di Alberto Guidorzi
PRIMI TENTATIVI DI CREARE UN’ INDUSTRIA SACCARIFERA ITALIANA
Prima puntata:
Foto 1 - Zuccherificio di Rieti
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Dalla Restaurazione e fino al 1870 l’Italia vide solo pochi e fallimentari tentativi di coltivare la bietola e di dotarsi di un’industria di trasformazione; Al riguardo si possono solo citare il progetto del 1823 a Massalombarda, i due anni di lavorazione di uno stabilimento a Sarno nel salernitano (1836-38), i tentativi condotti da Cavour in Piemonte e Ricasoli in Toscana, il tentativo a Treviso nel 1854 e infine quello di fine anni 60 a Frosinone negli Stati Pontifici.
Gli anni comunque non vanno tutti persi in quanto si accumula un bagaglio di esperienze, soprattutto agronomiche, e si acquisiscono alcuni principi basilari come il concetto di sarchiata, di approfondimento delle arature e l’esigenza delle concimazioni. Hanno vita più lunga invece le raffinerie situate in porti tirrenici e adriatici. L’Italia resta dunque un importatore totale di zucchero (circa 70.000 t nel 1870) anche perché la politica liberista del tempo non pone dazi elevati all’importazione di zucchero di canna e inoltre, i consumi italiani di quest’epoca sono tra i più bassi d’Europa: 2,7 kg di consumo medio annuo pro-capite, un dato questo che tuttavia nasconde consumi totalmente divaricanti tra le diverse zone geografiche del paese, dai 14 Kg a Genova agli 0,5 kg a Corato nelle Puglie. I consumi non crebbero più di tanto negli anni successivi, quando invece il consumo medio annuo per abitante era di 16 kg in Francia ed addirittura di 28 kg in Inghilterra.
La canna, in questi anni, subisce la nuova situazione determinatasi negli USA e nelle isole caraibiche, cioè la fine dello schiavismo anche in queste regioni ed il conseguente crollo delle produzioni. Tuttavia, l’exploit della coltivazione della bietola negli altri paesi europei incita anche gli italiani a pensare di dotarsi di un’industria saccarifera. Nel 1872 si progettano tre zuccherifici, uno a Cesa in Val di Chiana, uno a Rieti e l’altro in Sardegna. Tuttavia solo Rieti e Cesa entrano in attività ma dopo un paio d’anni chiudono (foto 1). I motivi sono eminentemente tecnici (difficoltà di coltivazione e tecnologie poco adeguate), ma non è indifferente l’ostilità esercitata dai raffinatori italiani di zucchero coloniale, i quali hanno le loro raffinerie nei porti (quasi il 70% dello zucchero importato passa ed è raffinato a Genova) e vedono male l’eventuale concorrenza di zucchero territoriale.
Inizialmente si interessano a questa nuova attività di raffinazione imprenditori chimico - farmaceutici (Ercole Erba) e banche disponibili ad investire, assieme ad investitori tedeschi e francesi interessati ad uno sbocco per i loro surplus produttivi. Nel 1873 sorge a Sampierdarena una grande raffineria che in pochi anni occupa ben 1000 addetti e può raffinare ben 350.000 q di zucchero. La società proprietaria è la Ligure-Lombarda fondata allo scopo dalla Banca di Genova dalla quale trarrà origine poi il Credito Italiano. Con la successiva creazione della seconda società di raffinazione (Compagnia nazionale per la raffinazione degli zuccheri) oltre ad altre banche genovesi vi è l’impegno di un nutrito numero di armatori. Saranno questi ultimi, sempre assieme alle banche, che creeranno il nucleo iniziale degli industriali dello zucchero. Tuttavia, i primi anni delle due società di raffinazione furono grami, e fu solo quando lo Stato decise di applicare una legislazione protezionistica sullo zucchero bianco, al fine anche di incrementare le entrate fiscali, che lo scenario cambiò radicalmente. Infatti con la legge del 1877 e la successiva del 1879, con le quali lo Stato stabiliva un differenziale elevato tra dazio d’importazione e tassa di fabbricazione, ebbe inizio la protezione del settore saccarifero e questa durò fino al 1910 e per poi riprendere più avanti.
Il settore zucchero cominciò dunque a divenire appetibile e richiamò importanti investitori provenienti dalle famiglie più illustri di Genova e in particolare Giovanni Bombrini, Giacomo Balbi, Andrea Podestà, Edilio Raggio ed Erasmo Piaggio. I due ultimi provenivano dal ramo armatoriale, prima velico e poi a vapore, e investivano i capitali accumulati con i noli marittimi. Si fa notare che, essendo allora inesistente una produzione nazionale di zucchero, la materia prima proveniva unicamente dalla raffinazione di grezzo importato, prima dalle Americhe (e gli armatori avevano interessi nel trasporto) e poi quasi esclusivamente dai paesi europei produttori-esportatori, Germania in particolare.
E’ da questa situazione che comincia a delinearsi il progetto di coltivare la bietola in Italia del nord. Infatti nel 1881/1882 la società Ligure-Lombarda fece costruire una raffineria a San Martino Buonalbergo in provincia di Verona ed iniziò la progettazione di un’altra raffineria a Senigallia (AN). Fu quindi nelle vicinanze della raffineria veronese che cominciarono le prime prove di coltivazione della bietola in pianura padana per ricavarne zucchero nazionale.
