di ALESSANDRO CANTARELLI
Domenica 28 febbraio in prima serata (con replica sabato 5 marzo al pomeriggio), è andata in onda su Rai 3 la trasmissione condotta dal giornalista Riccardo Iacona “Presa Diretta”, dedicata al rapporto tra o.g.m ed agricoltura.
Per chi non avesse avuta la possibilità di seguirne la puntate in Tv, la si può trovare nel sito della trasmissione e se ne consiglia caldamente la visione, a coloro che intendessero conoscere lo stato della ricerca genetico-agronomica italiana, attraverso le testimonianze di una rappresentativa schiera di scienziati che per mestiere, pur tra mille incomprensibili difficoltà ed amarezze, la fanno realmente nei luoghi ad essa deputati: le Facoltà di Agraria.
Si cercherà di riportare per sommi capi alcuni flash di questa puntata, aggiungendo alcune considerazioni.Il primo quesito, quello sul quale basarsi per potere proseguire nelle indagini era: “gli o.g.m sono dannosi alla salute?”, formulata direttamente a due delle massime autorità nazionali, rispettivamente dell’immunologia e della farmacologia, i proff. Mario Mantovani (Humanitas University, Milano ), Silvio Garattini (Ist. “Mario Negri”, Milano), oltre che a riportare l’opinione in materia dell’oncologo (ed ex ministro) prof. Umberto Veronesi (Ist. Europeo di Oncologia, Milano). Essi hanno ribadito che non vi sono assolutamente evidenze scientifiche, che i prodotti o.g.m siano dannosi alla salute! (è stato oltremodo ricordato, che da oltre vent’anni essi arrivano direttamente o indirettamente sulle nostre tavole, in quantità sempre maggiori, così come attualmente circa il 70% del cotone coltivato a livello mondiale; senza considerare le numerose applicazioni in campo extra agricolo).
In questo riconfermando i risultati delle ricerche più che ventennali su questi argomenti (al proposito Agrarian Sciences ha ospitato al proprio interno autorevoli interventi), dove emerge che gli o.g.m ed i relativi prodotti derivati fino ad ora immessi sul mercato, non hanno presentato rischi per la salute umana maggiori di quelli dell’agricoltura convenzionale. A questo punto sorge spontanea una domanda: i prodotti delle cosidette agricolture “alternative” (contemplando in questo i diversi metodi biologici), a parità di condizioni, garantiscono sempre e a prescindere, una maggiore qualità e salubrità delle produzioni?
Clamoroso al riguardo la cronaca del “caso Infascelli”, ossia la clamorosa vicenda di manipolazione dei dati impiegati nelle proprie pubblicazioni scientifiche da parte del docente universitario napoletano (e del suo staff), allo scopo di dimostrare la pericolosità degli alimenti o.g.m (in palese contrasto quindi, con le rilevanze scientifiche della letteratura internazionale). Perfino il Rettore della gloriosa Università di Portici “Federico II”, ai microfoni ha spiegato che un episodio del genere infanga il buon nome dell’Ateneo e che per questo, è stato costretto a prendere i conseguenti provvedimenti disciplinari.
E pensare che tutto è nato perché il prof. Federico Infascelli era stato chiamato al Senato della Repubblica in audizione lo scorso 8 luglio, al preciso scopo di presentare i dati delle sue ricerche che avrebbero dovuto dimostrare che vi era stato il passaggio di DNA transgenico dal mangime alle cellule degli animali alimentati!
In questa triste vicenda, se emerge da una lato la competenza in materia della sen. a vita Elena Cattaneo, che ha permesso l’emersione di questa vera e propria truffa scientifica, dall’altro emerge la dabbennagine di taluni parlamentari che anziché approfondire e documentarsi sui diversi argomenti ai quali sarebbero tenuti (che comportano tempo e fatica, mediaticamente poco premianti bisogna riconoscere), vanno alla ricerca di dati “clamorosi”, che facciano notizia. Questi politici dovrebbero ricordarsi che sono stati eletti dal popolo italiano per fare buone leggi, non per ostacolare il progresso materiale della nostra ricerca e con essa, quello dell’intero settore primario.
Nel sito del Senato si trovano, invero, autorevoli interventi di altrettanti ricercatori chiamati in audizione (anche nella stessa data dell’8 luglio), così come quelli dei proff. Felice Cervone (F.I.S.V) ed Antonio Michele Stanca (UNASA) del 17 giugno 2015, che si invitano a leggere per opportuna conoscenza.
Il primo rappresenta oltre 10.000 ricercatori, il secondo le Accademie scientifico agrarie italiane (e con esse centinaia di valenti ricercatori, in larga parte pubblici).
Ci vuole allora un gran fegato da parte di coloro che si ostinano a sostenere che chi fa ricerca nel settore biotecnologico, la fa comunque perché al soldo delle multinazionali sementiere.
Lo ha spiegato bene il prof. Silviero Sansavini dell’Università di Bologna, il creatore della prima mela cisgenica italiana (=risparmio di circa venti trattamenti in media contro la Venturia inaequalis nel melo e, d’altra parte anche i melicoltori bio non sono indenni dal doverne effettuare, con i prodotti previsti dai rispettivi regolamenti). Prima che venisse introdotto il blocco alla sperimentazione biotech di pieno campo, il suo istituto stava cercando di migliorare diverse varietà di frutta (comprese quelle autoctone, che costituiscono la ricchezza del patrimonio frutticolo italiano), ed i risultati delle sue ricerche, rigorosamente pubbliche, sarebbero state di grande interesse per la creazione di una industria biotecnologica italiana.
E’ emerso che la quasi totalità delle superfici investite a piante geneticamente modificate nel mondo, nelle quali si concentrano gli interessi delle multinazionali sementiere, sono le quattro specie commodities per eccellenza: soia, mais, cotone e colza.Il Prof. Sansavini concludeva che alla fine degli anni novanta le multinazionali non erano, in pratica, minimamente interessate ai suoi progetti, così come a quelli degli altri circa quindici Istituti di ricerca che si occupavano di biotecnologia nel settore ortofrutticolo.
Ma l’agricoltura del nostro paese, quella sì che avrebbe potuto avere grande interesse ad applicarne le innovazioni, a partire da tutte quelle specie a rischio di scomparsa per la gravità di talune malattie. Emblematici a riguardo i casi del pomodoro S. Marzano (che sopravvive grazie a varietà migliorate all’estero), così come della coltura del pesco (nel frattempo fortemente ridimensionata), come ha ben spiegato il prof. Bruno Mezzetti del Politecnico delle Marche, che sta lavorando su diverse specie ortofrutticole.
Ci pensano così altri Paesi ad applicare e portare avanti quelle intuizioni, quelle scoperte dei nostri scienziati, che avevano trovato risalto sulle riviste scientifiche internazionali.Le nostre sperimentazioni sono state infatti bloccate in patria da una legislazione oscurantista, dettata da ragioni politiche di estremismo ambientalista, con grave danno oltre che alla ricerca anche al nostro settore primario.
