Introduzione di Sergio Salvi - Traduzione dal tedesco di Laura Rovtar
(Nazareno Strampelli, “Die Weizenschlacht”, in: Die Italienische Landwirtschaft, Verlag von Paul Parey , Berlin 1940, pp. 22-26)
Il grano in due manifesti di
propaganda nazifascista
(fonte Wikipedia)
|
«Die Weizenschlacht», ossia «La Battaglia del grano», è l’ennesimo caso di scritto “tecnico-propagandistico” (l’ultimo emerso in ordine di tempo) recante la firma di Nazareno Strampelli, che negli ultimi anni della sua vita fu autore di diversi contributi nei quali i contenuti tecnico-scientifici derivanti dalla sua conoscenza del settore cerealicolo furono utilizzati con evidenti finalità di propaganda a favore della politica agraria del regime fascista.
Il pezzo è del tutto particolare, in quanto è la prima volta che viene recuperato uno scritto strampelliano originale in tedesco (non si tratta, cioè, della traduzione di un articolo già pubblicato in italiano), ed è contenuto in un volume collettaneo che riunisce vari contributi sul tema dell’agricoltura nostrana firmati esclusivamente da autori italiani, tra i quali spiccano molti nomi eccellenti della ricerca agraria del nostro Paese: Avanzi, Calvino, De Cillis, Munerati, Novelli, Zapparoli, giusto per citare i più famosi.
L’articolo è immancabilmente imbevuto di retorica e desta, come già avvenuto con altri articoli simili da me recuperati e discussi in un mio libro del 2013 (Sulle tracce di Nazareno Strampelli, recentemente premiato dal Museo Nazionale delle Paste Alimentari di Roma), non poche perplessità sullo Strampelli “politico”. Ma quel che più interessa - ai fini dell’illustrazione che se ne vuole fare riproponendolo oggi ai lettori di Agrarian Sciences - è lo spaccato che esso restituisce dell’evoluzione della granicoltura italiana a partire dal primo dopoguerra e fino alla vigilia del nuovo conflitto mondiale che già furoreggiava in Europa quando il volume fu dato alle stampe in Germania.
In particolare, colpiscono l’immaginazione del lettore le previsioni strampelliane di quelle che sarebbero dovute essere - prendendo in prestito un’espressione leopardiana successivamente ereditata dall’ideologia socialista - le “magnifiche sorti e progressive” della granicoltura nazionale: oltre 100 milioni di quintali di frumento prodotti annualmente e, con essi, il raggiungimento definitivo dell’autosufficienza granaria per l’Italia. Un’utopia destinata presto a morire tra le ceneri ardenti della Seconda guerra mondiale.
Il pezzo è del tutto particolare, in quanto è la prima volta che viene recuperato uno scritto strampelliano originale in tedesco (non si tratta, cioè, della traduzione di un articolo già pubblicato in italiano), ed è contenuto in un volume collettaneo che riunisce vari contributi sul tema dell’agricoltura nostrana firmati esclusivamente da autori italiani, tra i quali spiccano molti nomi eccellenti della ricerca agraria del nostro Paese: Avanzi, Calvino, De Cillis, Munerati, Novelli, Zapparoli, giusto per citare i più famosi.
L’articolo è immancabilmente imbevuto di retorica e desta, come già avvenuto con altri articoli simili da me recuperati e discussi in un mio libro del 2013 (Sulle tracce di Nazareno Strampelli, recentemente premiato dal Museo Nazionale delle Paste Alimentari di Roma), non poche perplessità sullo Strampelli “politico”. Ma quel che più interessa - ai fini dell’illustrazione che se ne vuole fare riproponendolo oggi ai lettori di Agrarian Sciences - è lo spaccato che esso restituisce dell’evoluzione della granicoltura italiana a partire dal primo dopoguerra e fino alla vigilia del nuovo conflitto mondiale che già furoreggiava in Europa quando il volume fu dato alle stampe in Germania.
In particolare, colpiscono l’immaginazione del lettore le previsioni strampelliane di quelle che sarebbero dovute essere - prendendo in prestito un’espressione leopardiana successivamente ereditata dall’ideologia socialista - le “magnifiche sorti e progressive” della granicoltura nazionale: oltre 100 milioni di quintali di frumento prodotti annualmente e, con essi, il raggiungimento definitivo dell’autosufficienza granaria per l’Italia. Un’utopia destinata presto a morire tra le ceneri ardenti della Seconda guerra mondiale.
