di Alberto Guidorzi
LA RIVOLUZIONE DEL SEME.
IL DECENNIO DI PREPARAZIONE AL MEC.
Prima puntata:
Le piante saccarifere industriali e la loro storia
Seconda puntata:
La produzione dello zucchero nel mondo fino al consolidamento
Seconda puntata:
La produzione dello zucchero nel mondo fino al consolidamento
Quarta puntata
Quinta puntata
Il reperimento di semente è difficoltoso: in Italia la produzione è scarsa e di cattiva qualità, nei paesi germanici tutto è distrutto o passato oltre cortina, solo una ditta francese, la Florimond Desprez, nel 1946 ha seme da vendere e l’Eridania ne fa incetta.
Si prefigura un aumento dei consumi per l’allentamento del razionamento ma non si riescono a ripristinare le scorte che sono soddisfatte da importazioni. Il 1948 registrerà un raccolto eccezionale (altro anno eccezionale sarà il 1959) e si modifica il quadro; tuttavia il divario di prezzo tra zucchero nazionale ed estero rimane grande (145 £/kg contro le 70). I saccariferi protestano ed il nuovo presidente dell’Eridania (Cevasco muore nel 1947) afferma che: “è inopportuno rivolgersi al mercato estero, quando questo quoti a prezzi inferiori a quelli dello zucchero nazionale ma l’industria saccarifera e la bieticoltura non possono essere congelate quando può far comodo”. La lamentela dà origine all’istituzione di un diritto di confine a favore dall’erario, pari alla differenza tra i due prezzi e nello stesso tempo s’istituisce una Commissione d’indagine sul settore.
I provvedimenti però risvegliano i liberisti che sostengono che il dazio è una taglia sui consumatori. Einaudi afferma che: “un’industria nata nell’800 non possa pretendere la stessa protezione di quelle nuove, pertanto il diritto di confine sostiene solo un’industria invecchiata ma che invecchiando si è rimbambita!”. Ernesto Rossi invece nel 1952 aveva dato alle stampe un libro presso Laterza ed il cui titolo era assiomatico del modo di pensare dell’economista, il titolo era: “Zucchero amaro in Settimo non rubare”. Dunque la filiera bieticolo-saccarifera, quest’ultima in particolar modo, cominciò ad essere protetta con Giolitti contro il parere dei liberisti, continuò ad esserla durante il fascismo e questo ultimo zittì i dissensi; essa ritornò alla carica per essere protetta anche dopo il secondo conflitto mondiale ed il nuovo stato democratico accondiscese perché non poteva rinunciare all’introito fiscale generato.
Negli anni successivi la produzione mondiale continua ad aumentare e di conseguenza i prezzi a flettere, ma in Italia, protetta da dazi di circa il 100% ad valorem, inizia l’euforia della ricapitalizzazione delle imprese. Contemporaneamente il cartello saccarifero si rompe ed al suo posto ne sorgono due: uno comprendente l’Eridania (47% delle produzione) e l’altro composto dalle società di Piaggio e Montesi (39% della produzione). Non vi erano apparenti motivi di dissenso tra i due; forse si voleva mantenere la libertà nello stabilire i rapporti con i bieticoltori.
Comunque sia, i bilanci delle società saccarifere divengono molto solidi, l’Eridania nel 1952 ha un utile di oltre un miliardo con un indice di rendimento del capitale del 32%. Il 1955 fu un’annata eccezionale per la produzione bieticola e si ricavò zucchero in eccedenza pari a tre volte le scorte fisiologiche. Si entrò perciò nella crisi di sovrapproduzione, che, in gran parte, era la normale conseguenza della protezione.
Inizia il terzo boom saccarifero, dopo quello di fine secolo ed il successivo del 1923/24; nascono 19 nuove unità produttive: tredici sono al Nord, quattro al centro, per opera quasi esclusivamente della Sadam, e due al sud, a seguito degli aiuti concessi a questa zona d’Italia. Comincia il trend dell’aumento dei consumi pro-capite, che raddoppieranno nei dieci anni successivi alla guerra.