Vi è da notare che spesso e volentieri, coloro che sostengono che in agricoltura non c’è più bisogno di intensificare le produzioni per una popolazione in continuo aumento (che senza alterare ulteriormente gli ecositemi, rappresenta la sfida del prossimo futuro), a loro dire per ragioni etiche afferenti ad un generico “ritorno alla natura”, ma anche per “precauzione” (da cui discende il noto principio), non hanno invece le stesse remore quando si parla di utero in affitto o maternità surrogata per gli essere umani.Diversi di essi provengono dal mondo animalista, per il quale esseri umani ed animali hanno la stessa dignità, lo stesso valore.
Per tornare invece al corso della puntata, non è mancato nemmeno l’apporto di un divulgatore scientifico di fama come Dario Bressanini il quale, attraverso i suoi interventi e la sua saggistica, ha contribuito a portare alla ribalta numerose “bufale”, che purtroppo da tempo trovano risalto sui media, contribuendo così a disinformare l’opinione pubblica e catturarne l’attenzione con titoli terroristici: è il caso ad es. della fragola-pesce, mai esistita.Può sembrare banale il rilevare questo aspetto; in realtà non si deve scordare che nel nostro Paese, sono state organizzate conferenze pseudoscientifiche inerenti forme di agricoltura alternative, presso Facoltà che non erano quelle di Agraria.
A riprova, si legga l’articolo del prof. Luigi Mariani pubblicato recentemente in queste pagine, dedicato al raduno dei “venditori dell’olio di serpente” presso l’Università Bocconi. D’altra parte siamo pur sempre il Paese dove un premio Nobel per la letteratura nel 1997, vagheggiava la creazione dell’uomo-maiale (con le zampe al posto degli arti), a seguito di possibili introgressioni di DNA suino in quello umano. Chi dopo circa 18 anni da quegli allarmi, avesse avuto modo di constatarne l’esistenza, è vivamente pregato di segnalarlo, allegandone la foto documentale.
Si deve aggiungere che nella storia passata, non sono mancate clamorose prese di posizione di altri Nobel in altri settori, che si sono poi rivelate nel tempo altrettanti clamorosi abbagli: il fisico Philipp Leonard definiva le teorie del giovane Einstein un colossale “bluff ebraico” (col senno del poi…per fortuna!, sennò Hitler avrebbe forse avuto per primo la terribile arma atomica), ed era evidente che l’integralismo ed il furore ideologici avevano in quel caso accecato lo scienziato.
Nel più recente caso “nostrano”, si aggiunga che la competenza della materia trattata era un optional ma, ciò che contava era l’evocazione di scenari ed immagini che catturassero l’attenzione della gente comune, orientandola secondo la propria visione. A questo punto, dovrebbero fare molto riflettere le vicende umane e professionali del prof. Eddo Rugini dell’Università della Tuscia (che con profonda amarezza ma per protesta a quanto ha dovuto ingiustamente subire, oltre che per l’indifferenza del mondo politico alla sua vicenda, restituirà l’onoreficenza di Commendatore) e del prof. Bruno Mezzetti del Politecnico marchigiano.
In questo riconfermando i risultati delle ricerche più che ventennali su questi argomenti (al proposito Agrarian Sciences ha ospitato al proprio interno autorevoli interventi), dove emerge che gli o.g.m ed i relativi prodotti derivati fino ad ora immessi sul mercato, non hanno presentato rischi per la salute umana maggiori di quelli dell’agricoltura convenzionale. A questo punto sorge spontanea una domanda: i prodotti delle cosidette agricolture “alternative” (contemplando in questo i diversi metodi biologici), a parità di condizioni, garantiscono sempre e a prescindere, una maggiore qualità e salubrità delle produzioni?
Clamoroso al riguardo la cronaca del “caso Infascelli”, ossia la clamorosa vicenda di manipolazione dei dati impiegati nelle proprie pubblicazioni scientifiche da parte del docente universitario napoletano (e del suo staff), allo scopo di dimostrare la pericolosità degli alimenti o.g.m (in palese contrasto quindi, con le rilevanze scientifiche della letteratura internazionale). Perfino il Rettore della gloriosa Università di Portici “Federico II”, ai microfoni ha spiegato che un episodio del genere infanga il buon nome dell’Ateneo e che per questo, è stato costretto a prendere i conseguenti provvedimenti disciplinari.
E pensare che tutto è nato perché il prof. Federico Infascelli era stato chiamato al Senato della Repubblica in audizione lo scorso 8 luglio, al preciso scopo di presentare i dati delle sue ricerche che avrebbero dovuto dimostrare che vi era stato il passaggio di DNA transgenico dal mangime alle cellule degli animali alimentati!
In questa triste vicenda, se emerge da una lato la competenza in materia della sen. a vita Elena Cattaneo, che ha permesso l’emersione di questa vera e propria truffa scientifica, dall’altro emerge la dabbennagine di taluni parlamentari che anziché approfondire e documentarsi sui diversi argomenti ai quali sarebbero tenuti (che comportano tempo e fatica, mediaticamente poco premianti bisogna riconoscere), vanno alla ricerca di dati “clamorosi”, che facciano notizia. Questi politici dovrebbero ricordarsi che sono stati eletti dal popolo italiano per fare buone leggi, non per ostacolare il progresso materiale della nostra ricerca e con essa, quello dell’intero settore primario.
Nel sito del Senato si trovano, invero, autorevoli interventi di altrettanti ricercatori chiamati in audizione (anche nella stessa data dell’8 luglio), così come quelli dei proff. Felice Cervone (F.I.S.V) ed Antonio Michele Stanca (UNASA) del 17 giugno 2015, che si invitano a leggere per opportuna conoscenza.
Il primo rappresenta oltre 10.000 ricercatori, il secondo le Accademie scientifico agrarie italiane (e con esse centinaia di valenti ricercatori, in larga parte pubblici).
Ci vuole allora un gran fegato da parte di coloro che si ostinano a sostenere che chi fa ricerca nel settore biotecnologico, la fa comunque perché al soldo delle multinazionali sementiere.
Lo ha spiegato bene il prof. Silviero Sansavini dell’Università di Bologna, il creatore della prima mela cisgenica italiana (=risparmio di circa venti trattamenti in media contro la Venturia inaequalis nel melo e, d’altra parte anche i melicoltori bio non sono indenni dal doverne effettuare, con i prodotti previsti dai rispettivi regolamenti). Prima che venisse introdotto il blocco alla sperimentazione biotech di pieno campo, il suo istituto stava cercando di migliorare diverse varietà di frutta (comprese quelle autoctone, che costituiscono la ricchezza del patrimonio frutticolo italiano), ed i risultati delle sue ricerche, rigorosamente pubbliche, sarebbero state di grande interesse per la creazione di una industria biotecnologica italiana.