* * *
La Battaglia del grano
del
Senatore Prof. Dr. Nazareno Strampelli - Direttore dell’Ufficio Ricerche sul
Grano, Roma
«Il radicale rinnovamento dei rapporti creati dal Fascismo in ogni aspetto della vita della nazione è anche nell’ampio e variegato movimento di idee che ormai è generalmente conosciuto con il nome di “Battaglia del Grano”, che trova le sue origini e fondamenta soprattutto nell’agricoltura e nella produzione italiana del grano in particolare dopo la guerra mondiale.
Dal 1919 al 1922 sono stati prodotti in media all’anno 45 milioni di quintali di grano con un picco nel 1921 quando ne sono stati prodotti 52 milioni e con un minimo di 38 milioni nel 1920.
L’Italia, i cui 36 milioni di abitanti nel 1919 sono saliti a quasi 39 milioni nel 1922, per riuscire a sfamare la sua popolazione, ha dovuto importare nel giro di questi 4 anni una media di 24.260.000 quintali di grano. Questo doloroso ma necessario tributo di miliardi di lire, che l’Italia ha dovuto sobbarcarsi, ha sempre gravato in maniera insopportabile sulle finanze e sull’economia del paese. Nel 1921 si sono dovuti importare ben 28 milioni di quintali di grano per un valore di più di 3 miliardi di lire. La voce “cereali”, tra cui il grano è al primo posto, causò quasi da sola la metà di tutto il debito del bilancio economico italiano.
I pochi numeri e le poche osservazioni sopraccitati danno un’idea abbastanza precisa del peso della richiesta italiana di grano, da quello che risulta immediatamente da subito dopo la guerra fino all’inizio del Fascismo; ma per inserire il problema stesso nel complesso dei rapporti di varia natura, in cui si è sviluppata l’economia agricola in Italia, che, generalmente parlando, non è propriamente la terra del grano, bisogna considerare che, in una superficie coltivata e boscosa per un totale di 28 milioni e mezzo di ettari, le montagne e le zone collinari in Italia occupano circa 22 milioni di ettari rispetto alle pianure (che ammontano solo a circa 6 milioni di ettari) e costituiscono il 41,4% della superficie totale del paese e circa il 43% della superficie coltivata e boscosa; per questa ragione l’Italia, sebbene sia montuosa e ricca di laghi e fiumi, rispetto ad altri paesi europei possiede una relativamente ampia superficie coltivabile, che però in migliaia di anni di coltura è stata trasformata da diversi tipi di coltivazioni.
Una caratteristica distintiva dell’economia agricola italiana è stata ed è di fatto la promiscuità e la varietà di colture dovuta alle grosse differenze ambientali. L’aumento della produzione deve dire grazie soprattutto al valore di ricercatori, tecnici e agricoltori capaci e perseveranti provenienti da tutta Italia.
Gli ordinari rapporti agricoli in Italia, specialmente quelli legati allo sviluppo del grano intrapresi subito dopo la guerra, sono riconducibili ai rapporti politici, sociali e finanziari del Dopoguerra: scioperi, insurrezioni e sommosse di ogni ordine civile e di tutti i valori morali.
Non può essere fatto nessun passo avanti in nessun settore del lavoro se mancano disciplina, pace e tranquillità.
Il Fascismo ha ridato all’Italia questi beni inestimabili; e quando dal 1922 gli scioperi, le insurrezioni politiche e i disordini sociali terminarono, subito furono ripristinati la disciplina e l’ordine, e la pace e la tranquillità ricominciarono a regnare anche in campagna, così che quei passi avanti, che già prima della guerra mondiale si erano chiaramente manifestati, si ripresentarono su tutti i livelli dell’agricoltura.
Ma il problema del grano italiano con la sua grave scarsità si dovette affrontare e risolvere non senza mezzi straordinari. È per questo motivo che si arrivò alla definizione di Battaglia del Grano, a cui sono preceduti due concorsi nazionali per l’aumento dello sviluppo del grano, banditi nel 1923 e 1924 nel giornale del Duce, il “Popolo d’Italia”, in onore di Arnaldo Mussolini, suo indimenticabile fratello scomparso. Durante la storica sessione notturna della Camera dei Deputati del 25 giugno 1925 il Duce diede l’annuncio della “Battaglia del Grano” e il 4 luglio formò il Comitato Permanente del Grano, a cui assegnò i seguenti incarichi: ampliamento dei terreni coltivabili a grano, aumento degli ettari per il raccolto, intervento immediato sui problemi legati alla semina, al concime, alle innovazioni tecniche e alla questione del prezzo.