Sorge ben chiara l’esigenza di imprimere una svolta all’agronomia della bietola, puntando su: lavorazioni del terreno, concimazioni e sementi. Dobbiamo registrare quindi la prima rivoluzione nell’ambito delle sementi, cioè l’avvento delle sementi poliploidi, vale a dire con corredo cromosomico triplicato o raddoppiato. La storia di questi semi è da raccontare in quanto essi sono stati ottenuti in USA, ma mai utilizzati a causa della spinta tipicizzazione territoriale delle varietà diploidi americane. Essi furono ottenuti anche in Europa e precisamente in Svezia, ma qui i risultati produttivi non furono molto dissimili dalle varietà diploidi già coltivate. La loro sperimentazione al sud del nostro continente invece rivelò tutte le peculiarità di queste nuove sementi a corredo cromosomico aumentato. Si dimostrarono, infatti, molto più rustiche rispetto agli stress climatici, ruppero in parte il legame inverso tra produzione di radici e polarizzazione, ed il glomerulo, cioè l’involucro persistente che conteneva i semi, aveva un diametro più grosso, ma nel contempo conteneva meno germi (130-150 germi/100 glomeruli).
Quest’ultima caratteristica diede il primo notevole contributo all’esigenza di facilitare e sveltire il diradamento manuale del dopo semina e la relativa crisi d’assestamento delle radici delle piante diradate. Ci si accorse che era possibile, con la smerigliatura del glomerulo, eliminare una parte dei germi in soprannumero e di calibrare meglio il seme (4-6 mm) e quindi procedere ad una deposizione più precisa e distanziata dei semi sulla fila. Un successivo progresso, però siamo ormai già negli anni ’60, fu la creazione del seme “monogerme tecnico” che era ottenuto dai glomeruli polipoidi per mezzo della segmentazione meccanica e con successiva pulizia dai pezzi inerti e dalla polvere generatasi. Si ottenne così una semente con elevato numero di glomeruli che originavano la fuoriuscita dal terreno di un solo germe. Si entrò nell’era della “semina di precisione”: semina distanziata dei singoli semi e da dove emergevano piante singole e distanziate. I tempi del diradamento manuale si ridussero grandemente e soprattutto si limitarono gli stress delle piante rimaste. Iniziarono a questo punto le prime prove di confettatura (rivestimento con materiali inerti) dei glomeruli per arrotondarne la forma e facilitarne la deposizione con seminatrici meccaniche a dischi distributori alveolati.
La sovrapproduzione di zucchero del 1955 genererà conflittualità tra i due cartelli, il primo vorrebbe imporre il calo programmato e temporaneo della superficie coltivata per mantenere intatti i prezzi, mentre il secondo propende per il calo di prezzo allo scopo di favorire l’aumento dei consumi. L’accordo non si trova ed il secondo cartello metterà in atto la sua strategia autonomamente. Quest’ultima innesca pure la diatriba circa l’utilità di ricavare zucchero dal melasso tramite la “baritazione”. Questo processo era conosciuto già alla fine dell’ottocento, ma venne successivamente abbandonato per l’elevato costo (la barite, un minerale di bario, proveniva esclusivamente dal Belgio). Essa, però, ebbe un revival quando fu brevettato un sistema per riottenere la barite dal carbonato di bario con cui si arricchivano i melassi dopo l’estrazione supplementare di zucchero. Ben presto però il procedimento ritornò nell’oblio una seconda volta. Il sistema fu appunto resuscitato dal secondo cartello in quanto la società Italiana Zuccheri di Piaggio ne conservava la tecnologia presso l’impianto di Legnago. Il progetto era il seguente: in previsione di un aumento dei consumi si potevano integrare i bisogni sopravvenienti con lo zucchero contenuto nel melasso, senza così impostare una produzione di materia prima supplementare e che poi si doveva trasformare anche mancandone il bisogno. Evidentemente una strategia siffatta cozzava contro gli interessi dell’Eridania, che aveva scartato la predetta tecnologia, e dell’associazione dei bieticoltori che vedeva di malocchio il freno alla superficie coltivata e quindi al suo plafond d’incasso delle quote associative.
