martedì 19 gennaio 2016

Breve storia del settore bieticolo-saccarifero in Italia e nel mondo - Prima Puntata

di Alberto Guidorzi

Le piante saccarifere industriali e la loro storia 

 

Particolari delle piante di canna e bietola
Obiettivo di questa trattazione è quello di offrire ai lettori un profilo storico del settore bieticolo-saccarifero nel nostro paese e più in generale in Europa e nel mondo.
Il mio interesse al settore bieticolo-saccarifero a livello italiano discende dal fatto di averlo osservato e conosciuto in oltre quarant’anni di lavoro, per cui mi sento in grado di tracciarne per i lettori di Agrarian Sciences una cronistoria fino all’epilogo costituito dal “terremoto” dell’inizio degli anni 2000, un evento tale da far sì che la filiera venisse praticamente spazzata via e che la coltivazione uscisse dalle rotazioni agrarie di gran parte dell’Italia, ove aveva persistito con successo per più di un secolo.
Si consideri poi che lo zucchero “ha fatto la storia”, nel senso che ha a lungo rappresentato una derrata di rilevante interesse geopolitico in Europa e nel mondo. Pertanto cercherò di analizzare in dettaglio la sua storia ad iniziare da quella delle piante saccarifere che lo producono, il che comporterà la necessità di spaziare su un arco di tempo di oltre due millenni. 

La canna da zucchero

La pianta sembra originaria delle isole dell’Oceania e, secondo alcuni, avrebbe prosperato bene in Nuova Guinea. Da qui si è espansa verso Est in Polinesia e verso Ovest nella Cina meridionale e in India (golfo del Bengala). In un piccolo territorio a Nord di tale golfo un botanico individuò undici specie di canna. Si ha notizia che già nel III sec. a.C. si estraesse un succo zuccherino che poi era trasformato in uno zucchero solido compatto e scuro. Fuori di questi luoghi, la sostanza solida dolcificante però non era conosciuta in quanto nel I sec. d.C. il poeta latino Lucano riferisce solo che gli indiani “bevono il succo zuccherino di una piccola canna”. Probabilmente i cinesi appresero dagli indiani ad estrarre il succo, ma sembra una loro prerogativa quello di averlo saputo cristallizzare ed epurare per farlo divenire bianco.
Pare anche che gli Ebrei conoscessero una pianta simile poiché nell’Antico Testamento si fa menzione di una “canna dolce”. Furono però i Persiani di Dario che nel VI secolo a. C., dopo una loro spedizione nella valle dell’Indo, apprezzarono la pianta che “dava del miele senza l’ausilio delle api”. Sembra anche che abbiano iniziato a coltivarla sulle sponde del mediterraneo orientale custodendola gelosamente per mantenerne il monopolio. Tuttavia il cretese Nearco, ammiraglio di Alessandro Magno, ne fece successivamente la riscoperta nel III sec. a.C. Altre fonti citano lo storico e geografo greco Megastene come colui il quale fece conoscere lo zucchero indiano ai suoi contemporanei in seguito al suo soggiorno presso il re indiano Condragupta. Comunque sia, è certo che i greci prima ed i Romani poi fecero uso di questo zucchero.
Gli scambi commerciali come pure le migrazioni di popolazioni a seguito di eventi bellici furono il veicolo dell’ espansione della coltivazione e nel IV e V sec. d.C. I luoghi di coltivazione noti erano la valle dell’Indo e il golfo Persico sul delta del Tigri e dell’Eufrate. A quel tempo erano i Persiani a detenere la tecnologia più avanzata dei processi di fabbricazione: essi raffinavano lo zucchero grezzo rifondendolo, ne chiarificavano lo sciroppo, lo solidificavano e lo vendevano sotto forma di “pani di zucchero”. Due secoli dopo però il regno di Persia fu conquistato dagli arabi e questi trasferirono coltivazione e tecnologia d’estrazione nei territori conquistati del bacino mediterraneo. Agli arabi si deve anche il trasferimento dei metodi di distillazione applicati alle soluzioni alcoliche che avevano tratto dalla lettura dei testi dell’antico Egitto. Ciò spiega perché hanno radici arabe il vocabolo alcole (al-Kuhu e cioè “parti o polveri leggere”) e il vocabolo alambicco (ed al-anbic). I metodi di distillazione migliorarono con il miglioramento nella tecnologia di produzione del vetro. Chi ha visitato il Marocco sa ch molti loro monumenti contengono marmi importati dal continente europeo e pagati con zucchero.
Con i Mori, come vennero chiamati gli arabi in Europa, la tecnologia dello zucchero avanzò ed in particolare migliorarono i metodi di decantazione dello sciroppo, il quale assunse la denominazione araba di kurat al milh (letteralmente “palla di sale dolce”), parola nella quale alcuni colgono un’assonanza con il vocabolo “caramello”.
L’invasione della Sicilia da parte degli arabi trasferì la coltivazione della canna sul continente europeo tanto che sembra che il nome di Mazara del Vallo abbia nella sua radice il nome arabo del molino per lo schiacciamento della canna.
I Crociati provenienti dal nord dell’Europa assaggiarono per la prima volta lo zucchero preparato dagli arabi nel 1099 a Tripoli ed è il cronista Alberto d’Aix che relaziona sulla scoperta e, con dovizia di particolari, sulla coltivazione della canna e sull’estrazione dello zucchero, si sofferma sui diversi nomi dati a quel tempo allo zucchero da parte dei crociati: sale indiano, miele d’Asia, succo d’Arabia e miele di canna. Vale la pena aprire una parentesi sul vocabolo “zucchero” perché si può scoprire come la radice è la stessa in moltissime lingue in quanto tutte derivate dal sanscrito sarkara (sabbia). 