L’intero esercito di tecnici e di agricoltori fu mobilitato e regolato sotto l’ordine diretto del Duce; in ogni provincia italiana furono istituiti organi direttivi della “Battaglia del Grano”. Subito furono emanate dal governo le prime leggi sulla tutela del prezzo, sulla propaganda, sulla disciplina degli esperimenti e della ricerca sul campo agricolo e furono fornite nuove forze operative in tutto il paese con abbondanti ed adeguati mezzi finanziari, che di anno in anno vennero aumentati sulla base delle nuove esigenze.
Non è possibile approfondire dettagliatamente in un semplice paragrafo tutti diversi aspetti della Battaglia del Grano, il cui preciso scopo all’inizio era quello di aumentare la produzione del grano, ma che più tardi ha compreso anche l’intero campo dello sviluppo dell’agricoltura e che alla fine è diventato una battaglia tra tutti gli agricoltori italiani per sopperire alla necessità di cibo.
Più di 60 leggi, innumerevoli decreti ministeriali, circolari, disposizioni ecc. furono la dimostrazione dell’opera del governo in materia di Battaglia del Grano: ciò che non poté essere espresso dai numeri, fu il nuovo spirito che suscitò il Fascismo sotto la direzione del Duce sugli agricoltori italiani. Questi, animati dalla nuova fiducia, sostenuti dal governo e diretti da tecnici capaci, seguirono con entusiasmo il talento del carisma del Duce e non si fecero mai scoraggiare dalla non sempre piacevole situazione economica e dalle sempre avverse condizioni climatiche.
Nel 1926 furono prodotti in Italia 60 milioni di quintali di grano per un raccolto medio di 12,2 quintali per ettaro, nel 1929 70 milioni di quintali per una media di 14,8, nel 1932 75 milioni di quintali e nel 1933 oltre 81 milioni di quintali per una media di 16 quintali per ettaro su una superficie di 5 milioni di ettari coltivata a grano. Il terreno coltivabile rimase quasi invariato a causa dell’incremento delle restanti colture agricole, le quali insieme alla coltivazione del grano hanno contribuito alla totale indipendenza del sostentamento del paese.
Per la prima volta in Italia nel 1933 fu soddisfatto il bisogno di grano per la totalità della popolazione, che da 39.628.000 nel 1926 aumentò a 42.214.000 nel 1933; per la prima volta l’aumento della produzione di grano raggiunse, e quasi superò, l’aumento della popolazione. Però dal 1933 la produzione di grano fu indicativa proprio per queste grandi quantità, perché dimostrò che in Italia in un’annata di condizioni climatiche nella media la forza della produzione di grano riuscì a raggiungere una tale quota proprio grazie alla Battaglia del Grano e ai suoi successi ottenuti, anche malgrado l’inevitabile alternanza di annate buone e cattive. Nel 1935 furono prodotti oltre 77 milioni di quintali; e l’ultimo raccolto, quello del 1937, nuovamente soddisfece la richiesta di grano per l’intero paese, mentre l’importazione di grano nonostante il continuo aumento della popolazione e la sua promozione da parte del governo con tutti i mezzi dal 1928 diminuì poco alla volta, fino a quasi scomparire tra il 1933 e il 1934, periodo in cui il bilancio economico italiano venne considerevolmente alleggerito.
Per circoscrivere il concetto di ciascun aspetto della Battaglia del Grano, non c’è niente di meglio che citare il grandioso discorso del Duce, che tenne in diverse occasioni ufficiali, quando si recava ogni anno dagli agricoltori per conferire loro dei premi, per consigliarli o per indicare loro nuovi obiettivi. Dal 1926 a Roma ogni anno si fissò nel calendario delle manifestazioni del Regime la consegna ufficiale dei premi per la vittoria della Battaglia del Grano, addirittura in presenza del ministro, delle più alte cariche dello stato e dei tecnici agricoli in Italia. I premi, principalmente somme di denaro, venivano consegnati ai vincitori del concorso indetto dal Duce.
Questa è l’atmosfera in cui si sviluppò la Battaglia del Grano e nella quale continuò a svilupparsi; e non esiste nella storia di nessun altro popolo un così grande esempio di vera rivoluzione nel campo della tecnica e dell’economia agricola che abbia avuto luogo in così pochi anni come è invece accaduto in Italia sotto la guida del capo del governo.
Naturalmente questo sviluppo così rapido, che si sarebbe notato anche negli anni a seguire, non sarebbe stato possibile se l’agricoltura italiana non avesse avuto a disposizione l’indubbia capacità dei suoi straordinari mezzi tecnici, come ad es. macchine e attrezzi, concime e sementi: le sementi elette si rivelarono nel tempo come il fattore dominante nell’aumento della produzione.
