di Luigi Mariani
"Migranti climatici?" |
Chi ha seguito la Messa di domenica 20/9 in una chiesa della Diocesi
di Milano si sarà sicuramente accorto che il cambiamento climatico ha
fatto la sua comparsa a fianco della Scritture. Infatti sul foglietto
del messale Ambrosiano, in fondo alla parte liturgica, compariva il
seguente annuncio:
I cambiamenti climatici hanno prodotto una nuova categoria di
profughi, i rifugiati ambientali, persone costrette ad emigrare non per
la guerra ma a causa dei disastri naturali che nel modo fanno saltare le
economie di sussistenza legate alla terra. Di questo parlerà il
convegno “Non solo guerra” giovedì 24 novembre 2015 organizzato da
Caritas a Milano Expo 2015. Informazioni su (qui).”
A ciò si aggiunga che alcuni giorni orsono il segretario di Stato
americano Kerry, nel corso di una visita in Alaska, ha dichiarato
quanto segue:“La Siria è stata destabilizzata da un milione e mezzo di
persone che sono scappate dalle zone rurali a causa di una siccità
durata tre anni, resa ancora più intensa dal cambiamento climatico a
opera dell’uomo, una condizione che sta rendendo l’intero Medio Oriente e
le regioni mediterranee ancora più aridi”.
Kerry ha fatto riferimento ai risultati di una ricerca
pubblicata sulla rivista scientifica PNAS (Proceedings of the National
Academy of Sciences) a firma di Colin Kelley e altri e dal titolo Climate change in the Fertile Crescent and implications of the recent Syrian drought
in cui si afferma fra l’altro che “Ci sono prove che la siccità del
2007-2010 ha contribuito al conflitto in Siria. E’ stata la peggiore
siccità da quando vi sono misure strumentali ed ha provocato la diffusa
perdita dei raccolti e la migrazione di massa di famiglie contadine
verso i centri urbani. Il trend secolare osservato in precipitazioni,
temperature e pressione a livello del mare, sostenuti dai risultati dei
modelli climatici, suggeriscono fortemente che il forcing antropogenico
abbia aumentato la probabilità di siccità gravi e persistenti in questa
regione… Si conclude pertanto che le influenze umane sul sistema
climatico sono implicate nel conflitto in atto in Siria.”
Quel che più colpisce di queste notizie è che sia il
cambiamento climatico a produrre profughi, un concetto quantomeno
discutibile, come cercheremo di dimostrare qui di seguito. Anzitutto le
affermazioni di Kerry e di Kelley inducono a svolgere una rapida
indagine sui dati di precipitazione dal 1952 al 2014 presenti nella
banca dati internazionale GHCN (Global Historical Climatology Network) e
che sono riferiti a 7 stazioni siriane (Aleppo, Damasco, Deir Ezzor,
Hama, Kamishli, Lattakia e Palmira). I risultati di sintesi sono
riportati nel diagramma in figura 1, da cui si evince che gli anni che
vanno dal 2007 al 2010 sono stati effettivamente poco piovosi ma con
valori non molto lontani dalla media, per cui parlare di “grande
siccità” è quantomeno improprio. Inoltre il diagramma non mostra dal
1952 ad oggi particolari tendenze al calo delle precipitazioni annue,
come si evince dalla linea di trend.
L’altra cosa che colpisce è il diagramma in figura 2, il quale ci
mostra che la percentuale di dati mensili di pioggia mancanti sale in
modo sensibile dagli anni ‘90 fino a toccare il 70% nel 2014. Tale
percentuale è un indicatore della scarsa affidabilità di tali dati, che
purtroppo sono gli unici dati che abbiamo a disposizione per le nostre
analisi.
Poichè inoltre nell’articolo di Kelley si parla di “perdita dei raccolti fra 2007 e 2010” andiamo a verificare i dati presenti nel dataset mondiale della FAO Faostat3 ci mostra per la Siria
l’andamento dal 1961 ad oggi delle rese unitarie ettariali di frumento, principale coltura erbacea del paese.
Si noti che l’unico anno fra quelli indicati da Kelly che mostri un
sensibile calo dei raccolti è il 2008 con 1.5 tonnellate per ettaro. Al
contrario un buon raccolto si è registrato nel 2007 (2.4 tonnellate per
ettaro) e nel 2009 (2.6 tonnellate per ettaro) e un raccolto mediocre si
è avuto infine nel 2010 (1.9 tonnellate per ettaro).
Insomma, se stiamo alle statistiche, le affermazioni di Kerry e di Kelley paiono quantomeno poco realistiche.