Foto 1 -  Miniatura di Federico II di Svevia
In conseguenza delle crociate la coltivazione della canna s’impiantò a Cipro nel 1150 e contemporaneamente i Normanni e successivamente Federico II di Svevia (foto 1) tentarono di riprendere la coltivazione, estrazione e commercio dello zucchero in Sicilia, anche se tale tentativo durò poco. Al tempo si diceva che si coltivava la “cannamela” mentre il luogo dove era impiantata la macina per la pressatura delle canne era detto “trappeto”, e, guarda caso, in Sicilia esiste un paese chiamato Trappeto sul Golfo di Castellamare. La coltivazione sicula era eseguita al limite settentrionale di adattabilità della pianta e qui occorre rilevare che l’epoca di coltivazione coincise con un periodo caldo, chiamato dai climatologi “optimum climatico medievale” che andò dall’850 al 1200. La coltivazione in Sicilia, che era obbligatoriamente condotta con l’ausilio dell’irrigazione, riprese slancio intorno al 1300 per opera di ricche famiglie e sotto il dominio aragonese e continuò in varie zona della Sicilia fino all’inizio del XV sec. La zona più importante di coltivazione era la piana di Palermo ma la canna si coltivò più a Occidente (Marsala Trapani e Mazzara) e più ad Oriente.
Furono i nobili Crociati che s’incaricarono di far conoscere la nuova sostanza nelle corti del centro-nord dell’Europa ed a farne una prelibatezza ad uso esclusivo dei potenti e dei ricchi. Venezia, che era detentrice del monopolio del commercio delle altre spezie provenienti dall’Oriente, comprese l’importanza economica di questa nuova “spezia” e oltre ad organizzare la produzione e l’acquisto dello zucchero grezzo in Oriente fece della città il luogo di raffinazione per eccellenza. Furono i veneziani ad escogitare il pane di zucchero a forma conica ed a commercializzarlo con tale forma avvolgendolo con una carta di un colore blu, divenuta poi più correntemente detta “color carta da zucchero”. Il colore prescelto doveva fare contrasto per far risultare il bianco dello zucchero. Nel XIV e XV sec. lo zucchero consumato in Europa proveniva in maggioranza da Venezia, la quale lo trasportava a Bruges nelle Fiandre belghe, da dove si distribuiva nei paesi nordeuropei, il che determinò anche la crescita d’importanza d’Anversa come città raffinatrice.
Intanto l’America era stata scoperta e la canna si era già diffusa verso occidente, cioè nelle isole atlantiche (Madera, Canarie, Capo Verde e Sao Tomé). Nelle isole sotto influenza portoghese, già nel 1415 le coltivazioni di canna erano praticate con l’ausilio di schiavi. Il Portogallo poi, che aveva conquistato molti territori sulle sponde dell’Africa atlantica, nell’isola di Sao Tomè al largo della Guinea impiantò una delle più importanti piantagioni di canna da zucchero, utilizzando per i lavori di coltivazione manodopera schiava delle coste africane. Ciò rappresentò per Venezia l’inizio della fine dell’importanza come centro saccarifero, in quanto Lisbona la soppiantò.
Cristoforo Colombo fin dal suo secondo viaggio del 1493 portò su Hispaniola coltivatori e piante di canna prelevate dalle Canarie. L’acclimatamento fu tale che dopo soli 20 anni s’impiantarono i primi zuccherifici ad Hispaniola e si pensa che la reggia di Toledo di Carlo V sia stata costruita con i proventi del commercio dello zucchero delle colonie spagnole. L’espansione della coltivazione fu eclatante e nello spazio di un secolo rimontò verso il Messico e poi giù verso il Brasile. I Francesi portarono la canna in Louisiana nel XVII sec, mentre, assieme agli inglesi, riorganizzarono le coltivazioni nelle regioni centro-americane di primo acclimatamento per rifornire di zucchero le raffinerie di Londra e dei porti atlantici della Francia. Questo nuovo sviluppo non trovò nelle popolazioni locali (seppure già schiavizzate) sufficiente e laboriosa manodopera per dare impulso alle coltivazioni e alla produzione dello zucchero grezzo (tra il 1640 ed il 1750 i consumi dello zucchero raddoppiarono). Il fatto diede impulso ad una nuova tratta degli schiavi africani e l’industria dello zucchero americano divenne totalmente “schiavista”(foto 2).

