di Sergio Salvi
Mucor circinelloides
(fonte http://genome.jgi.doe.gov/)
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Tra le misure adottate in materia agroalimentare dall’Italia durante il ventennio fascista vi fu quella di “tagliare” con farina di mais la farina di frumento utilizzata nella panificazione. A tal fine fu emanato un apposito decreto (D.M. 8 settembre 1937 Provvedimenti concernenti le miscele di farina da impiegare nella panificazione) che fissava al 10 per cento il contenuto di farina di mais.
Si trattava di una misura consequenziale all’adozione di una politica frumentaria che, se da un lato strombazzava la raggiunta autosufficienza nella produzione di frumento nazionale, dall’altro - a dispetto del progressivo aumento demografico - manteneva la disponibilità totale annua del cereale bloccata ai livelli precedenti la “Battaglia del grano”. Si rese quindi necessario sopperire alla ridotta quantità pro capite di frumento con il ricorso alla maggior disponibilità di mais prodotto sul suolo nazionale.
Stante la situazione, vi fu anche la necessità di mettere a punto dei metodi atti a titolare la presenza di farina di mais in quella di frumento, anche al fine di smascherare le immancabili frodi cui il suddettodecreto avrebbe potuto dare seguito. In questa direzione si mosse anche Giovanni Giuliani, un giovane ricercatore pugliese in forza all’Istituto di Chimica Farmaceutica ed Organica dell’Università di Camerino, che nel 1938 pubblicò un nuovo metodo colorimetrico per la determinazione della percentuale di farina di mais presente nella farina di frumento.
Secondo l’autore, il metodo garantiva rapidità ed esattezza delle analisi e poteva essere adottato quale metodo analitico ufficiale per il controllo di qualità delle farine.
Forse trascinato dall’entusiasmo, il Giuliani fece di più: nello stesso studio arrivò a dichiarare che il metodo poteva quantificare la percentuale di farina di mais anche fino al 16%, motivo per il quale, a detta sua, il quantitativo di quest’ultima poteva eccedere tranquillamente il 10 per cento fissato per legge. L’unico intoppo è che la farina di mais, essendo priva di glutine, non lievita, il che rende problematico giustificare una sua presenza in eccesso nella miscela da utilizzare nella panificazione. Ma anche a questo problema il baldo giovine aveva la soluzione da proporre: l’impiego di un fermento denominato Mucor Prhaini Chodat (Mucor praini Chodat & Nechitsche, oggi noto come Mucor circinelloides), capace di far lievitare la farina di mais presente nella miscela.
Tutto risolto? Nemmeno per sogno.
Il Mucor circinelloides è un fungo zigomicete oggi utilizzato come organismo modello nello studio della biosintesi dei carotenoidi nei funghi ed impiegato nella produzione di aromi naturali e di biodiesel. Tuttavia, questo fungo può essere pericoloso quando è presente come contaminante nei mangimi degli animali e nelle preparazioni alimentari; nell’uomo, esso può provocare fastidiose micosi in pazienti immunodepressi, motivo per il quale è oggi considerato un patogeno opportunista emergente.
Non sappiamo se questo “miracoloso” fermento trovò applicazione nella lievitazione delle miscele di farina del tempo, mentre è certo che altre “trovate” potenzialmente pericolose per la salute umana furono adottate per rimediare agli effetti delle sanzioni internazionali che colpirono il nostro Paese a causa dell’arrogante politica coloniale attuata dal regime fascista.
Un caso da manuale fu quello del ricino (Ricinus communis), i cui semi venivano lavorati per l’estrazione di olio, impiegato in usi che spaziavano dalla lubrificazione dei motori fino alla preparazione di sapone domestico (passando per le purghe di squadrista memoria).