Ma anche in questo ambito l’alto spirito di Mussolini ci ha visto chiaro e non per caso, come manifestato nella Battaglia del Grano risolvendo il problema, ponendo in primo piano le necessità dello stato.
I problemi più temuti per la coltivazione del grano sono principalmente le micosi, lo stoccaggio e la non maturazione, che quasi ogni anno causavano perdite più o meno gravi. Con il miglioramento della tecnica della coltivazione del grano in purezza, cioè attraverso un appropriato ordine del terreno, attraverso un concime più ricco e attraverso una cura più scrupolosa delle coltivazioni, si è riusciti a superare le barriere dello sviluppo e ad ampliare i raccolti di grano in modo più notevole e più stabile.
Le vecchie varietà di grano, che hanno il merito di essere molto diversificate per effetto dell’ambiente in cui erano state coltivate per secoli, presentavano delle caratteristiche così peculiari da poter essere prese poco in considerazione per le migliorie in atto e per i nuovi raccolti. La nuova agricoltura necessitava di nuovi tipi che vennero creati appositamente e con cognizione di causa per i nuovi obiettivi prefissati (più alta resistenza alle malattie, allo stoccaggio e alla mancanza di maturazione) rendendo possibile una forte intensificazione della coltura (superfici di lavoro senza difetti, somministrazione di concimi chimici e manutenzione più scrupolosa) e garantendo raccolti più consistenti.
Per riuscire a soddisfare nel miglior modo possibile questi obiettivi, si andò nella direzione della Stazione sperimentale di granicoltura di Rieti (che dal suo anno di fondazione nel 1903 fu diretto dall’autore di questo articolo insieme all’Istituto Nazionale di Genetica per la Cerealicoltura fondato a Roma nel 1919), specializzata nella costituzione di varietà che avessero un ciclo breve di crescita, e che proprio grazie alla loro velocità di maturazione resistevano più facilmente alla siccità, e che sfuggissero al pericolo di maturazione incompleta. Nello stesso tempo i nuovi tipi dovevano dimostrare di essere più resistenti sia alle intemperie come vento e pioggia sia alle malattie e possedere una produttività molto alta e un considerevole valore nutritivo.
Fu così che nacquero i tipi precoci di grano italiano, di cui il primo che comparve nel 1920 fu chiamato “Ardito”. A questo dal 1923 in poi ne seguirono molti, e qui menzioniamo solo quelli più famosi. “Villa Glori”, “Mentana”, “Edda”, “Damiano” e anche quelli più nuovi cui si diedero nomi legati all’Italianità come ad es. “Roma”, “Luigi Razza”, “Littorio”, ecc. Quest’ultimo presenta un particolare tipo di coltivazione e di valori nutritivi, e tra gli agricoltori è senza dubbio quello che gode di più popolarità.
Nel biennio 1925-1926 furono coltivati 500.000 ettari di superficie con diversi tipi di grano, in confronto ai 3 milioni di ettari di oggi; e le nuove misure del governo ne assicurarono un continuo aumento.
La diffusione generale dei tipi selezionati di grano assicurerà una estensione del raccolto su molti ettari e la suddivisione delle terre farà sicuramente aumentare tra un anno la produzione da 16 a 20 quintali.
In breve tempo la raccolta del grano in un’annata favorevole produrrà oltre 100 milioni di quintali e verrà assicurato il nostro fabbisogno generale senza alcuna espansione della superficie coltivabile.
Progrediremo anche in questo ambito grazie a Mussolini e non ci fermeremo. In tutti i settori dell’agricoltura saranno fatti passi avanti con l’aumentare della popolazione italiana, cosicché soddisferemo il fabbisogno di grano generale con lo stesso terreno a disposizione e diventeremo indipendenti dall’estero per quanto riguarda i beni alimentari.
Questo è l’obiettivo e il senso della “Battaglia del Grano”».
Dal 1919 al 1922 sono stati prodotti in media all’anno 45 milioni di quintali di grano con un picco nel 1921 quando ne sono stati prodotti 52 milioni e con un minimo di 38 milioni nel 1920.