E’ emerso che la quasi totalità delle superfici investite a piante geneticamente modificate nel mondo, nelle quali si concentrano gli interessi delle multinazionali sementiere, sono le quattro specie commodities per eccellenza: soia, mais, cotone e colza.Il Prof. Sansavini concludeva che alla fine degli anni novanta le multinazionali non erano, in pratica, minimamente interessate ai suoi progetti, così come a quelli degli altri circa quindici Istituti di ricerca che si occupavano di biotecnologia nel settore ortofrutticolo.
Ma l’agricoltura del nostro paese, quella sì che avrebbe potuto avere grande interesse ad applicarne le innovazioni, a partire da tutte quelle specie a rischio di scomparsa per la gravità di talune malattie. Emblematici a riguardo i casi del pomodoro S. Marzano (che sopravvive grazie a varietà migliorate all’estero), così come della coltura del pesco (nel frattempo fortemente ridimensionata), come ha ben spiegato il prof. Bruno Mezzetti del Politecnico delle Marche, che sta lavorando su diverse specie ortofrutticole.
Ci pensano così altri Paesi ad applicare e portare avanti quelle intuizioni, quelle scoperte dei nostri scienziati, che avevano trovato risalto sulle riviste scientifiche internazionali.Le nostre sperimentazioni sono state infatti bloccate in patria da una legislazione oscurantista, dettata da ragioni politiche di estremismo ambientalista, con grave danno oltre che alla ricerca anche al nostro settore primario.
Vi è da notare che spesso e volentieri, coloro che sostengono che in agricoltura non c’è più bisogno di intensificare le produzioni per una popolazione in continuo aumento (che senza alterare ulteriormente gli ecositemi, rappresenta la sfida del prossimo futuro), a loro dire per ragioni etiche afferenti ad un generico “ritorno alla natura”, ma anche per “precauzione” (da cui discende il noto principio), non hanno invece le stesse remore quando si parla di utero in affitto o maternità surrogata per gli essere umani.Diversi di essi provengono dal mondo animalista, per il quale esseri umani ed animali hanno la stessa dignità, lo stesso valore.
Per tornare invece al corso della puntata, non è mancato nemmeno l’apporto di un divulgatore scientifico di fama come Dario Bressanini il quale, attraverso i suoi interventi e la sua saggistica, ha contribuito a portare alla ribalta numerose “bufale”, che purtroppo da tempo trovano risalto sui media, contribuendo così a disinformare l’opinione pubblica e catturarne l’attenzione con titoli terroristici: è il caso ad es. della fragola-pesce, mai esistita.Può sembrare banale il rilevare questo aspetto; in realtà non si deve scordare che nel nostro Paese, sono state organizzate conferenze pseudoscientifiche inerenti forme di agricoltura alternative, presso Facoltà che non erano quelle di Agraria.
A riprova, si legga l’articolo del prof. Luigi Mariani pubblicato recentemente in queste pagine, dedicato al raduno dei “venditori dell’olio di serpente” presso l’Università Bocconi. D’altra parte siamo pur sempre il Paese dove un premio Nobel per la letteratura nel 1997, vagheggiava la creazione dell’uomo-maiale (con le zampe al posto degli arti), a seguito di possibili introgressioni di DNA suino in quello umano. Chi dopo circa 18 anni da quegli allarmi, avesse avuto modo di constatarne l’esistenza, è vivamente pregato di segnalarlo, allegandone la foto documentale.
Si deve aggiungere che nella storia passata, non sono mancate clamorose prese di posizione di altri Nobel in altri settori, che si sono poi rivelate nel tempo altrettanti clamorosi abbagli: il fisico Philipp Leonard definiva le teorie del giovane Einstein un colossale “bluff ebraico” (col senno del poi…per fortuna!, sennò Hitler avrebbe forse avuto per primo la terribile arma atomica), ed era evidente che l’integralismo ed il furore ideologici avevano in quel caso accecato lo scienziato.
Nel più recente caso “nostrano”, si aggiunga che la competenza della materia trattata era un optional ma, ciò che contava era l’evocazione di scenari ed immagini che catturassero l’attenzione della gente comune, orientandola secondo la propria visione. A questo punto, dovrebbero fare molto riflettere le vicende umane e professionali del prof. Eddo Rugini dell’Università della Tuscia (che con profonda amarezza ma per protesta a quanto ha dovuto ingiustamente subire, oltre che per l’indifferenza del mondo politico alla sua vicenda, restituirà l’onoreficenza di Commendatore) e del prof. Bruno Mezzetti del Politecnico marchigiano.
Il prof.
Eddo Rugini mostra a Iacona la prestigiosa onoreficenza di Commendatore che
intende riconsegnare, al Presidente della Repubblica.
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Essi hanno dovuto letteralmente bruciare i loro campi sperimentali, ma con le “piante maledette” essi hanno sacrificato il lavoro di tanti anni di ricerche. Quanti fondi pubblici buttati via, quante risorse umane sprecate, quale danno alla ricerca agraria ed all’agricoltura del nostro Paese!! Si consideri infatti che quelle ricerche erano state inizialmente incoraggiate e sovvenzionate con fondi pubblici. Erano stati raggiunti negli anni promettenti risultati parziali, ma non è stato consentito di continuare il ciclo di sperimentazione per un improvviso quanto assurdo diktat legislativo.
Non era mai capitato di dovere ascrivere alla categoria dello scempio quanto accaduto a dei campi sperimentali. Anche la prof.ssa Manuela Giovannetti dell’Università di Pisa che pure ritiene che l’utilizzo degli o.g.m nelle grandi colture non sia immune da alcune criticità è del parere che il blocco alla sperimentazione in campo aperto costituisca in sé una assurdità.
A riguardo penso che pochi agronomi non siano dello stesso avviso, o meglio: da soli gli o.gm. non risolvono tutti i problemi, d’accordo, ma a riguardo del loro utilizzo si tratta comunque di soppesare adeguatamente positività ed opportunità da una parte, e le negatività dall’altra, alla luce delle esperienze più che decennali.
D’altronde se il PIL italiano ha presentato nel 2015 un tasso di crescita (un risibile 0,8%), inferiore a quello medio europeo (pure dell’1,3%), per poi scoprire che alla ricerca scientifica destiniamo molto meno in rapporto ad altre nazioni che crescono più di noi, qualcosa dovrà pure significare: in altri termini si raccoglie quello che si è seminato, cioè poco e male.
Ad un certo punto della trasmissione, si imponeva uno sguardo a cosa sta avvenendo nel resto del mondo (avanzato). La giornalista Liza Boschini è andata direttamente presso la prestigiosa Università della California a Berkeley e Davis (considerati a livello mondiale tra i “templi” assoluti delle scienze agrarie), dove ha incontrato due affermati ricercatori nel settore della genomica e della patologia vegetale: Brian Staskavics e Maicol A. Gomez.