Il ricino (che fu pure oggetto di miglioramento genetico da parte di quel geniaccio di Strampelli, con la costituzione della varietà precoce “M-6”) ebbe una notevole diffusione anche in alcune regioni italiane nelle quali esso non era mai stato annoverato tra le colture tradizionali. Questo fatto ebbe conseguenze non proprio piacevoli sotto il profilo sanitario, facendo registrare un significativo aumento dei casi di asma allergica tra gli addetti alla manipolazione dei semi: tutta colpa della ricina - uno dei veleni più potenti esistenti in natura - e di altre sostanze ad azione tossica di cui la specie è ricca.
A titolo di esempio basterà citare uno studio pubblicato nel 1951 e relativo ad 83 casi di asma bronchiale ospedalizzati o esaminati ambulatorialmente presso l’Ospedale Municipale di Padova a partire dall’agosto 1943. Di questi, ben 16 (circa il 20% del totale) si dimostrarono riconducibili al frequente contatto con i semi di ricino utilizzati nella produzione casalinga di sapone, rimedio “fai da te” di un passato che, per quanto negativo, ha sempre molto da insegnare.
Bibliografia
Berto R., Bassi D., 1951. Asma da ricino, Il Policlinico, Vol. 58, pp. 417-426.
Giuliani G., Riparbelli R., 1938. Su di un metodo rapido per il dosaggio della farina di granturco in quella di grano, Annali di Chimica Applicata, Vol. 28, pp. 187-190.
Salvi S., 2013. Quando autarchia fa rima con allergia: la coltura del ricino nei primi anni Quaranta, Rivista di Diritto Agrario, Vol. 92, pp. 120-122.
Salvi S., 2015. Il ruolo dell’Università di Camerino nella ricerca scientifica agroalimentare tra Ottocento e Novecento (1861-1961), Scuola di Bioscienze e Medicina Veterinaria - Università degli Studi di Camerino.
Si trattava di una misura consequenziale all’adozione di una politica frumentaria che, se da un lato strombazzava la raggiunta autosufficienza nella produzione di frumento nazionale, dall’altro - a dispetto del progressivo aumento demografico - manteneva la disponibilità totale annua del cereale bloccata ai livelli precedenti la “Battaglia del grano”. Si rese quindi necessario sopperire alla ridotta quantità pro capite di frumento con il ricorso alla maggior disponibilità di mais prodotto sul suolo nazionale.
Stante la situazione, vi fu anche la necessità di mettere a punto dei metodi atti a titolare la presenza di farina di mais in quella di frumento, anche al fine di smascherare le immancabili frodi cui il suddettodecreto avrebbe potuto dare seguito. In questa direzione si mosse anche Giovanni Giuliani, un giovane ricercatore pugliese in forza all’Istituto di Chimica Farmaceutica ed Organica dell’Università di Camerino, che nel 1938 pubblicò un nuovo metodo colorimetrico per la determinazione della percentuale di farina di mais presente nella farina di frumento.
Secondo l’autore, il metodo garantiva rapidità ed esattezza delle analisi e poteva essere adottato quale metodo analitico ufficiale per il controllo di qualità delle farine.
Forse trascinato dall’entusiasmo, il Giuliani fece di più: nello stesso studio arrivò a dichiarare che il metodo poteva quantificare la percentuale di farina di mais anche fino al 16%, motivo per il quale, a detta sua, il quantitativo di quest’ultima poteva eccedere tranquillamente il 10 per cento fissato per legge. L’unico intoppo è che la farina di mais, essendo priva di glutine, non lievita, il che rende problematico giustificare una sua presenza in eccesso nella miscela da utilizzare nella panificazione. Ma anche a questo problema il baldo giovine aveva la soluzione da proporre: l’impiego di un fermento denominato Mucor Prhaini Chodat (Mucor praini Chodat & Nechitsche, oggi noto come Mucor circinelloides), capace di far lievitare la farina di mais presente nella miscela.
Tutto risolto? Nemmeno per sogno.
Il Mucor circinelloides è un fungo zigomicete oggi utilizzato come organismo modello nello studio della biosintesi dei carotenoidi nei funghi ed impiegato nella produzione di aromi naturali e di biodiesel. Tuttavia, questo fungo può essere pericoloso quando è presente come contaminante nei mangimi degli animali e nelle preparazioni alimentari; nell’uomo, esso può provocare fastidiose micosi in pazienti immunodepressi, motivo per il quale è oggi considerato un patogeno opportunista emergente.
