giovedì 3 dicembre 2015

Produttività dei vegetali coltivati e livelli atmosferici di anidride carbonica

di LUIGI MARIANI 




1. Aspetti generali

Negli ultimi due milioni di anni (Pleistocene o quaternario) i livelli atmosferici di CO2 hanno oscillato fra le 180 ppmv (parti per milione in volume) proprie delle fasi glaciali e le 280 ppmv proprie delle fasi interglaciali. Inoltre nell’attuale interglaciale (Olocene) i livelli di CO2 in atmosfera hanno manifestato un graduale incremento dall’inizio della rivoluzione industriale (convenzionalmente fissato nel 1750) tanto che dalle 280 ppmv del periodo pre-industriale si è giunti alle 400 ppmv odierne (Mariani, 2012). Tale incremento è da ritenere in parte frutto delle emissioni antropiche ed in parte dell’aumento delle temperature globali (circa +0.85°C in 150 anni) (Mariani, 2012).


Figura 1 – Andamento delle temperature globali (°C) e della CO2 atmosferica (ppmv). I dati osservativi  sulle temperature globali provengono dal dataset HADCRT4, sono di fonte Hadley Center e Università dell’East Anglia (UK) e provengono dal sito - qui mentre quelli su CO2 sono riferiti a Mauna Loa e provengono dal sito qui
 
Il diagramma in figura 1, riferito al periodo 1957-2013, mostra gli andamenti della CO2 atmosferica (linea rosa) e delle temperature globali (linea blu) ed è stato realizzato con dati provenienti da fonti ufficiali e cioè l’Ente americano per l’atmosfera e l’oceano (NOAA) e l’Hadley Center, ente di ricerca frutto di una cooperazione fra il servizio meteorologico Britannico e la Climate Research Unit dell’East Anglia University.


Da tale diagramma si evince che:


1. a fronte di una aumento graduale della CO2 (dalle 320 ppmv del 1957 alle 400 ppmv del 2013) le temperature globali porta un andamento più complesso con una diminuzione dal 1957 al 1976, un aumento dal 1977 al 1998 ed una nuova live diminuzione in seguito
 
2. la CO2 presenta una tipica ciclicità annuale con massimo nell'inverno boreale e minimo nell'estate boreale (il calo rispetto al massimo invernale precedente è di circa 6 ppmv). Tale fenomeno è effetto della fotosintesi (l'emisfero nord è l'emisfero delle terre e dunque le piante fotosintetizzano molto più che in quello sud) e porta all’interessante deduzione per cui per stabilizzare i livello atmosferici di CO2 potrebbe essere utile e ragionevole puntare su piante molto produttive.
 
2. Livelli atmosferici di CO2 e produttività di Ipomoea batatas

L'amico storico dell’agricoltura professor Gaetano Forni mi ha segnalato il lavoro Growth, Yield, and Nutritional Responses of Chamber-Grown Sweet Potato to Elevated Carbon Dioxide Levels Expected Across the Next 200 Years a firma di Benjamin Czeck, Hope Jahren, Jonathan Deenik, Susan Crow, Brian Schubert e Maria Stewart, ricercatori che operano presso istituzioni scientifiche delle Haway. Tale lavoro è stato recentissimamente presentato al meeting d’autunno della American Geophysical Union (l’abstract ed il poster sono consultabili al sito qui).
Dal lavoro emerge che l'aumento di CO2 può essere una manna in termini produttivi per una coltura a tutti nota come cibo esotico e cioè la patata dolce (Ipomoea batatas L. - qui) una malvacea che appartiene al grande gruppo delle specie C3. In zona tropicale la patata dolce è coltivata moltissimo sia in pieno campo sia negli orti familiari e costituisce uno dei pilastri delle diete delle popolazioni povere della parte Sud del mondo.
Più nello specifico gli autori hanno operato in camere di crescita in cui i livelli di CO2 erano artificialmente portati a 760, 1140 e 1520 ppmv. In tali condizioni la produzione è aumentata sensibilmente tanto che dopo 3 mesi di crescita e nel caso di CO2 più elevata (1520 ppmv) la biomassa fresca epigea è aumentata del 31% mentre quella ipogea è cresciuta del 101%. Gli autori concludono che la risposta ipogea della patata dolce per livelli di CO2 elevata potrebbe avere un impatto significativo sulle disponibilità alimentari nei paesi in via di sviluppo.