Essi hanno illustrato alcune delle linee di ricerca che stanno portando avanti, rispettivamente piante geneticamente modificate di pomodoro resistenti ai batteri Xanthomonas spp., mediante l’inserimento della resistenza direttamente dal peperone, oppure la resistenza nella manioca (o cassava o yuca), al “Cassava brown streak virus”.Appare superfluo ribadire l’importanza delle radici di questa pianta nell’alimentazione delle popolazioni sia della fascia tropicale, sia per molte popolazioni dell’Africa. Dallo stesso Gomez si apprende che solo lo scorso anno in Sud America e nell’Africa Sub Sahariana, tale virus ha causato perdite per oltre 175 milioni di dollari! Non a caso quest’ultima ricerca, vedeva il contributo nientemeno che della “Bill e Melinda Gate Foundation”.
Tornando invece alle piantine di pomodoro, Il Prof. Staskavics avrebbe affermato una cosa molto importante sulla quale riflettere: il solfato di rame è potenzialmente cancerogeno (il rame è comunque un metallo pesante). Aggiungeva il professore che se si potesse usare in minore quantità grazie alla resistenza acquisita, si otterrebbe innanzitutto un risparmio economico per l’agricoltore, ma anche un forte vantaggio per la salute dell’uomo e dell’ambiente.
Ed allora se la molecola dell’erbicida gliphosate è attualmente sotto processo da più parti per gli stessi allarmi ascrivibili al solfato di rame, perché non porsi gli stessi problemi anche per l’utilizzo massiccio del rame in agricoltura, a partire proprio da quella biologica che ne fa maggiore uso? Quanti casi segnalati negli anni, di residui oltre la soglia consentita?
Quando si parla di contributi alla ricerca da parte delle Fondazioni, la mente corre ad un illustre precedente sempre americano: fu la ”Rockefeller Foundation” a credere in un progetto di nel quale nuovi ceppi di grano furono creati al Centro Internazionale per il Miglioramento del Mais e del Grano (CIMMYT), nel Messico. Coltivati dappertutto, questi nuovi ceppi cambiarono lo stato del Messico da importatore di grano (quando ebbe inizio il programma nel 1944), ad esportatore nel 1964.
L’agronomo Norman Borlaug il leader di questo progetto, per tali meriti fu insignito del premio Nobel per la pace nel 1970.
E andrebbe pure ricordato che in Messico il fondatore della moderna scuola di agricoltura, fu l’agronomo veneto Egidio Rebonato che arrivò dall’Italia perché aveva rifiutato di giurare fedeltà al regime, ma che nonostante le traversie subite, trovò la forza ed ebbe la capacità di diventare un grandissimo scienziato.
Al CIMMYT con Borlaug vi lavorarono alcuni Suoi allievi.
Gli USA hanno sempre creduto nelle prospettive offerte dalla ricerca; si può dire così anche nel nostro Paese? Fa pure riflettere, a riguardo, che il CRN abbia fatto brevettare negli USA la scoperta dei batteri bioingegnerizzati dall’equipe napoletana del ricercatore Roberto Defez (le piante che li hanno in simbiosi sono mediamente più produttive per un 30%, ed abbisognano di minori quantitativi di concimi di sintesi). Se in Italia fosse consentita la sperimentazione di pieno campo, il brevetto varrebbe molto di più e le risorse andrebbero al nostro CNR! Oltre al danno la beffa, quindi.
Il reportage della Boschini è poi proseguito con l’intervista a Pamela Roland a Davis (dove si sta occupando del “golden rice”, il quale essendo ricco di provitamina A potrebbe rivelarsi molto utile nei confronti di intere popolazioni consumatrici del cereale, ma deficitarie nella propria dieta di quella vitamina).
Assieme al marito Raoul Adamchak (anch’egli ricercatore e agricoltore biologico), sta dimostrando che gli avanzamenti nell’agricoltura biotecnologica non sono assolutamente in contrasto con i dettami e le esigenze dell’agricoltura biologica. Piante biotech naturalmente resistenti alle malattie, necessitano in primo luogo di minori trattamenti.
Ci guadagnano si diceva, le tasche dell’agricoltore, la salute dell’operatore, del consumatore e dell’ambiente.
Le problematiche derivate dall’uso ripetuto degli antiparassitari sulle colture (o meglio: del cattivo uso), nessuno vuole negarle o nasconderle, ed interessano non solo il mondo della ricerca e quello agricolo. In Italia però, invece di essere affrontate sul piano metodologico dando opportuno risalto alla scienza, diventano il sostegno ad un intero universo “alternativo”, che di questa opposizione preconcetta trova il motivo del proprio essere.
Ed è altrettanto penoso constatare che se ai tempi della “battaglia del grano”, intere schiere di funzionari pubblici si erano schierate acriticamente a favore della politica autarchica del regime (perché in fondo a loro conveniva, anche se molti di essi provenivano dalle gloriose Cattedre Ambulanti di Agricoltura, quindi si erano formati ad una “scuola” culturalmente più vivace di quella di stampo centrale), nondimeno oggi pur avendo la ventura di trovarsi in un sistema democratico, i Servizi pubblici eredi dei gloriosi Ispettorati Agrari, risultano indifferenti ed ininfluenti verso questa deriva di agnosticismo scientifico, che a partire dal settore degli allevamenti zootecnici tanti danni e dolori sta procurando alle nostre aziende.
Si possono distribuire contributi con i P.S.R, ma se i bilanci sono in rosso le aziende chiudono.
E così facendo, risulta sempre più difficile fare ricerca agraria e agricoltura in maniera profittevole, mentre invece si destinano importanti risorse pubbliche a favore di progetti di dubbia efficacia. D’altra parte, è stato lo stesso Ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina a dichiarare di volere destinare fondi per insegnare l’agricoltura biodinamica presso le Facoltà di Agraria, mentre già da alcuni anni si tagliano ore di lezione a corsi universitari fondamentali.
Lo stesso Ministro che si è fatto negare per l’intervista, ai giornalisti di Presa Diretta.
E pensare che l’agricoltura biodinamica era idealizzata dal perito agrario Enrich Himmler che proprio allo scopo, si era adoperato per allestire un campo sperimentale nell’amena Dachau. Era preoccupato di fornire alimenti particolari alla razza superiore, che consentissero di vivere più a lungo (per chi avesse dubbi in proposito, si legga il contributo del dott. Francesco Marino su queste pagine).
Non così invece per il Presidente boliviano Evo Morales, che ha introdotto la giornalista ai problemi dell’agricoltura nel suo Paese, causati dall’accentuazione del fenomeno del global change.
Ed infatti la seconda parte della trasmissione, pure molto formativa, è stata anche dedicata alle potenzialità della ricerca biotech agricola per la resistenza delle piante alla siccità e per fronteggiare situazioni pedo-climatiche sempre più avverse.
Dall’esperienza di questi oltre quindici anni di divieti, abbiamo imparato che sempre più ricercatori italiani appena possono vanno all’estero (molti per rimanervi), gli Istituti di ricerca arrancano per mancanza di fondi e la nostre aziende agricole quando non ce la fanno più, chiudono.