L’Italia, i cui 36 milioni di abitanti nel 1919 sono saliti a quasi 39 milioni nel 1922, per riuscire a sfamare la sua popolazione, ha dovuto importare nel giro di questi 4 anni una media di 24.260.000 quintali di grano. Questo doloroso ma necessario tributo di miliardi di lire, che l’Italia ha dovuto sobbarcarsi, ha sempre gravato in maniera insopportabile sulle finanze e sull’economia del paese. Nel 1921 si sono dovuti importare ben 28 milioni di quintali di grano per un valore di più di 3 miliardi di lire. La voce “cereali”, tra cui il grano è al primo posto, causò quasi da sola la metà di tutto il debito del bilancio economico italiano.
I pochi numeri e le poche osservazioni sopraccitati danno un’idea abbastanza precisa del peso della richiesta italiana di grano, da quello che risulta immediatamente da subito dopo la guerra fino all’inizio del Fascismo; ma per inserire il problema stesso nel complesso dei rapporti di varia natura, in cui si è sviluppata l’economia agricola in Italia, che, generalmente parlando, non è propriamente la terra del grano, bisogna considerare che, in una superficie coltivata e boscosa per un totale di 28 milioni e mezzo di ettari, le montagne e le zone collinari in Italia occupano circa 22 milioni di ettari rispetto alle pianure (che ammontano solo a circa 6 milioni di ettari) e costituiscono il 41,4% della superficie totale del paese e circa il 43% della superficie coltivata e boscosa; per questa ragione l’Italia, sebbene sia montuosa e ricca di laghi e fiumi, rispetto ad altri paesi europei possiede una relativamente ampia superficie coltivabile, che però in migliaia di anni di coltura è stata trasformata da diversi tipi di coltivazioni.
Una caratteristica distintiva dell’economia agricola italiana è stata ed è di fatto la promiscuità e la varietà di colture dovuta alle grosse differenze ambientali. L’aumento della produzione deve dire grazie soprattutto al valore di ricercatori, tecnici e agricoltori capaci e perseveranti provenienti da tutta Italia.
Gli ordinari rapporti agricoli in Italia, specialmente quelli legati allo sviluppo del grano intrapresi subito dopo la guerra, sono riconducibili ai rapporti politici, sociali e finanziari del Dopoguerra: scioperi, insurrezioni e sommosse di ogni ordine civile e di tutti i valori morali.
Non può essere fatto nessun passo avanti in nessun settore del lavoro se mancano disciplina, pace e tranquillità.
Il Fascismo ha ridato all’Italia questi beni inestimabili; e quando dal 1922 gli scioperi, le insurrezioni politiche e i disordini sociali terminarono, subito furono ripristinati la disciplina e l’ordine, e la pace e la tranquillità ricominciarono a regnare anche in campagna, così che quei passi avanti, che già prima della guerra mondiale si erano chiaramente manifestati, si ripresentarono su tutti i livelli dell’agricoltura.
Ma il problema del grano italiano con la sua grave scarsità si dovette affrontare e risolvere non senza mezzi straordinari. È per questo motivo che si arrivò alla definizione di Battaglia del Grano, a cui sono preceduti due concorsi nazionali per l’aumento dello sviluppo del grano, banditi nel 1923 e 1924 nel giornale del Duce, il “Popolo d’Italia”, in onore di Arnaldo Mussolini, suo indimenticabile fratello scomparso. Durante la storica sessione notturna della Camera dei Deputati del 25 giugno 1925 il Duce diede l’annuncio della “Battaglia del Grano” e il 4 luglio formò il Comitato Permanente del Grano, a cui assegnò i seguenti incarichi: ampliamento dei terreni coltivabili a grano, aumento degli ettari per il raccolto, intervento immediato sui problemi legati alla semina, al concime, alle innovazioni tecniche e alla questione del prezzo.
L’intero esercito di tecnici e di agricoltori fu mobilitato e regolato sotto l’ordine diretto del Duce; in ogni provincia italiana furono istituiti organi direttivi della “Battaglia del Grano”. Subito furono emanate dal governo le prime leggi sulla tutela del prezzo, sulla propaganda, sulla disciplina degli esperimenti e della ricerca sul campo agricolo e furono fornite nuove forze operative in tutto il paese con abbondanti ed adeguati mezzi finanziari, che di anno in anno vennero aumentati sulla base delle nuove esigenze.
Non è possibile approfondire dettagliatamente in un semplice paragrafo tutti diversi aspetti della Battaglia del Grano, il cui preciso scopo all’inizio era quello di aumentare la produzione del grano, ma che più tardi ha compreso anche l’intero campo dello sviluppo dell’agricoltura e che alla fine è diventato una battaglia tra tutti gli agricoltori italiani per sopperire alla necessità di cibo.