Lo Stato si barcamenerà con provvedimenti che con un neologismo moderno possiamo definire “cerchiobottisti”. Infatti esso non darà innanzitutto impulso alla ripresa dei lavori della Commissione d’Indagine conoscitiva sulle caratteristiche del settore instaurata nel 1948 per venire incontro alle istanze liberiste, diminuirà poi di troppo poco la tassazione per ottenere un aumento conveniente dei consumi e, cosa inspiegabile, tasserà lo zucchero ottenuto tramite baritazione per riportalo agli stessi livelli di prezzo di quello estratto direttamente dalla bietola. Questo provvedimento susciterà le ire di Ernesto Rossi che accuserà i parlamentari: ”d’avere una cultura economica tale che per loro si dovrebbero pavimentare le strade di pecorino per valorizzare il latte di pecora oppure proibire l’uso dei rasoi di sicurezza per dar lavoro ai barbieri”. Lo scopo comunque di eliminare gli effetti della superproduzione viene raggiunto anche con i metodi propugnati dall’Eridania e dai bieticoltori, e con il consenso tacito dello Stato. La superficie, che si era avvicinata ai 260.000 ha calò di 40.000 ha nel 1957.
Il boom su accennato è sintetizzabile da queste cifre: nel 1957 esistono 32 società saccarifere, 13 in più rispetto all’anteguerra, ma 22 hanno un solo stabilimento e 6 solo due, in totale operano 82 zuccherifici di cui alcuni sono semplici bietolerie. Interessante è anche la localizzazione: 33 sono in Emilia Romagna, 27 nel Veneto, 6 tra Piemonte e Lombardia, 11 sono nel Centro e 5 nel Sud. Sono costruiti tra gli anni 50 e 60 i seguenti zuccherifici: Casei Gerola (Lombardia) ; Portogruaro, Ca’ Venier, Ariano Polesine (Veneto) ; Fontanellato, Finale Emilia, Bando, Comacchio, Ariano F., S. Pietro in Casale-Aie, S.Pietro in Casale-Er.bietoleria, Crevalcore (Emilia) ; S. Agata del Mugello (Toscana) ; Montecosaro (Marche) ; Chieti Scalo, Giulianova (Abruzzo) ; Policoro (Basilicata); Oristano (Sardegna). Interessante è notare che presso lo zuccherificio di Fossalta di Portogruaro, di proprietà dei Marzotto, vi era installato il sistema di lavorazione delle bietole detto De Vecchis dal nome del suo inventore. Era un sistema che tendeva a posticipare l’estrazione dello zucchero nei mesi autunno invernali ed ad allungare i periodi di campagna. Esso consisteva nel ridurre le radici raccolte e portate in zuccherificio in fettucce da non sottomettersi subito a diffusione dei succhi cellulari, ma di essiccarle tal quali e farne una lavorazione d’estrazione nel post-campagna; il metodo però nella sua applicazione industriale si rivelò non idoneo e per nulla conveniente. Il problema di una lavorazione concentrata in poco tempo è sempre stato un handicap dell’industria saccarifera italiana; nel 1957 la campagna media era di 56 giorni. In totale in Italia si producevano 9.500 t di zucchero.
Molte di queste fabbriche e di quelle precedentemente citate, per effetto delle ristrutturazioni e delle crisi degli ultimi quarant’anni sono state chiuse, ma nella quasi totalità dei casi ne rimangono ancora oggi i ruderi o le “vestigia”. La produzione unitaria in campagna si era intanto innalzata ed era stabilmente sulle 4 t/ha di saccarosio. Se si pensa che la campagna promozionale del regime del 1942 parlava già di 5 t, si potrebbe pensare ad una contraddizione tra i due dati, ma la cosa è facilmente spiegabile se si tiene conto che la bieticoltura del Centro-Sud dell’Italia ha inciso ed inciderà sempre nel diminuire le medie produttive nazionali. Societariamente dominano ancora i tre gruppi in precedenza citati: Eridania, SIIZ e Montesi.
I provvedimenti però risvegliano i liberisti che sostengono che il dazio è una taglia sui consumatori. Einaudi afferma che: “un’industria nata nell’800 non possa pretendere la stessa protezione di quelle nuove, pertanto il diritto di confine sostiene solo un’industria invecchiata ma che invecchiando si è rimbambita!”. Ernesto Rossi invece nel 1952 aveva dato alle stampe un libro presso Laterza ed il cui titolo era assiomatico del modo di pensare dell’economista, il titolo era: “Zucchero amaro in Settimo non rubare”. Dunque la filiera bieticolo-saccarifera, quest’ultima in particolar modo, cominciò ad essere protetta con Giolitti contro il parere dei liberisti, continuò ad esserla durante il fascismo e questo ultimo zittì i dissensi; essa ritornò alla carica per essere protetta anche dopo il secondo conflitto mondiale ed il nuovo stato democratico accondiscese perché non poteva rinunciare all’introito fiscale generato.