Ne hanno chiuso parecchie e se continua così, ne chiuderanno molte altre ed ai giovani che invece scelgono di rimanere nel settore, non si dovrebbero raccontare storie. Tornati in Italia, i giornalisti sono poi andati nel padovano presso un’azienda agricola e così, molti spettatori avranno appreso (non gli agricoltori, che come i conduttori di quell’azienda sono unicamente preoccupati di dare alimenti sani alle proprie bestie, ed hanno meno tempo di perdersi in trastulli ideologici), che i mangimi destinati agli animali per le produzioni tipiche, sono da anni costituiti in larga parte da materie prime o.g.m. Una vera e propria commedia dell’assurdo quella consumata in Italia, perché se da una parte non sono consentite né la sperimentazione, né la coltivazione di piante g.m., dall’altra lo è invece l’importazione di materie per usi alimentari e mangimistici.
Lo spiegavano chiaramente sia il dott. Marco Pasti della Confagricoltura padovana, sia la dott.ssa Lea Ballaroni di Assalzoo. Perché la stessa linea di mangimi o.g.m. free, non copre più del 12-13% dell’offerta totale.
Ai primi anni duemila eravamo quasi autosufficienti per il mais, oggi ne importiamo per almeno il 40% (per la soia circa il 90%). Si sta pur parlando del valore di commodities per miliardi di euro.
Non resta che formulare alla redazione di Presa Diretta, il dovuto plauso per avere avuto il coraggio di portare alla ribalta, in maniera seria ed approfondita, un annoso problema –quello del blocco alla sperimentazione o.g.m di pieno campo-, che affligge la dignità stessa di intere generazioni di ricercatori, ma che per la portata delle conseguenze intacca l’avvenire di altrettante schieri di agronomi, aziende agricole, imprese e quindi l’economia stessa del nostro amato Paese.
Meno male che:
“(…) ogni cittadino ha il dovere di svolgere (…), un’attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4 della Costituzione).
“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” (art. 9, prima parte).
“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento (art. 33, prima parte).
Dalle vicende che sono state portate all’attenzione degli spettatori, si evince di come la pur elementare osservanza di questi articoli, sia stata letteralmente e formalmente calpestata. Di questo passo tra qualche tempo, qualcuno potrebbe fatalmente osservare, questa sorte potrebbe essere riservata all’intera Costituzione.
Non era mai capitato di dovere ascrivere alla categoria dello scempio quanto accaduto a dei campi sperimentali. Anche la prof.ssa Manuela Giovannetti dell’Università di Pisa che pure ritiene che l’utilizzo degli o.g.m nelle grandi colture non sia immune da alcune criticità è del parere che il blocco alla sperimentazione in campo aperto costituisca in sé una assurdità.
A riguardo penso che pochi agronomi non siano dello stesso avviso, o meglio: da soli gli o.gm. non risolvono tutti i problemi, d’accordo, ma a riguardo del loro utilizzo si tratta comunque di soppesare adeguatamente positività ed opportunità da una parte, e le negatività dall’altra, alla luce delle esperienze più che decennali.
D’altronde se il PIL italiano ha presentato nel 2015 un tasso di crescita (un risibile 0,8%), inferiore a quello medio europeo (pure dell’1,3%), per poi scoprire che alla ricerca scientifica destiniamo molto meno in rapporto ad altre nazioni che crescono più di noi, qualcosa dovrà pure significare: in altri termini si raccoglie quello che si è seminato, cioè poco e male.
Ad un certo punto della trasmissione, si imponeva uno sguardo a cosa sta avvenendo nel resto del mondo (avanzato). La giornalista Liza Boschini è andata direttamente presso la prestigiosa Università della California a Berkeley e Davis (considerati a livello mondiale tra i “templi” assoluti delle scienze agrarie), dove ha incontrato due affermati ricercatori nel settore della genomica e della patologia vegetale: Brian Staskavics e Maicol A. Gomez.
Essi hanno illustrato alcune delle linee di ricerca che stanno portando avanti, rispettivamente piante geneticamente modificate di pomodoro resistenti ai batteri Xanthomonas spp., mediante l’inserimento della resistenza direttamente dal peperone, oppure la resistenza nella manioca (o cassava o yuca), al “Cassava brown streak virus”.Appare superfluo ribadire l’importanza delle radici di questa pianta nell’alimentazione delle popolazioni sia della fascia tropicale, sia per molte popolazioni dell’Africa. Dallo stesso Gomez si apprende che solo lo scorso anno in Sud America e nell’Africa Sub Sahariana, tale virus ha causato perdite per oltre 175 milioni di dollari! Non a caso quest’ultima ricerca, vedeva il contributo nientemeno che della “Bill e Melinda Gate Foundation”.
Tornando invece alle piantine di pomodoro, Il Prof. Staskavics avrebbe affermato una cosa molto importante sulla quale riflettere: il solfato di rame è potenzialmente cancerogeno (il rame è comunque un metallo pesante). Aggiungeva il professore che se si potesse usare in minore quantità grazie alla resistenza acquisita, si otterrebbe innanzitutto un risparmio economico per l’agricoltore, ma anche un forte vantaggio per la salute dell’uomo e dell’ambiente.
Ed allora se la molecola dell’erbicida gliphosate è attualmente sotto processo da più parti per gli stessi allarmi ascrivibili al solfato di rame, perché non porsi gli stessi problemi anche per l’utilizzo massiccio del rame in agricoltura, a partire proprio da quella biologica che ne fa maggiore uso? Quanti casi segnalati negli anni, di residui oltre la soglia consentita?
Quando si parla di contributi alla ricerca da parte delle Fondazioni, la mente corre ad un illustre precedente sempre americano: fu la ”Rockefeller Foundation” a credere in un progetto di nel quale nuovi ceppi di grano furono creati al Centro Internazionale per il Miglioramento del Mais e del Grano (CIMMYT), nel Messico. Coltivati dappertutto, questi nuovi ceppi cambiarono lo stato del Messico da importatore di grano (quando ebbe inizio il programma nel 1944), ad esportatore nel 1964.
L’agronomo Norman Borlaug il leader di questo progetto, per tali meriti fu insignito del premio Nobel per la pace nel 1970.
E andrebbe pure ricordato che in Messico il fondatore della moderna scuola di agricoltura, fu l’agronomo veneto Egidio Rebonato che arrivò dall’Italia perché aveva rifiutato di giurare fedeltà al regime, ma che nonostante le traversie subite, trovò la forza ed ebbe la capacità di diventare un grandissimo scienziato.
Al CIMMYT con Borlaug vi lavorarono alcuni Suoi allievi.
Gli USA hanno sempre creduto nelle prospettive offerte dalla ricerca; si può dire così anche nel nostro Paese? Fa pure riflettere, a riguardo, che il CRN abbia fatto brevettare negli USA la scoperta dei batteri bioingegnerizzati dall’equipe napoletana del ricercatore Roberto Defez (le piante che li hanno in simbiosi sono mediamente più produttive per un 30%, ed abbisognano di minori quantitativi di concimi di sintesi). Se in Italia fosse consentita la sperimentazione di pieno campo, il brevetto varrebbe molto di più e le risorse andrebbero al nostro CNR! Oltre al danno la beffa, quindi.