Più di 60 leggi, innumerevoli decreti ministeriali, circolari, disposizioni ecc. furono la dimostrazione dell’opera del governo in materia di Battaglia del Grano: ciò che non poté essere espresso dai numeri, fu il nuovo spirito che suscitò il Fascismo sotto la direzione del Duce sugli agricoltori italiani. Questi, animati dalla nuova fiducia, sostenuti dal governo e diretti da tecnici capaci, seguirono con entusiasmo il talento del carisma del Duce e non si fecero mai scoraggiare dalla non sempre piacevole situazione economica e dalle sempre avverse condizioni climatiche.
Nel 1926 furono prodotti in Italia 60 milioni di quintali di grano per un raccolto medio di 12,2 quintali per ettaro, nel 1929 70 milioni di quintali per una media di 14,8, nel 1932 75 milioni di quintali e nel 1933 oltre 81 milioni di quintali per una media di 16 quintali per ettaro su una superficie di 5 milioni di ettari coltivata a grano. Il terreno coltivabile rimase quasi invariato a causa dell’incremento delle restanti colture agricole, le quali insieme alla coltivazione del grano hanno contribuito alla totale indipendenza del sostentamento del paese.
Per la prima volta in Italia nel 1933 fu soddisfatto il bisogno di grano per la totalità della popolazione, che da 39.628.000 nel 1926 aumentò a 42.214.000 nel 1933; per la prima volta l’aumento della produzione di grano raggiunse, e quasi superò, l’aumento della popolazione. Però dal 1933 la produzione di grano fu indicativa proprio per queste grandi quantità, perché dimostrò che in Italia in un’annata di condizioni climatiche nella media la forza della produzione di grano riuscì a raggiungere una tale quota proprio grazie alla Battaglia del Grano e ai suoi successi ottenuti, anche malgrado l’inevitabile alternanza di annate buone e cattive. Nel 1935 furono prodotti oltre 77 milioni di quintali; e l’ultimo raccolto, quello del 1937, nuovamente soddisfece la richiesta di grano per l’intero paese, mentre l’importazione di grano nonostante il continuo aumento della popolazione e la sua promozione da parte del governo con tutti i mezzi dal 1928 diminuì poco alla volta, fino a quasi scomparire tra il 1933 e il 1934, periodo in cui il bilancio economico italiano venne considerevolmente alleggerito.
Per circoscrivere il concetto di ciascun aspetto della Battaglia del Grano, non c’è niente di meglio che citare il grandioso discorso del Duce, che tenne in diverse occasioni ufficiali, quando si recava ogni anno dagli agricoltori per conferire loro dei premi, per consigliarli o per indicare loro nuovi obiettivi. Dal 1926 a Roma ogni anno si fissò nel calendario delle manifestazioni del Regime la consegna ufficiale dei premi per la vittoria della Battaglia del Grano, addirittura in presenza del ministro, delle più alte cariche dello stato e dei tecnici agricoli in Italia. I premi, principalmente somme di denaro, venivano consegnati ai vincitori del concorso indetto dal Duce.
Questa è l’atmosfera in cui si sviluppò la Battaglia del Grano e nella quale continuò a svilupparsi; e non esiste nella storia di nessun altro popolo un così grande esempio di vera rivoluzione nel campo della tecnica e dell’economia agricola che abbia avuto luogo in così pochi anni come è invece accaduto in Italia sotto la guida del capo del governo.
Naturalmente questo sviluppo così rapido, che si sarebbe notato anche negli anni a seguire, non sarebbe stato possibile se l’agricoltura italiana non avesse avuto a disposizione l’indubbia capacità dei suoi straordinari mezzi tecnici, come ad es. macchine e attrezzi, concime e sementi: le sementi elette si rivelarono nel tempo come il fattore dominante nell’aumento della produzione.
Ma anche in questo ambito l’alto spirito di Mussolini ci ha visto chiaro e non per caso, come manifestato nella Battaglia del Grano risolvendo il problema, ponendo in primo piano le necessità dello stato.
I problemi più temuti per la coltivazione del grano sono principalmente le micosi, lo stoccaggio e la non maturazione, che quasi ogni anno causavano perdite più o meno gravi. Con il miglioramento della tecnica della coltivazione del grano in purezza, cioè attraverso un appropriato ordine del terreno, attraverso un concime più ricco e attraverso una cura più scrupolosa delle coltivazioni, si è riusciti a superare le barriere dello sviluppo e ad ampliare i raccolti di grano in modo più notevole e più stabile.