Foto 2 - Dipinti murali visibili nelle isole caraibiche
In altri termini iniziarono le traversate cosiddette “triangolari”: dalle coste francesi o inglesi partivano navi dirette sulle coste atlantiche dell’Africa cariche di merci (paccottiglia, stoffe, armi e liquori) che venivano scambiate con degli schiavi catturati dai mercanti berbero-arabi o da tribù locali. Le navi ripartivano poi con il loro carico umano per far rotta verso le coste tropico-equatoriali atlantiche delle Americhe, ove scaricavano uomini e caricavano zucchero grezzo, caffè, tabacco, rum ecc. che riportavano nei porti europei di partenza.

Il commercio del rum (rhum scritto con la “h” è un francesismo) ha forse fatto concorrenza a quello dello zucchero e la loro storia è comune; il suo nome deriva da un’abbreviazione della parola inglese rumbuillon che letteralmente significa tumulto, rissa, cioè gli effetti provocati nelle taverne dopo abbondanti bevute.
Notoria era la contrarietà di Voltaire verso la schiavitù, tanto che fa del suo personaggio Candide un testimone molto realista. Candide infatti incontra in un suo viaggio in Sudamerica un negro mal vestito, privo di una mano e di una gamba e che aspetta il suo padrone. Alla domanda di spiegazioni da parte di Candide il negro da un sintetico spaccato delle sue condizioni disumane “ due volte all’anno ci danno un pezzo di tela per coprirci, se quando lavoriamo al molino dello zucchero rimaniamo impigliati nelle ruote ci tagliano la mano e se decidiamo di scappare e siamo ripresi ci tagliano la gamba. Io purtroppo sono incappato in ambedue gli inconvenienti!La schiavitù sarà abolita dall’Inghilterra nel 1833 e dalla Francia definitivamente nel 1848.
La canna nel frattempo aveva proseguito il suo viaggio verso Oriente (isole Hawaii 1835, Indonesia) per poi ricongiungersi ai luoghi da dove era partita. In altri termini in 2000 anni la canna ha fatto il periplo del globo. Tuttavia l’esclusione del suo zucchero dall’attracco nei porti europei, decretato da Napoleone per contrastare gli interessi economici dell’Inghilterra, favorì la nascita della seconda più importante pianta saccarifera, la cui storia si descriverà qui seguito. Si fa notare tuttavia che le fasce di latitudine dove si coltivano le due piante sono quasi del tutto distinte: infatti la canna da zucchero è una specie tropicale il cui habitat di coltivazione ricade nella fascia di latitudine a cavallo dell’equatore compresa tra i 35° Nord ed i 30° Sud, mentre la bietola è specie di climi temperati e che dunque si può coltivare tra 30° Nord e 62° Nord (evidentemente anche l’analoga fascia dell’emisfero Sud sarebbe adatta, ma qui di terre emerse ve ne sono davvero poche). Esiste una fascia di latitudine compresa tra il 30° ed il 35° Nord dove la coltivazione delle due piante può coesistere ma qui la canna trova difficoltà per scarsità di precipitazioni mentre la bietola può essere coltivata convenientemente solo con semine autunnali. Tuttavia la coltivazione delle due piante in questa fascia è limitata geograficamente al Nord Africa, in particolare Marocco ed Egitto.