Il reportage della Boschini è poi proseguito con l’intervista a Pamela Roland a Davis (dove si sta occupando del “golden rice”, il quale essendo ricco di provitamina A potrebbe rivelarsi molto utile nei confronti di intere popolazioni consumatrici del cereale, ma deficitarie nella propria dieta di quella vitamina).
Assieme al marito Raoul Adamchak (anch’egli ricercatore e agricoltore biologico), sta dimostrando che gli avanzamenti nell’agricoltura biotecnologica non sono assolutamente in contrasto con i dettami e le esigenze dell’agricoltura biologica. Piante biotech naturalmente resistenti alle malattie, necessitano in primo luogo di minori trattamenti.
Ci guadagnano si diceva, le tasche dell’agricoltore, la salute dell’operatore, del consumatore e dell’ambiente.
Le problematiche derivate dall’uso ripetuto degli antiparassitari sulle colture (o meglio: del cattivo uso), nessuno vuole negarle o nasconderle, ed interessano non solo il mondo della ricerca e quello agricolo. In Italia però, invece di essere affrontate sul piano metodologico dando opportuno risalto alla scienza, diventano il sostegno ad un intero universo “alternativo”, che di questa opposizione preconcetta trova il motivo del proprio essere.
Ed è altrettanto penoso constatare che se ai tempi della “battaglia del grano”, intere schiere di funzionari pubblici si erano schierate acriticamente a favore della politica autarchica del regime (perché in fondo a loro conveniva, anche se molti di essi provenivano dalle gloriose Cattedre Ambulanti di Agricoltura, quindi si erano formati ad una “scuola” culturalmente più vivace di quella di stampo centrale), nondimeno oggi pur avendo la ventura di trovarsi in un sistema democratico, i Servizi pubblici eredi dei gloriosi Ispettorati Agrari, risultano indifferenti ed ininfluenti verso questa deriva di agnosticismo scientifico, che a partire dal settore degli allevamenti zootecnici tanti danni e dolori sta procurando alle nostre aziende.
Si possono distribuire contributi con i P.S.R, ma se i bilanci sono in rosso le aziende chiudono.
E così facendo, risulta sempre più difficile fare ricerca agraria e agricoltura in maniera profittevole, mentre invece si destinano importanti risorse pubbliche a favore di progetti di dubbia efficacia. D’altra parte, è stato lo stesso Ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina a dichiarare di volere destinare fondi per insegnare l’agricoltura biodinamica presso le Facoltà di Agraria, mentre già da alcuni anni si tagliano ore di lezione a corsi universitari fondamentali.
Lo stesso Ministro che si è fatto negare per l’intervista, ai giornalisti di Presa Diretta.
E pensare che l’agricoltura biodinamica era idealizzata dal perito agrario Enrich Himmler che proprio allo scopo, si era adoperato per allestire un campo sperimentale nell’amena Dachau. Era preoccupato di fornire alimenti particolari alla razza superiore, che consentissero di vivere più a lungo (per chi avesse dubbi in proposito, si legga il contributo del dott. Francesco Marino su queste pagine).
Non così invece per il Presidente boliviano Evo Morales, che ha introdotto la giornalista ai problemi dell’agricoltura nel suo Paese, causati dall’accentuazione del fenomeno del global change.
Ed infatti la seconda parte della trasmissione, pure molto formativa, è stata anche dedicata alle potenzialità della ricerca biotech agricola per la resistenza delle piante alla siccità e per fronteggiare situazioni pedo-climatiche sempre più avverse.
Dall’esperienza di questi oltre quindici anni di divieti, abbiamo imparato che sempre più ricercatori italiani appena possono vanno all’estero (molti per rimanervi), gli Istituti di ricerca arrancano per mancanza di fondi e la nostre aziende agricole quando non ce la fanno più, chiudono.
Ne hanno chiuso parecchie e se continua così, ne chiuderanno molte altre ed ai giovani che invece scelgono di rimanere nel settore, non si dovrebbero raccontare storie. Tornati in Italia, i giornalisti sono poi andati nel padovano presso un’azienda agricola e così, molti spettatori avranno appreso (non gli agricoltori, che come i conduttori di quell’azienda sono unicamente preoccupati di dare alimenti sani alle proprie bestie, ed hanno meno tempo di perdersi in trastulli ideologici), che i mangimi destinati agli animali per le produzioni tipiche, sono da anni costituiti in larga parte da materie prime o.g.m. Una vera e propria commedia dell’assurdo quella consumata in Italia, perché se da una parte non sono consentite né la sperimentazione, né la coltivazione di piante g.m., dall’altra lo è invece l’importazione di materie per usi alimentari e mangimistici.
Lo spiegavano chiaramente sia il dott. Marco Pasti della Confagricoltura padovana, sia la dott.ssa Lea Ballaroni di Assalzoo. Perché la stessa linea di mangimi o.g.m. free, non copre più del 12-13% dell’offerta totale.
Ai primi anni duemila eravamo quasi autosufficienti per il mais, oggi ne importiamo per almeno il 40% (per la soia circa il 90%). Si sta pur parlando del valore di commodities per miliardi di euro.
Non resta che formulare alla redazione di Presa Diretta, il dovuto plauso per avere avuto il coraggio di portare alla ribalta, in maniera seria ed approfondita, un annoso problema –quello del blocco alla sperimentazione o.g.m di pieno campo-, che affligge la dignità stessa di intere generazioni di ricercatori, ma che per la portata delle conseguenze intacca l’avvenire di altrettante schieri di agronomi, aziende agricole, imprese e quindi l’economia stessa del nostro amato Paese.
Meno male che:
“(…) ogni cittadino ha il dovere di svolgere (…), un’attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4 della Costituzione).
“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” (art. 9, prima parte).
“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento (art. 33, prima parte).
Dalle vicende che sono state portate all’attenzione degli spettatori, si evince di come la pur elementare osservanza di questi articoli, sia stata letteralmente e formalmente calpestata. Di questo passo tra qualche tempo, qualcuno potrebbe fatalmente osservare, questa sorte potrebbe essere riservata all’intera Costituzione.
Nell’immagine soprastante, la distruzione avvenuta per decreto nel 2012 presso il frutteto sperim.le del Prof. Eddo Rugini all’Università della Tuscia. Immagini che evocano lo stesso furore ideologico –purtroppo di strettissima attualità-, riservato da alcuni integralisti nei riguardi di tutti quei simboli e/o monumenti –alcuni con una storia millenaria-, che possano evocare che “un altro mondo è possibile”. Qui la relazione del Prof. Rugini tenuta al convegno"Le scienze agrarie tra OGM e agricolture alernative", organizzato da AgronomiperlaTerrA. |
Alessandro Cantarelli
Laureato
in Scienze Agrarie presso la
Facoltà di Agraria di Piacenza, con tesi in patologia
vegetale. Dal febbraio 2005 lavora presso il Servizio Territoriale Agricoltura Caccia e Pesca di
Parma (STACP), della Regione Emilia Romagna (ex Servizio Provinciale),
dapprima come collaboratore esterno, successivamente
come dipendente. E’ stato dipendente presso la Confederazione Italiana
Agricoltori di Parma. Ha svolto diverse collaborazioni, in veste di tecnico, per
alcuni Enti, Associazioni e nel ruolo di docente per la formazione professionale
agricola.