Le vecchie varietà di grano, che hanno il merito di essere molto diversificate per effetto dell’ambiente in cui erano state coltivate per secoli, presentavano delle caratteristiche così peculiari da poter essere prese poco in considerazione per le migliorie in atto e per i nuovi raccolti. La nuova agricoltura necessitava di nuovi tipi che vennero creati appositamente e con cognizione di causa per i nuovi obiettivi prefissati (più alta resistenza alle malattie, allo stoccaggio e alla mancanza di maturazione) rendendo possibile una forte intensificazione della coltura (superfici di lavoro senza difetti, somministrazione di concimi chimici e manutenzione più scrupolosa) e garantendo raccolti più consistenti.
Per riuscire a soddisfare nel miglior modo possibile questi obiettivi, si andò nella direzione della Stazione sperimentale di granicoltura di Rieti (che dal suo anno di fondazione nel 1903 fu diretto dall’autore di questo articolo insieme all’Istituto Nazionale di Genetica per la Cerealicoltura fondato a Roma nel 1919), specializzata nella costituzione di varietà che avessero un ciclo breve di crescita, e che proprio grazie alla loro velocità di maturazione resistevano più facilmente alla siccità, e che sfuggissero al pericolo di maturazione incompleta. Nello stesso tempo i nuovi tipi dovevano dimostrare di essere più resistenti sia alle intemperie come vento e pioggia sia alle malattie e possedere una produttività molto alta e un considerevole valore nutritivo.
Fu così che nacquero i tipi precoci di grano italiano, di cui il primo che comparve nel 1920 fu chiamato “Ardito”. A questo dal 1923 in poi ne seguirono molti, e qui menzioniamo solo quelli più famosi. “Villa Glori”, “Mentana”, “Edda”, “Damiano” e anche quelli più nuovi cui si diedero nomi legati all’Italianità come ad es. “Roma”, “Luigi Razza”, “Littorio”, ecc. Quest’ultimo presenta un particolare tipo di coltivazione e di valori nutritivi, e tra gli agricoltori è senza dubbio quello che gode di più popolarità.
Nel biennio 1925-1926 furono coltivati 500.000 ettari di superficie con diversi tipi di grano, in confronto ai 3 milioni di ettari di oggi; e le nuove misure del governo ne assicurarono un continuo aumento.
La diffusione generale dei tipi selezionati di grano assicurerà una estensione del raccolto su molti ettari e la suddivisione delle terre farà sicuramente aumentare tra un anno la produzione da 16 a 20 quintali.
In breve tempo la raccolta del grano in un’annata favorevole produrrà oltre 100 milioni di quintali e verrà assicurato il nostro fabbisogno generale senza alcuna espansione della superficie coltivabile.
Progrediremo anche in questo ambito grazie a Mussolini e non ci fermeremo. In tutti i settori dell’agricoltura saranno fatti passi avanti con l’aumentare della popolazione italiana, cosicché soddisferemo il fabbisogno di grano generale con lo stesso terreno a disposizione e diventeremo indipendenti dall’estero per quanto riguarda i beni alimentari.
Questo è l’obiettivo e il senso della “Battaglia del Grano”».
Sergio Salvi
Laureato in Scienze Biologiche presso l’Università di Camerino, nel corso della sua attività di ricercatore si è occupato di genetica lavorando presso Enti di ricerca pubblici e privati. Attualmente svolge attività di ricerca e divulgazione storico-scientifica su tematiche riguardanti il settore agroalimentare e la genetica agraria in particolare (biografia storico-scientifica di Nazareno Strampelli, origine ed evoluzione delle varietà tradizionali di frumento e del concetto di prodotto tipico, recupero di varietà agrarie d’interesse storico).
Laureato in Scienze Biologiche presso l’Università di Camerino, nel corso della sua attività di ricercatore si è occupato di genetica lavorando presso Enti di ricerca pubblici e privati. Attualmente svolge attività di ricerca e divulgazione storico-scientifica su tematiche riguardanti il settore agroalimentare e la genetica agraria in particolare (biografia storico-scientifica di Nazareno Strampelli, origine ed evoluzione delle varietà tradizionali di frumento e del concetto di prodotto tipico, recupero di varietà agrarie d’interesse storico).
Specializzata
in Lingua Tedesca, materia di entrambe le sue tesi di laurea, ha
conseguito la Laurea triennale in Lingue per i Rapporti
Internazionali, Istituzionali e d’Impresa presso l’Università
del Piemonte Orientale di Vercelli, frequentando un semestre presso
la Facoltà di Germanistica dell’Università di Mannheim. Dopo la
Laurea magistrale in Lingue, Culture e Comunicazione Internazionale
conseguita presso l’Università degli Studi di Milano, ha sempre
svolto attività legate al ramo linguistico, collaborando come guida
e traduttrice a livello turistico ed aziendale.
