di Luigi Mariani
Il Comitato scientifico della Fondazione Benetton Studi Ricerche ha deciso, all’unanimità, di dedicare la XXVII edizione del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino alle “Foreste dei meli selvatici del Tien Shan, in Kazakistan”. Nel rinviare al comunicato stampa della fondazione per approfondimenti circa le motivazioni del premio (qui) mi preme qui segnalare alcuni aspetti che mi paiono importanti per il lettore.
Anzitutto il fatto che i popolamenti di meli Kazaki furono studiati dal grande e sfortunato genetista Nicolaï Vavilov (qui) il quale dopo aver visitato nel 1929 i boschi di melo kazaki indicò per primo tale area come centro d’origine del melo. In seguito tali popolamenti furono a lungo studiati dall’agronomo kazako Aymak Djangaliev (1913-2009) alla cui memoria si richiama la fondazione Alma, premiata con il premio Scarpa. Al riguardo suggerisco di leggere lo scritto in francese Les défis de la découverte de l’origine de la pomme, di Catherine Peix (qui).
Anzitutto il fatto che i popolamenti di meli Kazaki furono studiati dal grande e sfortunato genetista Nicolaï Vavilov (qui) il quale dopo aver visitato nel 1929 i boschi di melo kazaki indicò per primo tale area come centro d’origine del melo. In seguito tali popolamenti furono a lungo studiati dall’agronomo kazako Aymak Djangaliev (1913-2009) alla cui memoria si richiama la fondazione Alma, premiata con il premio Scarpa. Al riguardo suggerisco di leggere lo scritto in francese Les défis de la découverte de l’origine de la pomme, di Catherine Peix (qui).
E’ interessante inoltre riflettere sui meli del Kazakistan non solo in termini di conservazione della biodiversità delle piante coltivate ma anche sulle modalità con cui questa biodiversità si è creata, modalità che sono del tutto sui-generis e che mi sono state per la prima volta evidenziate dall’amico Osvaldo Failla in una relazione tenuta al convegno “Viaggi avventurosi delle piante coltivate” tenutosi a Sant’Angelo Lodigiano il 15 ottobre scorso. E’ infatti noto che la forma, la dimensione e gli stessi caratteri organolettici di frutti e semi sono almeno in parte il prodotto della selezione operata dai vettori di diffusione degli stessi. Oggi siamo per lo più abituati a considerare che sia stato l’uomo ad “imporre” alle piante i caratteri "domestici" (dimensione, colore, sapore, ecc.) ma un ruolo di rilievo può essere stato giocato anche dagli animali consumatori. Un esempio in tal senso è offerto dal melo, che nell’areale d’origine (il Kazakistan) sarebbe stato selezionato dall'orso, il quale avrebbe selezionato individui con grandi frutti, sapore dolce (accumulo di amido e poi di glucosio), un calendario di maturazione amplissimo e che si estende da luglio a novembre e varietà molto tardive che si conservano fino a fine inverno (le odierne mele invernali da cuocere) e che dunque possono essere consumate dall’orso all’uscita dal letargo invernale (Juniper e Mabberley, 2006). Il melo si sarebbe poi diffuso dal Kazakistan verso occidente e verso oriente lungo la via della seta, anche grazie alla diffusione dei semi con le feci dei cavalli che si nutrivano di mele passando per il Kazakistan.
Per questo insieme di ragioni lo studio e la conservazione del melo selvatico del Kazakistan (Malus sieversii, dal botanico Johann Sievers, che per primo lo descrisse, alla fine del XVIII secolo) assume oggi un’importanza del tutto particolare e trovo dunque particolarmente significativo il premio della fondazione dedicata alla figura di Carlo Scarpa, architetto e designer fra i più importanti del XX secolo (qui ).
Bibliografia
Juniper BE, Mabberley DJ (2006) The story of the apple. Imber Press, Inc. 240 p.
Luigi MarianiDocente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.
Juniper BE, Mabberley DJ (2006) The story of the apple. Imber Press, Inc. 240 p.
Luigi MarianiDocente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.
La biodiversità riempie la bocca di ignoranti di scienza e di istruiti di scienza, ma che usano il vocabolo solo perchè di moda, ma si guardano bene dal spiegarlo.
RispondiEliminaLa domesticazione delle piante ha esercitato una grande pressione selettiva sulla biodiversità, ma nello stesso ha cominciato una lunga azione di aumento di diversità genetica non ancora terminata.
Il caso del melo e dell'orso ne è un esempio. l'orso per cibarsi ha scelto il melo, ma sicuramente su quelle pendici ci saranno state altre piante, solo che queste per sopravvivere e diffondersi avevano solo a disposizione la disseminazione naturale, invece il melo, grazie all'orso ha goduto di un vantaggio selettivo non indifferente e quindi ha in un certo senso esercitato una concorrenza "sleale" verso le altre piante dell'ecosistema. L'orso nell'ambito della specie melo ha inoltre favorito la creazione di una diversità genetica in quanto ha selezionato la precocità e la tardività del melo e relativi cicli intermedi.
Questa è la dimostrazione che l'uomo agricoltore si è comportato come l'orso, ha diminuito la biodiversità nell'ecosistema agricolo, ma ha aumentato grandemente la diversità genetica nell'ambito delle piante che coltivava. Pertanto è per questo che parlare di biodiversità in agricoltura è un non senso.