Negli anni successivi la produzione mondiale continua ad aumentare e di conseguenza i prezzi a flettere, ma in Italia, protetta da dazi di circa il 100% ad valorem, inizia l’euforia della ricapitalizzazione delle imprese. Contemporaneamente il cartello saccarifero si rompe ed al suo posto ne sorgono due: uno comprendente l’Eridania (47% delle produzione) e l’altro composto dalle società di Piaggio e Montesi (39% della produzione). Non vi erano apparenti motivi di dissenso tra i due; forse si voleva mantenere la libertà nello stabilire i rapporti con i bieticoltori.
Scarico in zuccherificio |
Inizia il terzo boom saccarifero, dopo quello di fine secolo ed il successivo del 1923/24; nascono 19 nuove unità produttive: tredici sono al Nord, quattro al centro, per opera quasi esclusivamente della Sadam, e due al sud, a seguito degli aiuti concessi a questa zona d’Italia. Comincia il trend dell’aumento dei consumi pro-capite, che raddoppieranno nei dieci anni successivi alla guerra.
Sorge ben chiara l’esigenza di imprimere una svolta all’agronomia della bietola, puntando su: lavorazioni del terreno, concimazioni e sementi. Dobbiamo registrare quindi la prima rivoluzione nell’ambito delle sementi, cioè l’avvento delle sementi poliploidi, vale a dire con corredo cromosomico triplicato o raddoppiato. La storia di questi semi è da raccontare in quanto essi sono stati ottenuti in USA, ma mai utilizzati a causa della spinta tipicizzazione territoriale delle varietà diploidi americane. Essi furono ottenuti anche in Europa e precisamente in Svezia, ma qui i risultati produttivi non furono molto dissimili dalle varietà diploidi già coltivate. La loro sperimentazione al sud del nostro continente invece rivelò tutte le peculiarità di queste nuove sementi a corredo cromosomico aumentato. Si dimostrarono, infatti, molto più rustiche rispetto agli stress climatici, ruppero in parte il legame inverso tra produzione di radici e polarizzazione, ed il glomerulo, cioè l’involucro persistente che conteneva i semi, aveva un diametro più grosso, ma nel contempo conteneva meno germi (130-150 germi/100 glomeruli).
Quest’ultima caratteristica diede il primo notevole contributo all’esigenza di facilitare e sveltire il diradamento manuale del dopo semina e la relativa crisi d’assestamento delle radici delle piante diradate. Ci si accorse che era possibile, con la smerigliatura del glomerulo, eliminare una parte dei germi in soprannumero e di calibrare meglio il seme (4-6 mm) e quindi procedere ad una deposizione più precisa e distanziata dei semi sulla fila. Un successivo progresso, però siamo ormai già negli anni ’60, fu la creazione del seme “monogerme tecnico” che era ottenuto dai glomeruli polipoidi per mezzo della segmentazione meccanica e con successiva pulizia dai pezzi inerti e dalla polvere generatasi. Si ottenne così una semente con elevato numero di glomeruli che originavano la fuoriuscita dal terreno di un solo germe. Si entrò nell’era della “semina di precisione”: semina distanziata dei singoli semi e da dove emergevano piante singole e distanziate. I tempi del diradamento manuale si ridussero grandemente e soprattutto si limitarono gli stress delle piante rimaste. Iniziarono a questo punto le prime prove di confettatura (rivestimento con materiali inerti) dei glomeruli per arrotondarne la forma e facilitarne la deposizione con seminatrici meccaniche a dischi distributori alveolati.
