martedì 29 marzo 2016

Madre natura e i " pesticidi nel piatto"

di Luigi Mariani

Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit.
Dosis sola facit, ut venenum non fit.
Paracelso

Premessa

Allorché nei cibi si rinvengono residui di fitofarmaci di sintesi, i mezzi di comunicazione si scatenano parlando di “pesticidi nel piatto”, senza peritarsi nemmeno di valutare se siano o meno superate le soglie di pericolosità di tali sostanze e ponendo in atto una vera propria forma di “abuso di credulità popolare”, il cui obiettivo ultimo pare essere quello di diffondere nella popolazione una profonda diffidenza nei confronti delle attività umane proprie della filiera agro-alimentare. La conseguenza è che una sempre più larga fette della popolazione è convinta che “il naturale è buono e l’artificiale è cattivo”.

Pochissimi hanno però il coraggio di mettere il dito nella piaga segnalando che spesso è madre natura stessa a comportarsi da potenziale avvelenatrice, mettendo nei nostri piatti una vastissima gamma di sostanze tossiche e cancerogene. In questo articolo vedremo di fare un po’ di luce su questa “verità scomoda”, evidenziando anche che i rischi derivanti da una tale situazione sono comunque assai contenuti in virtù del fatto che, grazie da Dio, è la dose che fa il veleno.
Preciso anche che qui di seguito utilizzerò il termine fitofarmaco (medicina delle piante) e non quello per me odioso di “pesticida”. Quest’ultimo è infatti un termine improprio che deriva dall’inglese pesticide (sostanza atta a contenere i pests e cioè gli organismi viventi nocivi alle piante) e che in italiano assume una evidentissima connotazione negativa alla luce del fatto che, non esistendo nella nostra lingua il termine pest, rinvia per assonanza alla peste umana e animale.

Veleni naturali

Cosa esiste di più naturale e puro dell’acqua? Eppure l’acqua pura, assunta in dosi di 4-5 litri in tempi brevissimi (2-3 ore) dà luogo a una patologia da intossicazione che oggi presenta una certa diffusione e che include l’iponatremia (carenza di sodio), l’edema cerebrale, le convulsioni e infine dalla morte (Dolan et al., 2010).
Acqua a parte, piante e animali cercano in tutti i modi di “non farsi mangiare” da svariati parassiti (nematodi, insetti, acari, mammiferi, ecc.) e per ottenere ciò ricorrono a mezzi meccanici (ad esempio le spine) oppure a innumerevoli mezzi chimici.
Le piante cercano inoltre di resistere all’aggressione di patogeni (fungi, batteri, ecc.) e lo fanno ad esempio coprendosi con robuste cuticole oppure secernendo cere e altre sostanze protettive esterne o ancora facendo terra bruciata attorno al patogeno tramite la necrosi rapida dei tessuti circostanti il punto d’attacco o infine emettendo sostanze chimiche ad azione fungicida o battericida.
Inoltre varie specie vegetali si fanno spazio fra le altre specie emettendo nel terreno sostanze chimiche dannose per i loro competitori e che sono a tutti gli effetti dei diserbanti naturali. Tale fenomeno è noto come allelopatia e su di esso si segnalano gli studi pionieristici di Nazzareno Strampelli (Salvi, 2015).
E’ possibile perciò dire che quando l’uomo ha sintetizzato fungicidi, insetticidi, acaricidi e diserbanti non ha inventato nulla di nuovo ma ha semplicemente imitato quanto accade da milioni di anni e con estrema efficacia nell’immenso laboratorio chimico di madre natura.

I veleni nelle piante spontanee

Sono altamente tossiche piante spontanee come ad esempio la scilla (Scilla maritima L.), la brionia (Bryonia dioica Jacq.) , l’oleandro (Nerium oleander L.), la belladonna (Atropa belladonna L.), la cicuta (Conium maculatum L.) e il colchico (Colchicum autumnale L.).
Per un elenco più ampio delle piante velenose della flora europea si veda (qui), pagina di cui non sono purtroppo riuscito a reperire l’analogo in lingua italiana. Se si osserva l’elenco delle piante spontanee velenose ci si accorge che sono maggiormente presenti in alcune famiglie (ad esempio le ombrellifere e le solanacee) rispetto alle quali la prudenza dev’essere ovviamente elevata.
Per inciso tutte le piante che ho dianzi citato fanno parte della flora italiana, per cui il lettore avveduto dovrebbe quantomeno domandarsi se è o meno in grado di riconoscerle.