La Barbabietola da Zucchero

La bietola ha avuto due vite, una come “verdura” ed un’altra come pianta industriale.
Sicuramente le foglie di bietola sono state tra le prime verdure che l’uomo preistorico ha colto, quando cominciò ad essere stanziale. Ciò avvenne, però solo nel luogo d’origine del genere botanico, individuabile nel bacino mediterraneo, considerato in senso largo, in quanto il genere si trova in un’area estesa da Nord-ovest a Sud-est con estremi l’Irlanda e la zona mesopotamico-caspica. In quest’area geografica si trovano le tre sezioni della chenpodiacea (Corollinae, Patellares e Vulgares), ma quella ubiquitaria in tutto il bacino è solo la Vulgares. Inoltre la difformità fenotipica nella colorazione doveva essere notevole (gialla, rossa e verde) e la scelta di mantenere i fenotipi colorati fu forse dettata da motivi magici. Le ricerche storiche ci dicono che in Grecia ed in Italia ci si cibava delle foglie e radici di bietola rispettivamente 5500 e 3500 anni fa; ambedue i luoghi erano, però, debitori della selezione effettuata in zona caucasica. Ancora oggi in questa zona con il nome di evelik s’intendono le foglie di bietola e di romice che in ambienti aridi si raccolgono tra fine inverno ed inizio primavera. Vedremo successivamente che la vita industriale della bietola cominciò invece in Polonia e quindi vi è da scoprire come questo spostamento sia avvenuto e quali cambiamenti la pianta abbia subito nel frattempo. Sicuramente il trasferimento lo dobbiamo a degli allevatori scarsamente stanziali che avevano riscontrato che la pianta si prestava alla loro alimentazione ed a quella del bestiame. Infatti le foglie davano foraggio verde nelle zone steppose e semiaride, mentre le radici conservate si prestavano per l’alimentazione invernale. Inoltre fin dall’inizio deve essere stata operata la scelta dei tipi biennali di bietola in quanto essi conservavano foglie eduli per tutto il primo anno, mentre i tipi annuali di Beta Marittima, dalla quale sono poi discesi tutti i tipi coltivati e che salivano a seme al primo anno servivano poco allo scopo. 
Poiché la storia non ci aiuta, si deve ricorrere all’etnografia, ed in particolare alla tradizione popolare che ci dice che il seme di bietola era conosciuto nell’Europa Centrale come “il seme degli ebrei” perché legato a degli ebrei del gruppo askenazita proveniente da Est e che sarebbero i discendenti del popolo khazaro emigrato. Questa è la tesi sostenuta da A. Koestler nel libro: La tredicesima tribù, nel quale si parla di una popolazione turco-mongola, detta dei Khazari, che ebbe un reale sviluppo nella zona tra il Caucaso e la Crimea tra il V ed il XII sec. Il Khanato di Khazaria (foto 3) occupava un territorio chiave delle rotte fluviali che univano il mar Nero con il mar Baltico.