3. Livelli atmosferici di CO2 e produttività della fotosintesi

Dobbiamo però domandarci se i risultati riportati nel paragrafo precedente costituiscano una vera novità. E qui la risposta è no, visto che le relazioni quantitative che intercorrono fra livelli di CO2 e livelli produttivi delle specie vegetali superiori (C3 o C4) sono note da decenni e la bibliografia è vastissima. Moltissimi risultati di sperimentazioni condotte nel 20° secolo sono riportati ad esempio nel classico testo di fisiologia vegetale di Tonzig e Marré (1968) mentre assai di recente Incrocci et al. (2008) hanno evidenziato i vantaggi in termini produttivi della concimazione carbonica in serra.
Per affrontare la questione in termini quantitativi uno strumento utile è costituito dall’equazione di Goudrian e van Laar proposta a pagina 43 del bel libro di modellistica di Penning de Vries et al. (1989):

Ax/A0=1+beta*ln(Cx/C0)

Dove Ax è il livello produttivo di una pianta per una concentrazione atmosferica di CO2 espressa in ppmv e pari a Cx, A0 è il livello produttivo base per una concentrazione atmosferica base di CO2 pari a 340 ppmv e beta è un coefficiente pari a 0.8 per le piante C3 (frumento, riso, vite, olivo, patata dolce, ecc.) e 0.4 per le piante C4 (mais, canna da zucchero, ecc.)[1].
Se si applica l’ equazione di Goudrian e van Laar considerando come livello base di CO2 quello dell’ultima era glaciale (180 ppmv) si ottengono i dati in tabella 1.
 
Tabella 1 – Produttività della fotosintesi per le piante C3 e C4 stimata con l’equazione di Goundrian e van Laar ponendo a 100 i valori dell’era glaciale. Dati ottenuti considerando un livello di CO2 base (C0) di 180 ppmv ed un coefficiente beta di 0.8 per le piante C3 e di 0.4 per le C4. In grassetto si evidenziano 4 valori notevoli.

Legenda: (1) Livello di CO2 dell’ultima era glaciale; (2) Livello di CO2 dell’epoca pre-industriale (fino al 1750); (3) Livello di CO2 attuale; (4) Livello doppio rispetto al pre-industriale, raddoppio che con i ritmi di crescita attuali è atteso intorno al 2080 mentre modelli basati sulla crescita economica globale anticipano al 2050.