Iscritto all’Ordine dei dottori Agronomi e Forestali
ed alla FIDAF parmensi.
Impressionante! Quali mezzi abbiamo per indurre una inversione di tendenza? Se non bastano gli interventi di studiosi ed esperti, se la politica si dichiara impotente a prendere decisioni nella direzione della ricerca scientifica e della sperimentazione, cosa potremo fare? Stare a guardare la distruzione della nostra agricoltura e delle nostre imprese agricole, mentre la classe politica si litiga gli spazi televisivi e continua a ritenere il voto un inutile rito, passato di moda?
RispondiEliminaEgr. sig.ra Franchi, nel merito dei suoi interrogativi, il prof. Garattini e' stato illuminante.Egli imputa alla scuola delle gravi responsabilita', in quanto a suo dire ancora oggi la scienza non e' considerata parte fondante della nostra cultura (che invece ha un orientamento letterario-filosofico-giuridico).La politica e'anche il frutto della nostra scuola. Nel frattempo, chi sa ha il dovere di esporre il proprio sapere all'interno di un confronto civile, in quanto il principio "vivi e lascia vivere", nel senso di non dire mai nulla che possa urtare il pensiero corrente, sta portando all'indietro la nostra ricerca, la nostra agricoltura.E pretendere con maggiore solerzia, che vengano rispettati i principi costituzionali.
EliminaIn merito alla lungimiranza della Fondazione Rockefeller nel sostenere il progetto di miglioramento genetico dei cereali in Messico va fatto presente che non si trattò di un'azione disinteressata, in quanto celava il tentativo del presidente Roosevelt di migliorare i rapporti con il governo messicano al fine di ripristinare l'accesso delle imprese petrolifere statunitensi allo sfruttamento dei giacimenti messicani dopo la loro nazionalizzazione avvenuta nel 1938 (si veda: Wright B.D., 2012, Grand missions of agricultural innovation, Research Policy, Vol. 41, pp. 1716-1728).
RispondiEliminaSergio Salvi
Buonasera Salvi, innanzitutto la ringrazio per l'utile citazione bibliografica, di sicuro interesse per i lettori. Certamente quasi mai l'azione dei politici e' risultata essere disinteressata, tuttavia si rileva che gli USA del '44 non erano la Francia di Luigi XV, dove la politica estera poteva essere dettata anche dai capricci di madame Pompadour. Nel pieno del secondo conflitto mondiale, il risultato di quell'azione non disinteressata e' anche stato il riuscire ad assicurare piu' pane all'intera umanita'. Un merito non da poco! E la stessa Fondaz. Rockfeller ancora oggi finanzia progetti di ricerca agraria. Con i tempi che corrono, mettiamo fiori nei cannoni...,ma anche piu' derrate, tanto per non rischiare di sbagliare.
RispondiEliminaConcordo, la mia era solo una precisazione per ricordare che nulla avviene per caso. Anche l'istituzione dell'IRRI (International Rice Research Institute) trovo' giustificazione nel timore che la fame sfociasse nell'instaurazione di un regime comunista nelle Filippine. La politica estera USA del dopoguerra ha funzionato certamente meglio di quel che è stato in seguito....
RispondiEliminaSergio Salvi
Assolutamente si. Diremo anche di due corse contro il tempo. In quel 1943-44 se in Messico si iniziava, ad opera di valenti scienziati agrari, il piu' poderoso programma di miglioramento genetico del mais e del grano, gli stessi USA nel Nuovo Messico, in mezzo al deserto per garantirne l'inaccessibilita', con il progetto Manahattan e ad opera di altre figure di scienziati (alcuni di essi con profondo travaglio personale), avviavano il piu' grande progetto mai esistito per produrre la piu' potente arma che l'uomo avesse mai sperimentato: la bomba atomica. Ed anche in quest'ultimo caso, bisognava fare presto. Come a dire pane o bombe, due facce della stessa medaglia per potere scongiurare, dopo la fine del secondo conflitto e prima che avvengano, altre guerre. E cosI' con i risi dell'IRRI nelle Filippine alcuni anni dopo, quando nello stesso oceano Pacifico si provavano in atmosfera quelle armi sconvolgenti. Sta alla politica scegliere se indirizzarsi al pane o alle bombe. Quella parte di ambientalisti-anime belle e pure, che sostengono che di cibo ce ne e' troppo, che l'agricoltura intensiva e' un delitto e gli agronomi sono dei mascalzoni, farebbero bene a chiedersi se invece fosse il caso di spronare la politica ad indirizzarsi con maggiore decisione rispetto a quanto non faccia oggi, verso una maggiore produzione di alimenti, per una popolazione in continuo aumento. Altro che fermare la ricerca e fare bruciare i campi sperimentali. Vergogna!! Ed ecco che si scopre chi sarebbero i guerrafondai, anche se sotto mentite spoglie!
EliminaSe può interessare qui se n'è parlato a lungo:
RispondiEliminahttp://www.salmone.org/la-ricerca-pubblica-calpestata-ma-indomita/
Segnalazione opportuna Guidorzi ed anzi, si invitano i lettori a leggerne attentamente i contenuti.
EliminaRiporto le mail ricevute dalla redazione di Presa Diretta e pubblicate sulla pagina facebook https://www.facebook.com/PresaDiretta.Rai/photos/pb.103897510522.-2207520000.1460630014./10156658539440523/?type=3&theater. Da notare come i complimenti provengono dagli addetti ai lavori, mentre la gente comune chiede il contraddittorio....da chi? Si ritorna, dunque, alle riflessioni del prof. Garattini.
RispondiEliminaBACHECA delle Mail a “Presa Diretta” del 28 febbraio 2016
CHI HA PAURA DEGLI OGM? e LA MADRE TERRA
La Bacheca di PresaDiretta
Abbiamo selezionato alcune delle tante mail ricevute durante la puntata del 28 febbraio scorso. Ci sono le storie, i commenti e le critiche sugli argomenti affrontati in trasmissione. Parlano di alimentazione, agricoltura, di bio e di Ogm e naturalmente di cambiamenti del clima.
Ci ha scritto il presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze, Emilia Chiancone: “Sento il dovere di complimentarmi con lei per la trasmissione sugli OGM. Ottima per ricchezza e precisione di esempi e riferimenti, compreso quello a Infascelli e ai suoi dati falsificati, per l'intervista alla senatrice Cattaneo e infine, per l'invito al ministro Martina ad .. aprire gli occhi sull’importanza delle prove in campo. Grazie quindi a lei e ai suoi collaboratori per aver dato voce ai ricercatori nella sua trasmissione, un servizio pubblico di informazione a cosi ampia diffusione”.
