stati Uniti potrebbero essere sul punto di proibire, come pericolosi per la salute, tutti i mais che non portino il gene b.t., che non siano, cioè, resistenti alla piralide. Conseguentemente, i prodotti ricavati da mais tradizionali verrebbero considerati potenziali cause di tumori e malformazioni neonatali. Facciamo l’elenco delle specialità di cui vantiamo l’esportazione: escluso vino e olio d’oliva tutte contengono mais, dal Parmigiano Reggiano al Prosciutto di Parma passando per Culatello, Salame, Montasio e Taleggio.
Ho voluto ricordare la squisita lealtà della concorrenza sul mercato americano, ho ricordato il rigore etico della stampa a stelle e strisce. Chi viene onorato come il maggior genio agropolitico italiano ha celebrato la superiorità italica sulla civiltà americana sostituendo, in una locuzione emblematica, l’aggettivo slow all’aggettivo fast, additando nella filosofia culinaria italiana l’orizzonte della civiltà ai barbari che vivono tra le rive dello Hudson e quelle del Potomak. Naturalmente le specialità della civiltà italiana debbono essere rigorosamente o.g.m. free.
Chi scrive non si reputa profeta di superiori civiltà alimentari, conosce gli strumenti della concorrenza sul mercato americano, e prevede che, appena il Segretario di Stato per la salute decretasse, come gli è stato suggerito dal mondo scientifico, di proibire gli ibridi di mais tradizionali, la stampa americana si scatenerebbe con furia selvaggia (il vate non proclama che fast equivale a selvaggio?) contro le nostre specialità prodotte con mais tradizionali. Abbiamo occupato spazi troppo ricchi, sostituire i nostri prosciutti e i nostri salami sarebbe affare cui tutta l’industria alimentare americana parteciperebbe con passione. Chi, in spregio ai costumi dei selvaggi di Manhattan, ha proclamato che la civiltà pretende slow food, si vedrebbe restituito l’apprezzamento con la dichiarazione che i nostri slow food sarebbero, infelicemente, anche cancer food, e malformation food. Vero, falso? Questo è il mercato americano. L’apprendista stregone che ha usato come formula magica l’aggettivo del lessico americano potrà vantare di avere evocato lo spettro che nessun maestro di stregoneria era riuscito, prima, a scatenare.




Antonio Saltini
Già docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e Vita.
E' autore della Storia delle Scienze Agrarie, l’ultima edizione dell’opera, in sette volumi pubblicati tra il 2010 e il 2013, è ora proposta in lingua inglese "
Agrarian Sciences in the West". Tale opera, per la ricchezza dei contenuti e dell'iconografia, costituisce un autentico unicum nel panorama editoriale mondiale, prestandosi in modo egregio a divulgare in tutto il mondo la storia del pensiero agronomico occidentale.

 

1 commento:

  1. Caro Antonio,

    Se può confortare il tuo essere un profetico lungimirante, sappi che le prime avvisaglie di battaglia sono cominciate, non dimentichiamo che il TTIP sta annaspando per l'opposizione europea.

    Ecco cosa dice il CIRC o IARC che dir si voglia. E' proprio lo stesso che ha innescato la questione glyphosate (ecco perchè io credo che sia un'azione concertata per togliere dall'uso il diserbante al fine di eliminare la concorrenza ed immettere sul mercato un altro prodotto già pronto, ma con la differenza che ora gli agricoltori puliscono un ettaro di terra dalle invasioni di erbe infestanti con 10 € e dopo lo faranno con 100 €) e che adesso dice:

    " un gruppo di lavoro di esperti di risonanza mondiale, convocato dal CIRC e con l'appoggio delle fondazione Gate ha esaminato gli effetti sulla salute delle aflatossine e fumonisine. Il panel ha concluso che queste micotossine non sono solamente una causa di
    effets sur la santé des aflatoxines et des fumonisines. Le panel a concluso che queste micotossine non sono solo una causa di intossicazione acuta e di cancro, ma sono anche un fattore che contribuisce a livelli elevati a dei ritardi di crescita nei bambini delle popolazioni interessate. Il gruppo di lavoro ha anche identificato delle misure efficaci per ridurre l'esposizione nei paesi in sviluppo. queste raccomandazioni sono satate pubblicate nel rapporto della lotta contro le micotossine nei paesi a reddito basso
    Ecco gli estremi del rapporto:
    http://publications.iarc.fr/Book-And-Report-Series/Iarc-Working-Group-Reports/Lutte-Contre-Les-Mycotoxines-Dans-Les-Pays-A-Revenu-Faible-Et-Intermediaire-2015

    Perchè gli americani non dovrebbero usare questo rapporto per iniziare la strategia di chiusura ai nostri prodotti legati in qualche modo al mais che tu hai ben delineato sui prodotti italiani a base di mais?
    Se lo facessero "il Lento" che tu citi senza nominare metterebbe ancora sugli altari il CIRC, come fa per il gliphosate, oppure ne farebbe l'archetipo del "drago capitalista" amico delle multinazionali

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