Una sostanziale conferma dei dati dell’equazione di Goudrian e van Laar vengono anzitutto da Sage e Coleman (2001) i quali evidenziano che nel passaggio dal livello di CO2 dell’ultima era glaciale a quello attuale, l’incremento di produzione risulterebbe pari al 50-60%, il che indurrebbe a ritenere che l’agricoltura non si sarebbe potuta sviluppare in epoca glaciale proprio a causa della bassissima produttività indotta dai troppo bassi livelli di CO2 (Sage, 1995). Inoltre nel passaggio dal livello di CO2 pre-industriale a quello attuale l’incremento di produzione del frumento, che è oggi il cereale più coltivato a livello mondiale, viene stimato nel 40% circa da Araus et al (2003) e nel 25% circa da Sage e Coleman (2001).
Per inciso ricordo che le piante assorbono la CO2 atmosferica grazie ad un enzima (il Rubisco) che per tale ragione è la proteina più presente in natura. Rubisco tuttavia ha un problema nel senso che è poco selettivo, per cui a bassi livelli atmosferici di CO2 (come sono ad esempio quelli attuali), l’enzima confonde la CO2 con l’ossigeno. Quando, durante le fasi glaciali, CO2 scende dai già bassi livelli attuali a livelli ancora più bassi (180-200 ppmv) le piante C3 (la gran parte delle specie coltivate, fra cui frumento, orzo, segale, riso, barbabietola, patata, ecc.) rischiano dunque la “morte per fame”.
E’ per tale ragione che con la comparsa (avvenuta circa 2 milioni di anni orsono, nel pleistocene) di fasi glaciali periodiche abbiamo assistito alla comparsa delle piante C4 (es: mais, sorgo, canna da zucchero) le quali rispetto alle C3 hanno il grande vantaggio di possedere un meccanismo biochimico di concentrazione della CO2 che permette loro di lavorare anche per i bassi livelli atmosferici di tale molecola propri delle fasi glaciali. Più nello specifico le C4 assorbono la CO2 immagazzinandola in forma di acido malico. Quest’ultimo viene trasportato in tessuti specializzati ove dall’acido malico viene liberata CO2 la quale raggiunge concentrazioni tali da far si che il Rubisco non la confonda con l’ossigeno.
A questo punto è abbastanza immediato dedurre che le piante C3 saranno quelle che guadagneranno di più dall’incremento di CO2 atteso per i prossimi anni ed infatti applicando l’equazione suddetta otteniamo il risultato in figura ove si mostra ad esempio che passando dalla concentrazione attuali di CO2 (390 ppmv) a quella attesa nel 2050 (560 ppmv) la produzione delle piante C3 aumenterà del 29% mentre quella delle C4 aumenterà del 15%. Insomma: il frumento dovrebbe battere mais 2 a 1.

Per inciso si rammenta anche che l’aumento di CO2 dovrebbe produrre:

- maggiore resistenza alla siccità per il semplice motivo che le piante avranno minor necessità di sviluppare gli stomi deputati ad acquisire CO2 dall’atmosfera e dunque avranno minori perdite idriche.
 
- maggior accumulo di sostanza secca nelle parti ipogee (organi di riserva come tuberi, radici, rizomi) il che si spiega con il fatto che la pianta ha minor necessità di sviluppare l’apparato epigeo per intercettare CO2. Tale fenomeno è pienamente confermato dai dati di Czeck et al., 2012

A mio avviso varrebbe anche la pena di verificare l’ipotesi secondo cui con la riduzione del numero di stomi per unità di superficie fogliare si avrebbe una maggiore resistenza ai patogeni che attaccano le piante attraverso le aperture stomatiche (es. peronosporacee).

Questi gli schemi che si ritrovano sui testi di fisiologia su cui anch’io mi sono formato. Attualmente però tutto questo pare essere stato scordato per cui ho spesso a che vedere con persone che a fronte di tali dati rispondono con sufficienza che gli incrementi produttivi saranno vanificati dalla maggiore virulenza dei parassiti o dalla maggior incidenza delle siccità o … (e chi più ne ha più ne metta). Per questo lavori come quello presentato dai colleghi delle Haway sono una buona cosa, per lo meno per contenere i voli pindarici.