Non sappiamo se questo “miracoloso” fermento trovò applicazione nella lievitazione delle miscele di farina del tempo, mentre è certo che altre “trovate” potenzialmente pericolose per la salute umana furono adottate per rimediare agli effetti delle sanzioni internazionali che colpirono il nostro Paese a causa dell’arrogante politica coloniale attuata dal regime fascista.
Un caso da manuale fu quello del ricino (Ricinus communis), i cui semi venivano lavorati per l’estrazione di olio, impiegato in usi che spaziavano dalla lubrificazione dei motori fino alla preparazione di sapone domestico (passando per le purghe di squadrista memoria).
Il ricino (che fu pure oggetto di miglioramento genetico da parte di quel geniaccio di Strampelli, con la costituzione della varietà precoce “M-6”) ebbe una notevole diffusione anche in alcune regioni italiane nelle quali esso non era mai stato annoverato tra le colture tradizionali. Questo fatto ebbe conseguenze non proprio piacevoli sotto il profilo sanitario, facendo registrare un significativo aumento dei casi di asma allergica tra gli addetti alla manipolazione dei semi: tutta colpa della ricina - uno dei veleni più potenti esistenti in natura - e di altre sostanze ad azione tossica di cui la specie è ricca.
A titolo di esempio basterà citare uno studio pubblicato nel 1951 e relativo ad 83 casi di asma bronchiale ospedalizzati o esaminati ambulatorialmente presso l’Ospedale Municipale di Padova a partire dall’agosto 1943. Di questi, ben 16 (circa il 20% del totale) si dimostrarono riconducibili al frequente contatto con i semi di ricino utilizzati nella produzione casalinga di sapone, rimedio “fai da te” di un passato che, per quanto negativo, ha sempre molto da insegnare.
Bibliografia
Berto R., Bassi D., 1951. Asma da ricino, Il Policlinico, Vol. 58, pp. 417-426.
Giuliani G., Riparbelli R., 1938. Su di un metodo rapido per il dosaggio della farina di granturco in quella di grano, Annali di Chimica Applicata, Vol. 28, pp. 187-190.
Salvi S., 2013. Quando autarchia fa rima con allergia: la coltura del ricino nei primi anni Quaranta, Rivista di Diritto Agrario, Vol. 92, pp. 120-122.
Salvi S., 2015. Il ruolo dell’Università di Camerino nella ricerca scientifica agroalimentare tra Ottocento e Novecento (1861-1961), Scuola di Bioscienze e Medicina Veterinaria - Università degli Studi di Camerino.
Sergio Salvi
Laureato
in Scienze Biologiche presso l’Università di Camerino, nel corso della
sua attività di ricercatore si è occupato di genetica lavorando presso
Enti di ricerca pubblici e privati. Attualmente svolge attività di
ricerca e divulgazione storico-scientifica su tematiche riguardanti il
settore agroalimentare e la genetica agraria in particolare (biografia
storico-scientifica di Nazareno Strampelli, origine ed evoluzione delle
varietà tradizionali di frumento e del concetto di prodotto tipico,
recupero di varietà agrarie d’interesse storico).
Mia nonna, senza andare all'università, aveva trovato subito il rimedio. Quando dal mugnaio riceveva farina mescolata a farina di mais procedeva alla setacciatura prima di fare il pane o la sfoglia, ricavandone ancora il fiore di farina con cui faceva pasta fatta in casa e pane cotto al forno casalingo, che, diciamo la verità, non è che risultasse sempre sufficientemente buono. Altro che profumi di una volta, era la fame di una volta che faceva diventare tutto commestibile! Chissà che poca considerazione avrebbe assegnato mia nonna a noi moderni che se non c'è mescoliamo la crusca alla farina, che diciamo com'è buono il pane nero o che annoveriamo i prodotti da forno fatti con farina raffinata tra i veleni moderni.
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