La sovrapproduzione di zucchero del 1955 genererà conflittualità tra i due cartelli, il primo vorrebbe imporre il calo programmato e temporaneo della superficie coltivata per mantenere intatti i prezzi, mentre il secondo propende per il calo di prezzo allo scopo di favorire l’aumento dei consumi. L’accordo non si trova ed il secondo cartello metterà in atto la sua strategia autonomamente. Quest’ultima innesca pure la diatriba circa l’utilità di ricavare zucchero dal melasso tramite la “baritazione”. Questo processo era conosciuto già alla fine dell’ottocento, ma venne successivamente abbandonato per l’elevato costo (la barite, un minerale di bario, proveniva esclusivamente dal Belgio). Essa, però, ebbe un revival quando fu brevettato un sistema per riottenere la barite dal carbonato di bario con cui si arricchivano i melassi dopo l’estrazione supplementare di zucchero. Ben presto però il procedimento ritornò nell’oblio una seconda volta. Il sistema fu appunto resuscitato dal secondo cartello in quanto la società Italiana Zuccheri di Piaggio ne conservava la tecnologia presso l’impianto di Legnago. Il progetto era il seguente: in previsione di un aumento dei consumi si potevano integrare i bisogni sopravvenienti con lo zucchero contenuto nel melasso, senza così impostare una produzione di materia prima supplementare e che poi si doveva trasformare anche mancandone il bisogno. Evidentemente una strategia siffatta cozzava contro gli interessi dell’Eridania, che aveva scartato la predetta tecnologia, e dell’associazione dei bieticoltori che vedeva di malocchio il freno alla superficie coltivata e quindi al suo plafond d’incasso delle quote associative.
Lo Stato si barcamenerà con provvedimenti che con un neologismo moderno possiamo definire “cerchiobottisti”. Infatti esso non darà innanzitutto impulso alla ripresa dei lavori della Commissione d’Indagine conoscitiva sulle caratteristiche del settore instaurata nel 1948 per venire incontro alle istanze liberiste, diminuirà poi di troppo poco la tassazione per ottenere un aumento conveniente dei consumi e, cosa inspiegabile, tasserà lo zucchero ottenuto tramite baritazione per riportalo agli stessi livelli di prezzo di quello estratto direttamente dalla bietola. Questo provvedimento susciterà le ire di Ernesto Rossi che accuserà i parlamentari: ”d’avere una cultura economica tale che per loro si dovrebbero pavimentare le strade di pecorino per valorizzare il latte di pecora oppure proibire l’uso dei rasoi di sicurezza per dar lavoro ai barbieri”. Lo scopo comunque di eliminare gli effetti della superproduzione viene raggiunto anche con i metodi propugnati dall’Eridania e dai bieticoltori, e con il consenso tacito dello Stato. La superficie, che si era avvicinata ai 260.000 ha calò di 40.000 ha nel 1957.
Il boom su accennato è sintetizzabile da queste cifre: nel 1957 esistono 32 società saccarifere, 13 in più rispetto all’anteguerra, ma 22 hanno un solo stabilimento e 6 solo due, in totale operano 82 zuccherifici di cui alcuni sono semplici bietolerie. Interessante è anche la localizzazione: 33 sono in Emilia Romagna, 27 nel Veneto, 6 tra Piemonte e Lombardia, 11 sono nel Centro e 5 nel Sud. Sono costruiti tra gli anni 50 e 60 i seguenti zuccherifici: Casei Gerola (Lombardia) ; Portogruaro, Ca’ Venier, Ariano Polesine (Veneto) ; Fontanellato, Finale Emilia, Bando, Comacchio, Ariano F., S. Pietro in Casale-Aie, S.Pietro in Casale-Er.bietoleria, Crevalcore (Emilia) ; S. Agata del Mugello (Toscana) ; Montecosaro (Marche) ; Chieti Scalo, Giulianova (Abruzzo) ; Policoro (Basilicata); Oristano (Sardegna). Interessante è notare che presso lo zuccherificio di Fossalta di Portogruaro, di proprietà dei Marzotto, vi era installato il sistema di lavorazione delle bietole detto De Vecchis dal nome del suo inventore. Era un sistema che tendeva a posticipare l’estrazione dello zucchero nei mesi autunno invernali ed ad allungare i periodi di campagna. Esso consisteva nel ridurre le radici raccolte e portate in zuccherificio in fettucce da non sottomettersi subito a diffusione dei succhi cellulari, ma di essiccarle tal quali e farne una lavorazione d’estrazione nel post-campagna; il metodo però nella sua applicazione industriale si rivelò non idoneo e per nulla conveniente. Il problema di una lavorazione concentrata in poco tempo è sempre stato un handicap dell’industria saccarifera italiana; nel 1957 la campagna media era di 56 giorni. In totale in Italia si producevano 9.500 t di zucchero.