4. L’utilità di ragionare al passato per valutare i progetti di geo-ingegneria

Il ragionamento che di solito viene condotto in ambito agronomico è quello che mira a cogliere i futuri incrementi di resa che saranno conseguiti grazie agli accresciuti livelli di CO2 in atmosfera.
Un esercizio interessante può invece consistere nel ribaltare temporalmente il ragionamento per cogliere l’incremento di produzione agricola che già oggi è stato conseguito in virtù dell’incremento dei livelli atmosferici di CO2 verificatosi o a partire dall’ultima glaciazione oppure a partire dal periodo pre-industriale.
Tale esercizio è tutt’alto che ozioso in quanto esistono progetti internazionali di geo-ingegneria finanziati e che mirano a “catturare” la CO2 in eccesso sottraendola all’atmosfera ed accumulandola nelle profondità della terra con il nobile scopo di riportare il sistema ai livelli pre-industriali.
Su tali progetti occorre da un lato considerare che, ammesso e non concesso che sia la CO2 a guidare le temperature globali, il suo rientro ai livelli per-industriali non annullerà di certo la variabilità del clima, che in epoca pre-industriale fu tanto ampia di causare immani carestie che decimarono la popolazione anche in Europa. Fra queste ricordiamo quella del 1594-1597 (la pioggia incessante rovinò i raccolti in tutta Europa), quella del 1693-1695 (penuria di generi alimentari; milioni di morti in Francia e Paesi limitrofi) e quella del 1740-1750 (ultima carestia a dare morti per fame in Europa se si eccettua la carestia irlandese del 1845-1847, anch’essa, seppur indirettamente, causata dal clima (Mariani, 2008).
Inoltre nel’analisi costi-benefici di tali operazioni di geo-ingegneria è assolutamente necessario considerare in modo oggettivo il calo di resa cui andrebbero incontro le piante alimentari, con notevoli conseguenze sui livelli di sicurezza alimentare globali.

Bibliogafia

Araus et al., 2003. Productivity in prehistoric agriculture: physiological models for the quantification of cereal yields as an alternative to traditional Approaches, Journal of Archaeological Science 30, 681–693
Incrocci L., Stanghellini C., Dimauro B., Pardossi A., 2008. Rese maggiori a costi contenuti con la concimazione carbonica, Informatore Agrario, n. 21, 57-59.
Mariani L, 2006. Clima ed agricoltura in Europa e nel bacino del Mediterraneo dalla fine dell'ultima glaciazione. RIVISTA DI STORIA DELL'AGRICOLTURA, vol. anno XLVI, n.2, p. 3-42, ISSN: 0557-1359
Mariani L., 2012. CO2, agricoltura e ciclo del carbonio, AMIA, Acta Museorum Italicorum Agricolturae, n. 23-24, 12-22.
Penning de Vries F.W.T., Jansen D.M., ten Berge H.F.M., Bakema A., 1989. Simulation of ecophysiological processes of growth in several annual crops, Pudoc, Wageningen, 271 pp.
Sage, R.F., 1995. Was low atmospheric CO2during the Pleistocene a limiting factor for the origin of agriculture? Global Change Biol. 1,93–106
Sage R.F., Coleman J.R., 2001. Effects of low atmospheric CO2 on plants: more than a thing of the past, TRENDS in Plant Science Vol.6 No.1 January 2001.


[1] Vale la pena di segnalare che questa equazione ha una strana affinità formale con l’equazione di Mihre et al (1998) che descrive la relazione fra incremento del forcing radiativo rispetto a quello pre-industriale (anno 1750 con C0 pari a 280 ppmv) e livello atmosferico di CO2

deltaF=5.35 * ln (Cx/C0)


L'articolo è  uscito in origine nel sito : Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano



Luigi Mariani

Docente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa,  condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente  di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo  e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.

2 commenti:

  1. In barbabietola da zucchero la data di copertura del suolo dopo la semina quanto più è anticipata. tanto più aumenta l'accumulo di zucchero per unità di superficie. I fattori sono due: 1° Il raggiungimento precoce del LAI ottimale, 2° l'imprigionamento della CO2 emessa dalla respirazione ed il conseguente aumento di concentrazione negli spazi sottostanti le foglie con conseguente maggiore disponibilità per la fotosintesi.

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  2. Grazie per questa preziosa lezione.
    Chissà quanti saranno i giornalisti che la leggeranno e sentiranno il dovere di farne ampia divulgazione per il cittadino comune, spesso indotto da iperbole e forzature a sviluppare indebite paure ed emotività sul tema.

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