Foto 3 - Localizzazione del Khanato di Khazaria
Essi da guerrieri si trasformarono in una nazione di agricoltori, allevatori, viticultori, mercanti ed artigiani e nel 740 abbracciarono l’ebraismo per ragioni politiche. Alla fine del XII sec le invasioni slave distrussero il regno dei Khazari e questi emigrarono attraverso l’Ucraina in Polonia (Slesia). Sarebbe stata questa popolazione a trasferire nelle regioni di nuovo insediamento alcune razze di bietola che nei luoghi di partenza erano state sottoposte a selezione e miglioramento.
L’uso alimentare della bietola si è propagato in Europa anche grazie ai Romani, che nei territori conquistati devono avere trasferito usi e abitudini culinarie. E’ questa la ragione per la quale la bietola selvatica che ora s’incrocia con la bietola da zucchero si preferisce chiamarla “bietola ruderale” per connotarne l’inselvatichimento dovuto all’abbandono degli orti degli accampamenti o insediamenti. Il primo che parlò della bietola come pianta capace di dare zucchero fu Olivier de Serres, ma i primi che tentarono di usarne i succhi furono i prussiani Margraf e Achard. Quest’ultimo individuò nelle radici locali bianche, poco sporgenti dal suolo e di forma conica quelle più adatte per estrarne zucchero. Si trattava probabilmente di popolazioni di bietole ad uso foraggiero su cui si operò la selezione massale per la forma ed il colore per ottenere la prima varietà conosciuta, la “Bianca di Slesia” la quale fu la progenitrice di tutte le moderne varietà di barbabietola da zucchero. Sicuramente si trattava di radici a contenuto di zucchero molto ridotto e che quindi si doveva far aumentare. Furono i primi proprietari di zuccherificio che s’incaricarono del miglioramento del contenuto in zucchero e che operarono la selezione delle radici più ricche in base alla densità. Essi infatti prelevavano dalle radici che i conferenti consegnavano loro, le migliori per forma le immergevano via via in recipienti contenenti acqua a diverso grado di salinità, quelle che si depositavano sul fondo dei recipienti con maggiore contento salino dovevano avere densità maggiore, cioè contenere più zucchero. Le radici prescelte erano conservate e consegnate la primavera successiva ad alcuni tra i migliori e più affidabili coltivatori della zona affinché le trapiantassero ed a fine stagione raccogliessero il seme sullo scapo fiorale che la radice produceva. Il seme doveva essere consegnato tutto allo zuccherificio e questo lo distribuiva agli agricoltori per far produrre le radici da cui estrarre zucchero verso la fine dell’anno. E’ da questo nucleo d’agricoltori provetti che sono discese le famiglie che hanno dato il nome a molte delle case sementiere di bietola che sono arrivate fino a noi. Ciò spiega due cose:
  • perchè le case sementiere più rinomate vengono dal Centro-Nord dell’Europa
  • come sia nata la prassi per cui l’agricoltore doveva approvvigionarsi di seme per la coltivazione solo presso lo zuccherificio.
La canna a differenza della bietola non la si ottiene dal seme, ma da talee erbacee di steli di canna che vengono interrate ed è per questo che la selezione su questa pianta ha avuto meno successo. Forse le nuove biotecnologie della moltiplicazione in vitro e dell’ingegneria genetica potranno far fare un salto di qualità alla canna. Nella bietola per contro sono state applicate tutte le scoperte e le acquisizioni della genetica mendeliana. La “selezione massale” è stata di durata secolare e si è basata sulla scelta dei migliori tipi, fenotipicamente parlando, e di farli riprodurre.
Nel 1856 A. De Vilmorin rivoluzionò la misura del contenuto in zucchero avvalendosi del metodo polarimetrico; tutto ciò permise a De Vilmorin, più tardi, di applicare con successo un nuovo metodo di selezione da lui escogitato e che prevedeva test sulla progenie.