I veleni nelle piante coltivate: alcuni significativi esempi

Lancet ha riportato in passato diversi casi di intossicazione da solanina, glicoalcaloide amaro inibitore della colinesterasi e presente in patate, pomodori e melanzane (Katiraee, 2015). La prudenza impone pertanto di limitare il più possibile l’assunzione di solanina, il che si ottiene buttando i tuberi di patata che mostrino tracce di rinverdimento. E’ necessario inoltre rendersi conto che la solanina è solo la punta di un iceberg, quando si parla di fitofarmaci naturali, fra i quali ricadono ad esempio:
  • la caffeina, alcaloide presente nelle piante di caffè, cacao, tè, cola, guaranà e mate ed il cui scopo è quello di impedire agli insetti di nutrirsi delle piante, il che è ottenuto sopprimendo alcuni enzimi del sistema nervoso degli insetti stessi
  • la nicotina, alcaloide a effetto stupefacente che costituisce un’esclusiva della famiglia delle solanacee, cui appartiene il tabacco, e che è tossica per la maggior parte degli erbivori
  •  la capsaicina, alcaloide responsabile della piccantezza dei peperoni, irritante per la maggior parte dei mammiferi e che può altresì fungere da insetticida o da repellente per gli insetti stessi
  •  il 2,4-diidrossi-7-metossi-1,4-benzossazin-3-one (abbreviato come DIMBOA), fitofarmaco naturale presente in mais, frumento, segale e altre piante erbacee; rilasciato in queste piante quando un tessuto è danneggiato si rivela tossico per una vasta gamma di insetti e batteri
  • la formaldeide, sostanza cancerogena presente in svariati frutti fra cui le pere (qui)
  • le sostanze chimiche da cui derivano molti dei sapori caratteristici di erbe aromatiche e spezie, fra cui l’acido tetradecanoico della noce moscata, che è anche un insetticida larvicida, il pulegone della menta piperita e della Nepeta cataria, che è un potente insetticida, il carvacrolo dell’origano e del timo, che ha proprietà antibatteriche rendendo permeabili le membrane cellulari dei batteri (Escherichia coli incluso) e l’eugenolo di chiodi di garofano, noce moscata, basilico e altre specie, che in caso di sovradosaggio può dar luogo a sintomi che vanno da convulsioni a diarrea, nausea, svenimento e tachicardia.
  • gli inibitori delle proteasi che si trovano in cereali (avena, orzo, e mais), cavolini di Bruxelles, cipolla, barbabietola, grano, miglio e arachidi e che interferiscono con l'azione di tripsina e chimotripsina, enzimi prodotti dal pancreas per rompere le proteine ingerite. Anche la soia ha elevati livelli di inibitori della tripsina che sono almeno in parte distrutti con la cottura
  •  gli inibitori dell’amilasi, presenti nella farina di frumento e che sono in grado di inibire l’enzima che scinde l'amido
  • i latirogeni presenti in legumi come cece e veccia e che agiscono da antagonisti metabolici dell’acido glutammico, un neurotrasmettitore cerebrale. Quando i latirogeni sono ingeriti in grandi quantità da esseri umani o animali, provocano paralisi degli arti inferiori e possono portare alla morte.
Quella offerta è solo una rapidissima sintesi senza alcuna pretesa di esaustività e tuttavia ci pone di fronte alla grande varietà di sostanze naturali (e ciò nondimeno tossiche) che finiscono ogni giorno nei nostri piatti. Per un elenco più compreso si rinvia agli scritti di Ames (1990), Magnuson (1997), Dolan (2010) e infine a quello dell’Honk Kong Centre for Food Safety (2007).