Sergio
RispondiEliminaavevo dato una scorsa veloce al tuo post ed ora invece me lo sono riletto con più attenzione, ci sono numeri molto interessanti, ma ciò che ha attratto la mia attenzione è stata una frase che è molto di attualità, vale a dire la moda del tutto scriteriata che pretende di seminare varietà antiche per la loro migliore adattabilità e per le loro qualità (dove stanno non lo so) tecnologiche superiore; tanto che i pani fatti con farine di vecchie varietà avrebbero delle qualità organolettiche superiori.
Ebbene Strampelli (di cui noi decantiamo ora le sue varietà definendole antiche)ha anche lui le sue varietà antiche (il concetto di relatività è qui dimostrato perfettamente), solo che le definisce così: "Le vecchie varietà di grano, che hanno il merito di essere molto diversificate per effetto dell’ambiente in cui erano state coltivate per secoli, presentavano delle caratteristiche così peculiari da poter essere prese poco in considerazione per le migliorie in atto e per i nuovi raccolti".........
Grazie Alberto per il tuo commento. Nel fare le sue valutazioni sulle vecchie varietà di frumento italiane (e non solo italiane), Strampelli poteva allegare una grande esperienza derivata dall'averle testate, praticamente tutte, negli incroci da lui tentati fino a prima dell'uso dell'Akakomugi (1913), che segnerà il punto di svolta con l'introduzione della precocità mediata dall'insensibilità al fotoperiodo nel frumento migliorato. La tendenza odierna nel preferire grani antichi appare, quindi, del tutto anti-strampelliana, e questo nonostante Strampelli sia considerato una sorta di "totem" da parte dei cultori del biologico e del "vecchio è meglio". Rimane comunque il potenziale genetico di questi vecchi materiali nell'ottica di un uso finalizzato all'isolamento/reintroduzione di qualche tratto utile, soprattutto in relazione ai cambiamenti climatici.
RispondiEliminaSergio
Appunto è la cosa che non si vuole capire, quanto di buono, come geni forti, vi era nelle varietà antiche sono stati ripresi tramite gli incroci e li ritroviamo nelle nuove varietà. D'altronde questa gente, che non conosce i metodi di miglioramento genetico non sa che ogni ditta sementiera ricorre alla selezione ricorrente che è composta da un settore dove avviene liberamente la fecondazione e la selezione è blanda (si vuol far comparire variabilità) ed un settore dove si riprendono i geni interessanti apparsi nel primo settore e li si immettono in nuove varietà facendo però una selezione più spinta per arrivare a materiale iscrivibile. Se si usasse solo il secondo settore il miglioramento si arresterebbe, mentre se usassimo solo il primo avremmo un progresso lentissimo, appunto quel progresso che è durato fini alla fine dell'800. E' come il serbatoio della benzina (paragonabile al primo settore) di una automobile da dove si prende man mano poca benzina da mettere nel carburatore (secondo settore) e formare la miscela da bruciare.
RispondiEliminaInnumerevoli siti inneggianti al fascismo celebrano la vittoria della
RispondiElimina''battaglia del grano '' Se cio' e' vero come si spiega che nel settembre 1941 la razione giornaliera fu fissata a 200 g. e nel marzo
1942 scese a 150 g. per arrivare a 100 g. a fine 1944?
Io non me lo so spiegare, e sarei grato a chiunque possa darmi una
plausibile spiegazione dell'incredibile fenomeno.
In realtà la battaglia del grano tecnicamente riuscì, nel senso del notevole incremento della produzione di frumento, ma l'autosufficienza non fu mai raggiunta, tanto che il deficit di frumento fu contrastato dal surplus produttivo del mais.
RispondiEliminaTenga anche conto che le annate da lei messe in evidenza sono quelle del periodo bellico, durante le quali la produzione andò rapidamente a rotoli.
I risultati più significativi si ebbero negli anni trenta, tuttavia concordo con lei circa lo strombazzamento del tutto apologetico del fenomeno che e' possibile trovare su diversi siti internet.
Sergio Salvi
Diciamo che c'è solo da constatare che il miglioramento genetico produce un aumento della disponibilità di cibo, ma questo si realizza se vi aggiungiamo anche la buona agronomia . Questo resta indipendente dal contesto socio-politico, nel senso che si può verificare in dittatura ed in democrazione in quanto la scienza non ha colore politico.
RispondiElimina