di Luigi Mariani
I LIMITI ALLA
PRODUTTIVITÀ DELLE COLTURE
Figura 1 – radiazione
solare globale media annua (MJ m-2)
che arriva alle
diverse latitudini del pianeta
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A 45° di
latitudine Nord, una fascia benedetta da Dio perché vi allignano
aree agricole fertilissime e assai produttive, giungono in media ogni
anno 6000 MJ m-2
di radiazione solare globale (figura 1). Di questa solo il 50% è
sfruttabile dalle piante per la fotosintesi, per cui scendiamo a
3000. Una pianta di mais per ogni MJ produce 4 grammi di sostanza
secca, per cui su un ettaro e in un anno otteniamo 3000 MJ m-2
x 4 g MJ-1 x 10000
m2 x 1/1000000 t
g-1= 120 t ha-1.
Morale: un ettaro di terreno può potenzialmente produrre in un anno
120 tonnellate di sostanza secca di mais che, ipotizzando una
percentuale di granella (harvest index) del 60% si traduce in 72 t
ha-1 di prodotto
utile finale.
72
tonnellate per ettaro sono un’enormità, se raffrontate con le 12
tonnellate per ettaro che sono la produzione media annua del mais in
pianura padana. Un tale divario fra produzione potenziale e reale si
giustifica anzitutto con il fatto che il mais non sta in campo per
365 giorni l’anno. Inoltre dobbiamo considerare le decurtazioni
produttive dovute alle seguenti limitazioni:
- limitazioni termiche (temperature non ottimali)
- limitazioni idriche (acqua nel terreno in eccesso o in difetto)
- limitazioni nutrizionali (anidride carbonica, azoto, fosforo, potassio e altri nutrienti presenti in quantità non ottimale)
- avversità atmosferiche (gelo, grandine, vento, neve, ecc.)
- avversità biotiche (da insetti, acari, funghi, batteri, malerbe, ecc.)
Questo
giustifica da un lato il dovere primario dell’agricoltore di
minimizzare tali limitazioni e dall’altro l’attività dei tecnici
(agronomi, periti agrari, genetisti, fitopatologi, entomologi,
chimici meccanici e altri) che nel sistema agricolo o a monte e a
valle dello stesso operano con questo stesso obiettivo.
Sottolineo
inoltre che una delle più grandi eredità culturali del’agronomia
del XX secolo è quella per cui tutte le limitazioni alla produzione
agraria si possono stimare in termini quantitativi (ad esempio la
limitazione termica con curve di risposta, la limitazione idrica con
bilanci idrici e le limitazioni nutrizionali con bilanci dei
nutrienti). Queste nozioni quantitative connesse all’agricoltura mi
sono state trasmesse dai miei maestri ed io stesso ha avuto modo per
anni di trasferirle ai miei studenti e agli agricoltori che si sono
avvalsi dei miei consigli.
ALLE RADICI DEL
RACCAPRICCIO
A ben vedere
è proprio la visione quantitativa descritta nel paragrafo precedente
che rende per me raccapricciante l’immane capacità propria del
nostro tempo di partorire a getto continuo nuove “filosofie
agricole” che si propongono di superare l’agricoltura
convenzionale per riportarci a un’età dell’oro che è solo nelle
teste dei propugnatori delle filosofie stesse. In genere i sistemi
proposti hanno alcuni caratteri comuni che sono i seguenti:
1. partono
in genere dall’idea di fallimento del sistema agricolo globale e
pertanto si propongono palingenesi altrettanto globali (mai un
“filosofo” che si limiti per modestia ad applicare il suo nuovo
metodo al proprio orto; vogliono tutti salvare il mondo dalla
“catastrofe incombente”)
2. sono
oltremodo carenti sul piano delle verifiche sperimentali basate su
prove parcellari opportunamente replicate e sottoposte ad analisi
statistica (ricordo che la statistica applicata per la biologia nasce
proprio in ambito agricolo con lo scopo di smascherare i “venditori
d’olio di serpente”
3. sono di
solito monomaniacali, per cui in questa surreale galleria troviamo
chi odia la fisica e dunque rifiuta di lavorare il terreno, chi odia
la chimica organica e dunque accetta solo i fitofarmaci inorganici,
chi odia la chimica di sintesi (arrivando perciò a sostenere che una
molecola d’urea partorita dalla pancia di un mammifero è buona e
quella che deriva da una sintesi industriale che parte dall’azoto
atmosferico è deleteria per le piante), chi odia l’industria
sementiera e sostiene che i semi debbano essere moltiplicati solo dai
singoli agricoltori, chi odia le colture specializzate (arrivando ad
affermare che la sola agricoltura buona è quella che in uno stesso
campo coltiva in uno stesso istante mais, frumento, fagiolo, veccia …
e chi più ne ha più ne metta, con buona pace per la
meccanizzazione), chi risolve tutto con la musica classica (ottima
per combattere i parassiti e far produrre di più le piante) e chi
odia la zootecnia al punto da proporne sic et
simpliciter l’abolizione.