Natura matrigna: di origine naturale il 99,99% dei fitofarmaci presenti nella dieta umana

L’elenco di cui al paragrafo precedente è una gran bella cosa ma ha in difetto di non dare un’idea quantitativa del fenomeno. Per questo ci viene in aiuto il biochimico statunitense Bruce Ames (qui), il quale in collaborazione con Lois Swirsky Gold ha pubblicato nel 2000 un articolo scientifico in cui si sottolinea fra l’altro che:

  1.  il 99,99% di tutti i fitofarmaci presenti nella dieta umana è di origine naturale e consiste per l’appunto nella vasta gamma di sostanze sintetizzate alle piante per difendersi da parassiti, patogeni e animali erbivori
  2. In pratica non vi è dieta che possa dirsi del tutto priva delle sostanze chimiche naturali risultate cancerogene ai test su roditori
  3. si stima che l’americano medio ingerisca grossomodo fra 5000 e 10000 diversi fitofarmaci naturali, con una dose media giornaliera di 1500 mg che è oltre 16000 volte la dose media giornaliera (0,09 mg) dei fitofarmaci di sintesi ingeriti.
  4. solo un numero ridotto di fitofarmaci naturali è stato testato con riferimento alla cancerogenicità (mentre il test viene sempre svolto per i fitofarmaci di sintesi) e tuttavia su un totale di 71 fitofarmaci naturali testati ben 37 si sono rivelati cancerogeni su roditori, dal che discende che i fitofarmaci naturali cancerogeni sono praticamente ubiquitari in frutta, verdura, erbe aromatiche e spezie
  5. in una tazza di caffè i fitofarmaci naturali la cui cancerogenicità su roditori è nota equivalgono al valore annuo di residui di fitofarmaci di sintesi cancerogeni su roditori ingeriti in un anno. Ciò peraltro accade nonostante il fatto che solo il 3% delle sostanze chimiche naturali presenti nel caffè abbia subito un test di cancerogenicità
  6. sempre secondo Ames quanto detto non significa che il caffè o i fitofarmaci naturali siano pericolosi in quanto espongono l’uomo al rischio di cancro. Al contrario tali dati dovrebbero indurre a un riesame circa la rappresentatività dei test su animali eseguiti con alti dosaggi rispetto al rischio umano di fronte alle basse dosi che sono quelle di norma ingerite.
E’ infine importante porre all’attenzione del lettore il fatto che i fitofarmaci naturali ingeriti con la dieta sono spesso attivi contro i mammiferi, dai quali le piante hanno la necessità di difendersi fin da epoche remote, e sono dunque potenzialmente dannosi anche per l’uomo. Al contrario i fitofarmaci di sintesi sono in genere studiati con l’obiettivo di colpire vie metaboliche proprie dei vegetali, dei parassiti e dei patogeni ma non dell’uomo (è questo ad esempio il caso del Glyphosate), il che li rende meno problematici per l’uomo rispetto a molti fitofarmaci naturali.
Inoltre le piante coltivate “stressate” (ad esempio perché esposte a temperature non ottimali o a carenze idriche e nutrizionali o perché attaccate da parassiti e patogeni) sviluppano in misura maggiore i fitofarmaci naturali e pertanto un vantaggio indiretto della corretta gestione agronomica in termini di alimentazione idrica, nutrizionale e difesa fitosanitaria è quello di ridurre la presenza di sostanza tossiche naturalmente sintetizzate dalle piante. Tale tema dovrebbe indurre a una riflessone più generale in merito alle agricolture passatiste (biologico, biodinamico) e che tendono a limitare e a demonizzare l’intervento umano in agricoltura.
 
Il miglioramento genetico per superare i problemi del “naturale”
 
Occorre peraltro ricordare che di fronte al problema descritto, l’uomo ha da tempo avviato attività di miglioramento genetico volte ad eliminare le sostanze tossiche e cancerogene di origine naturale dalle piante coltivate, attività che oggi peraltro potrebbero avvalersi di metodi biotecnologici innovativi e di grande efficacia. Di tali attività benemerite sono testimonianza le nuove varietà di melanzana1 (Solanum melongena L.), meno amare perché è stata ridotta la presenza di solanina (Fattorusso e Taglaitela-Scafati, 2007) o le nuove varietà di manioca (Manihot esculenta Crantz) private della sostanza tossica caratteristica (un glicoside cianogenetico). Analogamente la selezione delle varietà più recenti di fagiolo (Phaseolus vulgaris L.) (Bollini et al., 1999) ha mirato a eliminare varie sostanze antinutrizionali di cui i legumi sono ricchi e che sono in particolare le emoagglutinine (lectine), gli inibitori di tripsina, amilasi e proteasi, i fattori sequestranti dei metalli, i fattori antivitaminici, gli alcool insolubili, i glucosidi cianogenetici e i carboidrati fermentescibili (stachiosio, verbascosio). Questi ultimi conferiscono alla granella del fagiolo la sgradevole proprietà di indurre meteorismo e flatulenza in chi se ne ciba in abbondanza.
 