Molte di queste fabbriche e di quelle precedentemente citate, per effetto delle ristrutturazioni e delle crisi degli ultimi quarant’anni sono state chiuse, ma nella quasi totalità dei casi ne rimangono ancora oggi i ruderi o le “vestigia”. La produzione unitaria in campagna si era intanto innalzata ed era stabilmente sulle 4 t/ha di saccarosio. Se si pensa che la campagna promozionale del regime del 1942 parlava già di 5 t, si potrebbe pensare ad una contraddizione tra i due dati, ma la cosa è facilmente spiegabile se si tiene conto che la bieticoltura del Centro-Sud dell’Italia ha inciso ed inciderà sempre nel diminuire le medie produttive nazionali. Societariamente dominano ancora i tre gruppi in precedenza citati: Eridania, SIIZ e Montesi.
Carico e trasporto |
Il 1957 è anche l’anno in cui viene firmato il trattato di Roma che istituisce la CEE e parte quindi il decennio preparatorio che deve permettere ai vari Stati Membri di adeguare le strutture agricole alla futura Politica Agricola comunitaria. Il 1958 ed il 1959 sono due annate caratterizzate rispettivamente da elevatissima polarizzazione e da altissima produzione, condizioni aggravate da una superficie aumentata. In Veneto, anche se non si sapeva ancora di cosa si trattasse, si evidenziarono i primi sintomi di una nuova malattia, la rizomania, incidente soprattutto sull’eccessivo abbassamento delle polarizzazioni. Per ovviare in parte a ciò si ottenne dallo Stato che non autorizzasse importazioni di seme di tipo E (a grande produzione ponderale) da far seminare in Veneto.
Comunque, data la numerosità degli stabilimenti e la loro localizzazione concentrata, gli alti e bassi della superficie degli anni ‘50 creavano ciclicamente delle insufficienze di approvvigionamento presso taluni zuccherifici e conseguenti acquisti di materia prima anche lontano dal comprensorio naturale dello zuccherificio stesso. In questo contesto nacquero figure di mediatori e di commercianti di materia prima per conto di zuccherifici che mancavano di prodotto da lavorare. Ciò determinerà dei sovrapprezzi sulle bietole che incideranno sui bilanci delle società saccarifere più deboli e comporterà la loro chiusura o vendita ai gruppi saccariferi confinanti.
E’ di questo periodo il tentativo d’introduzione di un nuovo sistema analitico molto semplificato (il metodo idrostatico): si pesava un campione di bietole all’aria e poi lo si risipesava immerso nell’acqua. I due dati, tramite un prontuario, permettevano di calcolare le densità delle radici. La polarizzazione continuava a determinarsi come in precedenza. Il metodo eliminava tutta la manipolazione legata alla determinazione della densità con il densimetro e relative discussioni sulle procedure, ma il suo “difetto” stava proprio in questo: avrebbe tolto possibilità di manomettere i campioni e contemporaneamente sarebbe diminuita l’importanza della funzione dell’associazione bieticola nell’effettuare il controllo nel laboratorio. E’ di questi anni, infatti, l’inizio della messa in discussione dell’operato dell’associazione unica e la nascita del CNB, grandemente avversato dai grandi gruppi. La messa in discussione dello status-quo aveva anche connotazioni politiche in quanto l’ANB faceva riferimento ai partiti di governo, mentre il CNB si faceva portatore delle esigenze dell’associazionismo agricolo di sinistra. La diaspora nell’ambito dell’associazione unica non finirà qui, ma continuerà fino ai nostri giorni e tanto danno arrecherà all’esigenza di migliorare la competitività della filiera.