I contenuti in zucchero attuali del 16/17% medi sono stati raggiunti già nel 1912 (si consideri che si era partiti un secolo prima da contenuti del 5%), ma la tipologia genetica della pianta in fatto di corredo cromosomico diploide e seme sotto forma di glomeruli multigermi, è rimasta invariata fino al 1950.
La prima innovazione fu l’autotetraploidia (raddoppio da 2n=18 a 4n=36 del corredo cromosomico) mediante l’azione dell’alcaloide “colchicina”. Molte delle migliori famiglie di seme delle case sementiere furono trasformate in tetraploidi e si potè verificare che in certi casi l’incrocio con delle famiglie diploidi dava un seme ibrido triploide (3n=27) migliore dei due parentali e che inoltre dava piante più rustiche. La tecnica risolveva anche un altro problema, quello della protezione del costitutore d’una varietà, che, se triploide non era riproducibile e quindi l’agricoltore si doveva rifornire ogni anno di seme nuovo che la ditta produceva.
La monogermizzazione per via genetica del seme fu un altro traguardo fondamentale che permise alla bietola di sopravvivere come coltivazione. Furono i coniugi Helen e Victor Savitsky i padri del seme monogerme genetico che essi ottennero in Russia, la loro patria, ove tuttavia la tecnica non potè diffondersi a causa del regime staliniano e della chiusura del genetista di Stato Lysenko. Appena dopo la guerra i coniugi Savitsky si rifugiarono in Occidente e poterono continuare i loro studi negli USA ove ritrovarono il carattere genetico della monogermia anche nel materiale al di qua della cortina di ferro. In condizioni di libertà, la scoperta fu sfruttata e ne beneficò tutto il settore.
Un'altra scoperta che facilitò l’applicazione dell’eterosi anche nella bietola (già verificata come gran apportatrice di progresso nel mais), fu il carattere della maschiosterilità. La sua utlizzazione permise di produrre un’alta percentuale d’ibridi commerciali anche in una pianta con il fiore ermafrodita.
Questo carattere genetico permise inoltre di applicare anche sulla bietola una tecnica di miglioramento già applicata sul mais, in quanto pianta a fiori separati, vale a dire la “selezione ricorrente”. Con questi metodi si migliorarono molti caratteri della barbabietola da zucchero che elencheremo uno di seguito all’altro: qualità del seme, biannualità della pianta, forma della radice, resistenza al freddo, resistenza agli stress idrici, conservabilità delle radici, produzione di saccarosio, qualità tecnologica e resistenza alle malattie. E’ solo grazie al miglioramento genetico fin qui ottenuto se la bietola ha potuto resistere alla concorrenza della canna da zucchero. La gara tuttavia non è ancora finita, ma la bietola ha ancora delle carte da giocare: è infatti prevedibile che nei prossimi 10 anni e nei Paesi più vocati si giunga a produzioni ettariali di 200 q di zucchero (1000 q/ha di radici con il 20% di contenuto di zucchero).
Foto 4 – Estrazione dello sciroppo d’acero
Purtroppo per l’Italia questi sono numeri inaccessibili e la spiegazione della disarticolazione della sua filiera sta tutta nelle scarse quantità producibili e tecnologicamente inferiori, anche se si deve dire che gli uomini della filiera italiana vi hanno messo del loro per essere ancor meno competitivi. 
A livello di curiosità occorre infine rammentare una terza pianta sfruttata per ottenere saccarosio e cioè l’Acer Saccharum, un albero appartenente agli aceri che è coltivato in Nord America per produrre sciroppi zuccherini e zucchero, la cui estrazione avviene mediante incisioni o buchi nel tronco da cui fuoriesce la linfa elaborata (foto 4). Si ricorda che la foglia d’acero è rappresentata sulla bandiera canadese.




Alberto Guidorzi
Agronomo. Diplomato all' Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni presso la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia ; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.

Nessun commento:

Posta un commento