Conclusioni
 
Una conclusione generale che emerge è quella espressa da Ames e Gold (2000) secondo il quale è inutile rompersi la testa per una manciata di molecole provenienti da fitofarmaci di sintesi presenti nelle nostre diete quando madre natura è con noi assai più matrigna. Ciò non toglie tuttavia che sia a mio avviso più che mai necessario che le medicine delle piante siano utilizzate secondo le regole e cioè rispettando le dosi e i tempi di carenza. Su questo l’attività di controllo dei residui presenti nei prodotti agricoli e alimentari è benemerita.
Giova anche domandarci come si faccia a essere vivi e in buona salute nonostante si sia in contatto con tali e tante sostanze tossiche o cancerogene. Il segreto risiede certamente in una dieta variata e che alterni cibi di origine diversa, in modo da evitare il superamento dei limiti entro i quali tali sostanze si rivelano innocue. Esistono inoltre alcune norme di buon senso che non possono essere trascurate, come ad esempio quella di non nutrirsi di tuberi di patata rinverditi e dunque ricchi di solanina.
In conclusione la presenza di elevate dosi di fitofarmaci naturali nelle piante coltivate costituisce una rilevantissima e per molti versi illuminante eccezione rispetto al luogo comune secondo cui “il naturale è buono e l’artificiale è cattivo”. Prendere atto della falsità di tale luogo comune è oggi più che mai necessario se si vuole leggere i “segni del nostro tempo” in modo razionale e indenne da slogan.

1 nome che non per nulla deriva da “mela insana”  

Bibliografia consultata

Ames B.N., Profet M., Gold L.S., 1990. Dietary pesticides (99.99% all natural), Proc. Nad. Acad. Sci. Usa, Vol. 87, pp. 7777-7781.
Ames B.N. and Gold L.S., 2000. Paracelsus to parascience: the environmental cancer distraction, Mutation Research 447, 3–13 (qui)
Bollini R., Carnovale E., Campion B., 1999. Removal of antinutritional factors from bean (Phaseolus vulgaris L.) seeds, Biotechnol. Agron. Soc. Environ. 1999 3 (4), 217–219
Dolan L.C., Matulka R.A., Burdock G.A., 2010. Naturally Occurring Food Toxins, Toxins, 2010, 2, 2289-2332.
E. Fattorusso, O. Taglialatela-Scafati “Modern alkaloids, structure, isolation, synthesis and biology” Ed. Wiley (2007)
Katiraee L., 2015. Myth busting: Are synthetic pesticides, used with some GMOs, more dangerous than natural ones? (qui)
Magnuson B., 1997. Natural Toxins in Food (qui)
Honk Kong Centre for Food Safety, 2007. Natural Toxins in Food Plants, Risk Assessment Studies
Report No. 27, 43 pp.
Salvi S., 2015. Alla scoperta dello Strampelli che non t’aspetti, di Sergio Salvi, http://agrariansciences.blogspot.it/2015/06/alla-scoperta-dello-strampelli-che-non.html



Luigi Mariani
Docente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del
Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.
 

5 commenti:

  1. Per una ulteriore informazione sull'argomento trattato dall'amico Luigi si può leggere anche questo:
    http://www.olioofficina.it/saperi/focus/gli-illusionismi-del-naturale.htm

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  2. Ancora grazie al Prof. Luigi Mariani per il costante sforzo di informazione e divulgazione di cui gli va dato merito, soprattutto per contribuire a combattere i luoghi comuni, questi si spesso dannosi!

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  3. Un intervento davvero magistrale Prof. Mariani. Un testo chiarissimo ed estremamente denso di argomenti e spunti di riflessione. Un contributo davvero prezioso. Grazie.

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  4. Mi associo nel ringraziamento e credo necessario insistere nel far sentire voci fuori dal coro con solide argomentazioni scientifiche. Non si può più stare zitti ad ascoltare le baggianate che ingannano la gente (e non sono certo disinteressate)...

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  5. Forza professore !
    Bisogna far sentire voci che con argomenti scientifici ma espressi in modo semplice sfatino l'uso dei tanti luoghi comuni (falsi) che vengono propinati quotidianamente alla gente (portando acqua a certi mulini...).

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