Il 1883 è anche l’anno in cui con la legge Canzi viene definito, ai fini del pagamento della tassa di fabbricazione, un rendimento in zucchero induttivo, il che significa che lo zucchero estratto oltre la quantità di riferimento legale rimaneva detassato. Da ciò ne discenderanno due conseguenze importanti: la ricerca affannosa del miglioramento dei processi estrattivi e la creazione di varietà a più elevato quoziente di estrazione e più ricche in zucchero. La legge Canzi copiò l’analoga legge di cui abbiamo già parlato e che era stata emanata in Germania ed in Austria-Ungheria, ma non in Francia.
Le conseguenze principali di questa legislazione, che in pratica si trascinano fino ai nostri giorni, sono le seguenti:
- l’industria italiana si rifece esclusivamente all’impiantistica della parte orientale dell’Europa saccarifera
- i tecnici saccariferi ingaggiati per le fabbriche italiane dei primi decenni del XX secolo provenivano da queste plaghe ed i loro discendenti con cognome slavo abitano ancora i paesi e le città italiane sede di zuccherificio
- le varietà da seme bietole avevano caratteristiche diverse se provenivano dalla Francia (solo tipi producenti grosse radici, ma relativamente povere in zucchero) o dalla Germania ed Est-Europa (solo tipi di sementi con radici relativamente piccole, ma ad alto tenore in zucchero ed a più alto tasso di estrazione).
E’ a questo punto importante notare che agli agricoltori le bietole erano pagate per la quantità consegnata, indipendentemente dal contenuto di zucchero.
Pertanto possiamo affermare che la bieticoltura italiana è nata sotto l’impulso dell’industria saccarifera che voleva un prodotto da trasformare, mentre quella nord-europea nacque con la spinta decisiva del mondo agricolo.
La considerazione non è pleonastica se si pensa che nel nord Europa la filiera bieticola e quella saccarifera hanno mantenuto una certa distinzione, mentre in Italia l’interconnessione tra le due filiere è stata sempre stretta.
Il protezionismo alle frontiere e la legge Canzi non fecero, tuttavia, decollare la coltivazione della bietola in pianura padana e gli industriali rimasero solo dei raffinatori. Le ragioni erano di natura logistica e di concorrenza, nel senso che le bietole si volevano lavorare solo in inverno, quando vi era disponibilità di manodopera avventizia agricola, ma la conservazione del prodotto era pressoché impossibile. Inoltre in pianura padana vi era già un’altra pianta sarchiata che contrastava l’avvento della coltivazione della bietola e cioè, la canapa che già occupava 80.000 ha. In Italia Centrale, invece, la struttura fondiaria più latifondista e l’esigenza di una pianta sarchiata ancora mancante, promossero la riapertura nel 1887 dello zuccherificio di Rieti (foto 1) per opera di quello che sarà poi ricordato come il fondatore dell’industria saccarifera italiana,
Emilio Maraini, che tra l’altro poteva vantare un’elevata competenza tecnico-commerciale nel nascente settore saccarifero, che aveva acquisito all’estero. (foto 2)
Foto 2 - Attilio Maraini |
Un ulteriore elemento che frenò lo sviluppo dell’industria saccarifera in Italia dopo l’Unificazione, fu l’eccessiva produzione che si stava ottenendo nel centro Europa. Le raffinerie, infatti, preferivano comprare zucchero grezzo centro-europeo a poco prezzo piuttosto che avventurarsi in Italia a risolvere i problemi agronomici della coltivazione della bietola e della sua lavorazione. Le problematiche che ancor oggi incontra la coltivazione della bietola in Italia, erano infatti già presenti a quei tempi, e fra queste ricordiamo le condizioni climatiche caratterizzate da:
- mesi estivi troppo stressanti e conseguente retrogradazione del tenore in zucchero nella seconda parte dell’estate e a inizio autunno
- mesi autunnali molto piovosi con ostacolo alle operazioni di raccolta.
Foto 3
- Azione emessa dai primi proprietari dello Zuccherificio di Pontelongo (PD),
uno dei due attualmente ancora
funzionanti in Italia.
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I primi tentativi di impiantare le industrie saccarifere non sono partiti in Italia centrale per caso. Lì infatti si cercava di compensare la latitudine di coltivazione troppo meridionale con l’altitudine ed anche con la vicinanza di città intensamente popolate come Roma e Napoli per trovare consumatori. Quanto detto è confermato dal fatto che altre a quello di Rieti s’installeranno presto degli zuccherifici a Foligno e successivamente ad Avezzano per sfruttare l’altopiano del Fucino, il cui lago era stato prosciugato. A quei tempi peraltro assistiamo anche all’interesse da parte di capitali esteri alla creazione di una industria saccarifera in Italia.
L’eccesso di produzione in Europa e l’influenza negativa sui prezzi dello zucchero si protrasse fino alla soglia dell’anno 1900 e la struttura saccarifera esistente in Italia (in gran parte raffinatrice e solo scarsamente autoproduttrice) vivacchiò senza investire, mentre nel resto d’Europa si potevano contare ben 1196 zuccherifici (dato del 1890) suddivisi tra Germania, Austria-Ungheria, Russia, e Francia. Tuttavia in Italia i consumi anziché crescere diminuirono e, malgrado lo zucchero avesse raggiunto prezzi più accessibili, essi si attestarono sui 2,5 kg pro-capite annui. Questo dato fece dire a qualcuno che l’industria saccarifera in Italia non sarebbe mai sorta perché l’estrema povertà della popolazione escludeva gli italiani dal consumo di un prodotto di lusso come lo zucchero, anche se i consumi dei popoli che vivono in climi caldi sono da sempre inferiori a quelli dei climi freddi.
Agronomo.
Diplomato all' Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureto in
Scienze Agrarie presso UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni presso la
nota azienda sementiera francese Florimond Desprez
come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti
l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per
Italia ; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze
sia dell'agricoltura francese che italiana.
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