4. nascono,
si sviluppano e si radicano in contesti urbani in quanto oggi la
cultura nasce nelle città, che sono poi gli unici angoli del pianeta
in grado di partorire simili sciocchezze senza la più lontana ombra
di vergogna.
5. radicano
con facilità nel mondo dei media e vengono spesso fatte proprie da
politici in carriera che ne apprezzano in modo del tutto acritico
l’anelito salvifico. Esempio emblematico è quello del biodinamico
che, dopo essere stato oggette di dotti convegni in Bocconi, sarà
presto (pare) insegnato nelle nostre università, grazie ai buoni
uffici del ministro dell’agricoltura Martina.
CHE DIRE, CHE FARE?
A chi mi
chiede come ci si debba regolare rispetto a queste filosofie credo
utile proporre le considerazioni che seguono.
La prima è
quella per cui, prima di dichiarare che il sistema agricolo globale
ha fallito, è quantomeno consigliabile consultare le statistiche, le
quali nella loro apparente aridità ci dicono che nel XX secolo la
produzione agricola globale è sestuplicata a fronte di un aumento di
quattro volte della popolazione globale. In ciò risiede la ragione
del fatto che la percentuale della popolazione mondiale in condizioni
di insicurezza alimentare sia scesa dal 50% del 1945 al 10% odierno.
Utile al riguardo è altresì consultare le statistiche sulla vita
media, i cu livelli crescenti non dipendono ovviamente solo
dall’agricoltura ma che dalla migliorata alimentazione traggono
innumerevoli vantaggi.
In secondo
luogo ai sistemi agricoli è importante applicare un logica di tipo
evoluzionistico, per cui se l’attuale sistema agricolo-alimentare
globale si è affermato su tanti altri sistemi, qualche ragione ci
dovrà pur essere, che non sia solo quella della perfidia del
capitalismo o dello stato imperialista delle multinazionali.
In terzo
luogo penso che sia necessario che ognuna delle filosofie in
questione superi una verifica razionale di tipo quantitativo
consistente nel verificare con opportuni modelli quanto cibo sarebbe
in grado di produrre a livello globale oppure, nel caso delle
filosofie che propugnano l’abolizione dei concimi azotati di
sintesi, nel verificare se si sia oggi in grado oggi di sopperire al
fabbisogno proteico globale del genere umano senza far ricorso a tali
concimi, che oggi lo coprono al 50%. Inoltre a biologici e
biodinamici chiedo come pensano di risolvere il problema
dell’inquinamento da rame, che usano in quantità considerevoli in
quanto rifiutano i fungicidi organici, che proprio perché organici
sono passibili di degradazione da parte della microflora del terreno
(mente il rame non se lo fila nessuno per cui resta nei terreni, nei
secoli dei secoli). Ai biodinamici chiedo inoltre di farsi i conti
con un semplice bilancio dell’azoto circa quanto azoto richiede una
data coltura e quanto sono in gado di fornire ad essa con i loro
metodi.
Invito anche
a non trascurare l’elemento interpretativo secondo cui molte di
queste “nuove filosofie agricole” nascono con l’obiettivo di
creare nicchie di mercato che a fronte della promessa di cibi sani e
puri offrono al consumatore prodotti a prezzi del tutto esorbitanti.
Al riguardo penso che rispetto a queste filosofie produttive la
legislazione dovrebbe essere improntata alla massima tutela del
consumatore, con un sistema di controlli più che mai severo e
fondato sula regola “producete il cibo come volete ma il
consumatore dev’essere garantito circa la salubrità dello stesso”.