Altro aspetto era dato dalle caratteristiche dei semi in funzione della provenienza: nazionale o estera. Dalla Francia e dall’Olanda arrivavano dei tipi E ed EE (radici voluminose, pesanti, e, in questi Paesi, con escavazione tardiva) mentre dall’Est dell’Europa affluiva seme di tipo Z (radici più ricche in zucchero ma più piccole e considerate qui a ciclo corto, cioè più precoci). Il seme italiano era invece quasi tutto di tipo N (tipo intermedio) e Z (ad alto titolo zuccherino). Per la grossezza delle radici e la loro forma, i tipi a peso erano facilmente estirpabili manualmente con i comuni uncini del tempo, mentre i tipi Z con radici più interrate e allungate resistevano di più all’escavazione. Inoltre nei climi mediterranei si assisteva ad un fenomeno sempre tecnicamente mal interpretato in Italia, e cioè l’utilità di invertire, rispetto ai paesi d’origine, la precocità d’escavo tra i tipi E e Z. I tipi italiani di seme avevano inoltre l’aggravante di produrre radici biforcute e quindi ancor più faticose da estrarre dal terreno. Gli agricoltori, a quel tempo non penalizzati eccessivamente dalle basse polarizzazioni perché la prezzatura delle bietole avveniva mediante un apposito parametro di valutazione adattato all’Italia, preferivano senz’altro i tipi E e ciò per due motivi: cavati presto soddisfacevano produttivamente e in secondo luogo liberavano i terreni argillosi precocemente. Gli zuccherifici invece preferivano i tipi N o Z perché lo zucchero si estraeva più facilmente.
Evoluzione del seme |
Il seme però bisognava obbligatoriamente andarlo a prendere in zuccherificio e quest’ultimo per mostrare di assecondare anche le preferenze dei bieticoltori adottava il sotterfugio di riempire il sacco svuotato del seme estero con seme di tipo Z nazionale e di prendere poi da lì il seme per riempire i sacchetti portati dagli agricoltori. I coltivatori con più spirito d’indipendenza prendevano passivamente il seme meno costoso proposto dallo zuccherificio, lo buttavano, e compravano il seme estero di tipo E sul mercato. Il seme nazionale rappresentava circa il 60% del seme seminato, mentre quello estero era il 40%.
Si può concludere che, in vista della nuova sfida ed a cinquant’anni dal decollo dell’industria saccarifera italiana, questa non aveva ancora fatto i progressi tecnologici di altre nazioni (si pagavano gli effetti della troppa concentrazione produttiva, finanziaria e del cartello che salvaguardava i profitti eliminando qualsiasi concorrenza). La bieticoltura, oltre a pagare l’handicap perenne del clima, non era pronta culturalmente ad accogliere le innovazioni che si stavano verificando nel campo della genetica e della meccanizzazione. E’ questo un altro momento nel quale molti recitarono il “de profundis” del settore perché esso non sarebbe sopravvissuto ai nuovi parametri imposti dalla CEE.
Ancora una volta erano i consumatori a pagare un elevato prezzo al consumo. I consumi continuavano ad avere un trend lento d’aumento; a livello nazionale si consumavano circa 9 milioni di quintali. Le due maggiori società saccarifere se ne disputavano le colpe, mentre lo Stato fu obbligato ad intervenire regolamentando gli investimenti, la trasformazione e nel contempo a far calare la protezione per cercare di far crescere i consumi.
Gli industriali, verso la fine del periodo preparatorio cercarono di modernizzare le strutture – lo zuccherificio di Fermo (AP) inaugurato nel 1967 era considerato all’avanguardia, come pure quello di San Quirico (PR) inaugurato nel 1970 - e di chiudere le unità più obsolete. Nelle zone venete, infestate dalla rizomania, molte fabbriche chiusero e diminuì la superficie coltivata. Il 1966 segna anche il passaggio del pacchetto di maggioranza dell’Eridania al ravennate Attilio Monti, arricchitosi con la raffinazione del petrolio. La ristrutturazione tuttavia si arresta a livelli ancora bassi (16 mila t di zucchero per impianto contro le 28 mila della media europea). Nasce agli inizi degli anni 60 il primo esperimento italiano di trasformazione cooperativa presso lo stabilimento di Minerbio (1963), mentre in Europa la cooperazione era già più sviluppata.
Tra la fine degli anni ’60 e la metà degli anni ’70 entra in uso prepotentemente un nuovo tipo di seme, il “monogerme genetico”, che in un quinquennio passa dal 10% all’80% di utilizzazione. Con questi semi, resi per selezione genetica “monosemi” emergeva dal terreno un solo germe e quindi le piante erano già distanziate all’atto della semina. Il seme monogenetico naturale aveva forma lenticolare e quindi per migliorane la seminabilità si pensò di rivestirli con inerti per arrotondarne la forma (confettatura). Nel contempo si aggiunsero agli inerti (torba o caolino) degli insetticidi e dei fungicidi a protezione della giovane pianta e si riuscì a seminare in posto. Il diradamento manuale venne eliminato definitivamente e contemporaneamente si affermò il diserbo chimico, eliminando così anche la sarchiatura manuale. Si meccanizzò anche la raccolta.