Giuseppe si complimenta per il servizio sugli OGM, lo stesso fa Massimo che aggiunge: “Da anni mi occupo di ricerca nel campo della genetica e biotecnologie vegetali. Finalmente con la vostra trasmissione sono emerse le contraddizioni e le falsità che circondano il mondo degli OGM, soprattutto quando si parla di ricerca pubblica. La frustrazione che noi ricercatori viviamo è davvero tanta”. Complimenti anche da Carlo: “Sono certo ci saranno molti attacchi e richieste di fare dei servizi per riparare alla lesa maestà, ma sappiate che siete stati molto coraggiosi”.
Valentina ci scrive invece per dirci che mancava il contraddittorio nella puntata sugli organismi geneticamente modificati. Dello stesso avviso è Mara: “Non è stata una puntata che ha aiutato le persone a farsi un’idea convincente, spero che possiate rimediare con un ulteriore dibattito dove siano presenti tutte le parti in causa”. È d’accordo Maurizio: “sono mancati pareri e argomentazioni che sostengono, non superficialmente ma con serietà analitica, anche svantaggi, rischi e perplessità in merito. Sarei molto soddisfatto (e penso che lo sarebbero anche tanti altri ascoltatori) se, in una prossima puntata, si recuperasse tale lacuna”.
Ci sono arrivate svariate email da addetti ai lavori che si complimentano per i servizi sugli Ogm. In particolare, ci ha scritto una ricercatrice all’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria del CNR. Il suo campo di studio è la biologia cellulare e molecolare vegetale: “Bloccando la ricerca sugli OGM non si blocca solo la ricerca in ambito agroalimentare, ma tutte quelle potenziali applicazioni in cui possono essere utilizzate le piante OGM, come per esempio la produzione di vaccini, anticorpi e proteine per la salute umana”. Complimenti anche da Luca, biologo che ci ha scritto dalla Germania.
A Valeria non è sembrato “corretto mostrare Evo Morales e il suo cancelliere (D. Choquehuanca) come paladini della difesa dell'ambiente e della Pachamama. Al di là dei proclami e della propaganda, mai come da quando è in vigore il suo governo si erano visti l'ampliamento delle superfici coltivate a coca (il 95% della quale destinata alla trasformazione in cocaina) negli yungas Boliviani con relativa deforestazione e perdita di fonti d'acqua, la prospezione del petrolio nei parchi e riserve naturali (non era passata neanche nei peggiori governi neoliberali), l'ampliamento delle superfici agricole in favore della soia (aimè responsabile della perdita dei terreni e della contaminazione da glifosato in paesi come Argentina, Paraguay e simili)”.
....e inoltre
RispondiEliminaSecondo Mauro, la prima parte della puntata contrasterebbe con la seconda: “In Bolivia si parla di Madre Terra perché hanno capito quanto è importante rispettarla e loro purtroppo pagano tra i primi il problema del clima. Ma l'industria dell'OGM certamente non va incontro a risolvere questo problema! Anzi lo peggiora per diversi motivi. Intanto coltiva intensamente, con forti conseguenze sull'impoverimento del suolo, proprio uno dei problemi che sollevate nella seconda parte. Poi le coltivazioni OGM non salvaguardano la biodiversità”. Conclude scrivendo: “Tutta la coltivazione industriale non può che peggiorare le condizioni di quella Bolivia che tanto bene avete descritto.
Evviva la Madre Terra!!! E poi noi italiani vogliamo la qualità e l'unicità dei nostri prodotti che certamente non si trova nei prodotti OGM”.
Secondo Giulia abbiamo realizzato un pessimo servizio sugli OGM. Pietro è dello stesso parere: “Non mi sembra che ci fosse stato l'intervento di qualche rappresentante o esperto dei no OGM per sentire anche le ragioni del no”. Di tutt’altro parere è Massimo che lavora come agricoltore e ritiene che sarebbe importante riuscire a seminare OGM anche in Italia.
Elisabetta ci scrive per dirci che ha usato a scuola il libro "Storia dei semi" di Vandana Shiva: “Sulla pericolosità dei semi BT si fa riferimento a studi dell’università americana di Cornell. Non solo, ci sono i fatti verificatisi sul cotone Bollgard della Monsanto”. Secondo lei se in Italia si potessero piantare semi OGM, “il vantaggio e il profitto economico saranno solo delle multinazionali”.
Abbiamo ricevuto una email da Daniele Rosellini e Fabio Veronesi del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali Università di Perugia: “Come genetisti agrari abbiamo finalmente visto una trasmissione rigorosa in cui il parere degli scienziati è stato riportato senza distorsioni. Complimenti per aver dato voce anche agli allevatori e agli agricoltori”. Un solo punto da criticare: “il suo riferimento al frumento e derivati (merendine...) che conterrebbero OGM: oggi non ci sono ancora frumenti OGM in commercio, ma solo in sperimentazione”.
Complimenti da Stefano , docente in agronomia, e da Laura, ricercatrice dell’Ente CreaAn.
Rosalia, invece, ci ha scritto per esprimere il suo sconcerto: “Una trasmissione a senso unico, provocatoria, deridente, senza alcun rispetto di chi la pensa diversamente”. Anche Adalberto e Roberto ci scrivono per comunicarci il loro rammarico.
Complimenti da un altro ricercatore, Roberto, che lavora per l’Università di Bologna: “Il vero problema del nostro Paese è che stiamo buttando via il “bambino” (l’innovazione varietale) con “l’acqua sporca” (le colture OGM; buttate da tempo), complici la profonda ignoranza e malafede in materia (politici e Coldiretti in primis) e la scarsa obiettività dei media, di cui la vostra trasmissione evidentemente fa eccezione”.
Contraddittorio "de che"? Sarà mica un caso che non sono stati interpellati esperti del no-ogm...? Mancando prove scientifiche sulla pericolosità degli ogm, su cosa baserebbero le loro argomentazioni?
RispondiEliminaSergio Salvi
Per informazione, sono a tutt'oggi 2400 le persone che hanno creduto supportare l'iniziativa della RAI per la trasmissione "Presa Diretta"
RispondiEliminahttp://www.salmone.org/presa-diretta-sulle-emozioni-dei-cittadini/
Chi fino ad ora, si e' ben guardato dal replicare con argomenti scientifici seri, agli scienziati intervistati da "Presa Diretta", obiettera' per quella moltitudine che trattasi evidentemente di una sorta di "quinta colonna", pilotata dalle famigerate multinazionali! Siccome sempre quel qualcuno si e' preso inoltre l'iniziativa di scrivere alla Rai per chiedere la cancellazione della trasmissione (argomentando evidenti quanto stupide falsita', in puro stile ricattatorio per non usare altri termini), mentre si aspettano sempre da quel qualcuno e con ansia, validi argomenti da contrapporre alla stragrande maggioranza dei ricercatori italiani e stranieri. Nel comune interesse di coltivare il Sapere. Non mancheremo di farlo notare, nel proseguo degli eventi.
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