Segnaliamo inoltre ai lettori alcuni ulteriori argomenti di riflessione:
1. è da anni disponibile un dataset internazionale dei disastrinaturali, (EM-DAT / The International Disaster database) liberamente consultabile su questo sito (clicca qui). Da tale dataset si
ricava che il numero di disastri naturali è in costante calo dal 2000, dopo che per anni aveva manifestato incrementi graduali (si veda in proposito il diagramma in figura 4). Come si giustificano i profughi
climatici provocati da disastri naturali alla luce di tale calo?
ricava che il numero di disastri naturali è in costante calo dal 2000, dopo che per anni aveva manifestato incrementi graduali (si veda in proposito il diagramma in figura 4). Come si giustificano i profughi
climatici provocati da disastri naturali alla luce di tale calo?
2.l’andamento delle produzioni agricole mondiali
unitarie (tonnellate/ettaro) delle quattro colture che nutrono il mondo
(riso, mais, frumento e soia) visto attraverso le statistiche FAO ci
segnala che dal 1961 a oggi è in atto un incremento annuo assai
rilevante (+6% l’anno per il mais, +5% per il riso, +4% per il frumento e
+3% per la soia) che non si concilia in alcun modo con un un
cambiamento climatico a carattere distruttivo.
3. il lavoro scientifico Climatic factors as determinants of International Migration redatto dai ricercatori Michel Beine e Christopher Parsons e pubblicato nei quaderni dell’Università cattolica di Lovanio esamina
i fattori ambientali come potenziali determinanti per la migrazione
internazionale e giunge alle seguenti conclusioni: “non si trova alcun
impatto diretto di cambiamenti climatici sulle migrazioni internazionali
nel medio e lungo periodo per l’intero campione da noi analizzato.”
Evidenze contrarie a parte, ricordiamo a chiunque si
voglia cimentare nel cercare legami fa cambiamento climatico e fenomeni
sociali che è essenziale disporre di misure meteorologiche accurate
(temperatura e pioggia in primis). Da questo punto di vista nei Paesi in
via di Sviluppo lo stato delle reti osservative meteorologiche è in
molti casi disastroso. Al riguardo segnaliamo il caso increscioso del
Sahel, un’area per la quale si parla spesso di emergenze umanitarie
legate alla siccità. Quando nel 2003 alcuni climatologi si trovarono ad
analizzare l’andamento pluviometrico di tale area (per scrivere un
lavoro sulla siccità poi pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Climatology)
scoprirono che il numero di pluviometri presenti era sceso dai 188 del
1971 ai 102 del 1991 ed ai soli 35 nel 2003. Ecco, con 35 pluviometri
non si riesce a descrivere la pioggia in Lombardia, immaginiamo quella
di un’area come il Sahel che è grande decine di volte l’Italia.
Con specifico riferimento alla succitata iniziativa Caritas,
va ricordato che analisi globali riferite al settore agricolo sono
difficilissime in quanto siamo di fronte a 590 milioni di aziende
agrarie, da piccolissime aziende dedite all’agricoltura di sussistenza
ad aziende più grandi e che lavorano per il mercato. In tal senso non
può essere però trascurata un’evidenza frutto dell’esperienza italiana
degli anni 50-60 e cioè che le agricolture di sussistenza scompaiono a
seguito della vita disagiata ritenuta intollerabile da chi le pratica.
In tal senso occorre evidenziare che o si trova il modo di fare evolvere
le agricolture di sussistenza verso l’economia di mercato (ad es.
organizzando i produttori in forme associative rispettose dei costumi e
delle tradizioni locali) o tali agricolture sono inesorabilmente
destinate a soccombere, e ciò indipendentemente dal fatto che il clima
cambi o meno.
Insomma, oggi è importante ragionare delle cause politiche,
sociali ed economiche che sono all’origine del fenomeno migratorio
senza fare ad ogni piè sospinto ricorso al cambiamento climatico,
argomento che rischia di distogliere l’opinione pubblica dalle cause
reali del fenomeno.
E va ricordato il fatto che la politica Usa degli ultimi decenni,
spesso supportata in modo acritico da vari paesi europei, ha portato a
destabilizzare una serie di nazioni fra Nord Africa e Medio Oriente
(Somalia, Iraq, Afganistan, Egitto, Libia, Siria …) facendo crollare
alcuni fra i pochi regimi laici ancora presenti nell’area e lasciando
così uno spazio enorme ai movimenti integralisti musulmani. A seguito di
ciò comunità cristiane spesso millenarie stanno pagando un prezzo
enorme, per cui fa’ specie che proprio da parte statunitense si invochi
il cambiamento climatico a giustificare fenomeni migratori che hanno ben
altra e più tragica origine.
L' articolo è uscito in origine su la nuova Bussola Quotidiana e per gentile concessione dell' autore pubblichiamo.
Docente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di Milano-Disaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente
di
Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e
Presidente dell’Associazione
Italiana di Agrometeorologia.
I facitori d'opinione sono sempre in agguato ed ora anche nelle organizzazioni che svolgono un meritevolissimo lavoro caritattevole, ma che si fanno compenetrare da individui impregnati di ideologia e non di obiettività, vedi i consiglieri del Papa per la redazione dell'ultima enciclica.
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