Dico questo anche perché è stata a mio avviso troppo
frettolosamente messa a tacere la vicenda del 2011 in cui un’azienda
agricola biologica tedesca che produceva germogli di fieno greco
provocò la morte di 54 persone e 10mila ricoveri in ospedale fra
Germania e Francia (Frank, 2011). Pertanto non vorrei che in virtù
del luogo comune, che i media propaga all’infinito, secondo cui
“cibo biologico = cibo puro, buono e sano” si finisse per
lesinare sui controlli, che sono oggi più che mai essenziali per noi
consumatori.
Più in
generale invito i “nuovi filosofi agricoli” a considerare che i
sistemi del socialismo reale sono crollati per tantissime ragioni,
una delle quali era l’assenza di un’industria sementiera,
annichilita non solo dall’odio per il sistema capitalistico ma
anche dall’affermarsi di filosofie strane come il lisenkismo, il
quale rifiutava la genetica mendeliana in nome di un folle ritorno a
Lamark.
In
conclusione dunque se la capacità di sviluppare nuovi sistemi
filosofici è una delle più alte capacità del genere umano, il
rischio di cadere in derive metafisiche è molto elevato quando si
tratta del sistema agricolo-alimentare globale. Al riguardo occorre
dire che la storia ci offre innumerevoli esempi su cui riflettere per
non ricadere di nuovo in errori già più volte commessi in passato.
Inviterei in particolare a riflettere su fenomeni quali la grande
carestia d’Irlanda, il grande balzo in avanti di Mao e la politica
agraria di Pol Pot (il quale, non va dimenticato, è un prodotto
della cultura europea, avendo studiato a lungo alla Sorbona).
Bibliografia
Frank et
al., 2011. Epidemic Profile of Shiga-Toxin–Producing Escherichia
coli O104:H4 Outbreak in Germany, The New England Journal of
Medicine, 365, nov. 10, 1771-1780.
Luigi Mariani
Docente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.
Docente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.
Vorrei far notare che si sarebbero evitati 50 morti e tutti i ricoveri ospedalieri, comprese quelle 3000 persone che ne sono uscite con danni permanenti alle funzioni renali, solo se il protocolli del biologico avessero permesso, ma invece lo proibiscono, un lavaggio con acqua clorata (varechina per intenderci)dei semi prima della messa in germinazione. Faccio notare che nessuno dei paranoici biologici vieta che la varechina sia usata nelle loro case.
RispondiEliminaNon ci stupiamo e teniamo duro. Il sistema mediatico è padrone di questi argomenti.
RispondiEliminaPurtroppo....
EliminaCaro Luigi,
RispondiEliminami sembra che l’articolo sia ampiamente condivisibile ma, definendo “nuovi filosofi agricoli” le persone che contesti (peraltro innominate: chi sono?), e che presumibilmente filosofi non sono (quantomeno io, che di filosofia mi occupo da una vita, non ne conosco), si rischia di reiterare l’antico e mai spento luogo comune sulla filosofia come vaniloquio e discorso astratto e insensato che mi meraviglierei se tu facessi tuo.
Altro discorso è invece quello sul “folle ritorno a Lamarck”. Certo è ovvio che nessuno oggi possa seriamente pensare di tornare a Lamarck, e tuttavia nella scienza e teoria della scienza attuale sussistono posizioni neolamarckiane minoritarie ma significative. Non ti tedierò richiamando le pagine in proposito del mio libro (La tragica armonia, pp. 806-826 e altrove), augurandomi che non sia visto come il testo di un “filosofo agricolo” non essendomi mai impegnato nell’agricoltura: richiamerò piuttosto il testo di scienziati come E.J. Steele (Somatic Selection and Adaptive Evolution) o i testi di R. Lewontin (ad es. Gene, organismo e ambiente), i quali ritengono appurata in date condizioni la possibilità per le cellule somatiche di vegetali di assumere funzioni germinali, ciò a cui va aggiunta la consapevolezza circa la “transcriptasi inversa” che ristruttura il Dna correggendo il "dogma centrale della biologia", mostrando l'inversione della normale sequenza dal Dna alle proteine.
Marco
RispondiEliminaLamarck nel suo tempo è stato un grande scienziato, sono le conseguenze e soprattutto le applicazioni pratiche che ne hanno fatto altri; per giunta a distanza di tempo e quando altre conoscenze si erano aggiunte, dando un senso diverso alle intuizioni di Lamarck. Erano infatti solo funzionali ad un disegno politico.