La produttività aumentò per effetto soprattutto del miglioramento della tecnica di coltivazione, accompagnato dal calo nella percentuale di zucchero delle radici di circa un grado polarimetrico rispetto al periodo precedente (355 q/ha e 14,80°).
La produttività aumentò per effetto soprattutto del miglioramento della tecnica di coltivazione, accompagnato dal calo nella percentuale di zucchero delle radici di circa un grado polarimetrico rispetto al periodo precedente (355 q/ha e 14,80°).
Alberto Guidorzi
Agronomo. Diplomato all' Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureto in Scienze Agrarie presso UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni presso la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia ; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.
En passant vorrei fare una precisazione e far notare che l'ottenimento dei semi poliploidi è frutto di una biotecnologia, nel senso che seppure la poliploidizzazione sia un fenomeno casuale che è avvenuto nel tempo in natura e tanto progresso ci ha permesso di sfruttare (il frumento lo abbiamo grazie alla poliploidizzazione) quella della bietola è frutto di un trattamento chimico sui germogli dei semi mediante un alcaloide (la colchicina) che influenzava la migrazione del cromosomi nella divisione cellulare. Con una successiva cernita fatta contando i cromosomi delle cellule si ottennero delle nuove piante tetraploidi (raddoppio del numero normale dei cromosomi della bietola, che è di 18, a 36). Dato che ciò che era divenuto tetraploide si sarebbe dovuto selezionare in modo da rendere i nuovi semi capaci da dare piante agronomicamente più valide, tutto questo lavoro aveva dei costi ed inoltre il nuovo seme in certi casi surclassava il seme tradizionale diploide, quindi se si fossero vendute queste sementi allo stato tetraploide subito la concorrenza se ne sarebbe impossessata.
RispondiEliminaSi escogitò allora di mettere sul mercato non dei semi tetraploidi, bensì dei semi triploidi (con un numero di cromosomi pari a 27) frutto dell'incrocio di piante diploidi con piante tetraploidi in quanto poco si perdeva dei vantaggi della poliploidizzazione, ma si mettevano sul mercato piante che se portate a fare seme avrebbero prodotto dei semi sterili e quindi non riutilizzabili (le banane senza semi si basano sullo stesso principio e l'incrocio è avvenuto naturalmente, poi l'uomo, vistane l'utilità) ha moltiplicato le piante per via agamica. Nelle angurie senza semi invece il fenomeno è artificiale).
Perchè di questa premessa? Per portare a conoscenza anche dei non addentro alle sementi che i "famigerati" SEMI STERILI (in questo caso nell'involucro legnoso non vi erano le mandorle, su cui tanti strali sono stati lanciati nell'enciclica "LAUDATO SI'" e che molti fedeli ignari additano a scandalo, ma, cosa più grave, hanno armato l'arco dei tanti profittatori dell'ideologia ambientalista e che nulla hanno a che fare con la fede nel Vangelo, sono nati negli anni 1960. Vale a dire più di un secolo fa?
Ebbene allora che i semi sterili erano realmente esistenti, nessuno è insorto a denunciare lo "scanadalo", anche la Chiesa se n'è ben guardata anzi li ha benedetti (quanti parroci durante le rogazioni hanno benedetto dei bietolai triploidi, vale a dire senza possibilità di dare un seme seminabile dopo due anni?
Faccio notare che anche le sementi ibride sono una forma di STERILITA', non botanica, ma economica. Si impedisceall'agricoltore di seminare la sua produzione di semi perchè gli si arrecherebbe un danno economico. Perchè nessuno è insorto contro? Perchè la Chiesa ne ha benedetto le coltivazioni?
Lo scandalo c'è stato invece quando di semi sterili non se ne producevano (Nessuna delle Piante GM produce semi sterili!!!!) e la Chiesa ha detto ai fedeli che era colpa degli OGM.
Il Papa si è fatto mal consigliare, ma pochi hanno avuto il coraggio di dirglielo.