martedì 7 luglio 2015

Il Fascio sul Sole: convergenze tra “Battaglia del grano” italiana e “Piano quinquennale” giapponese alla base della “Rivoluzione verde”.

di Sergio Salvi




Veduta caldera ( Monte Aso, Giappone)
 
Parafrasando il titolo di un famoso romanzo di Philip K. Dick, una curiosa convergenza accomunò le campagne frumentarie di due Paesi che condivisero le sorti del Secondo conflitto mondiale: l’uso di nuove varietà di frumento precoce nell’attuazione delle rispettive iniziative tendenti a raggiungere l’autosufficienza nella produzione del cereale.

Più volte è stato scritto di come l’adozione di varietà di frumento a maturazione precoce messe a punto negli anni ’20 dall’agronomo genetista Nazareno Strampelli (1866-1942) abbiano determinato una vera e propria rivoluzione nella granicoltura del nostro Paese, anticipando l’epoca della “Rivoluzione verde” di matrice americana. Le varietà precoci di Strampelli, capaci di maturare prima del manifestarsi del fenomeno della “stretta da caldo” (associato all’arrivo dei venti caldi estivi caratteristici dell’area mediterranea) e di liberare in anticipo il terreno agevolando così la rotazione con altre colture, contribuirono - unitamente alla resistenza alle ruggini e all’allettamento - ad incrementare notevolmente la produzione interna di frumento, permettendo al regime fascista di decretare, nel giro di pochi anni, la vittoria della cosiddetta “Battaglia del grano” inaugurata nel 1925.
La “Battaglia - o Vittoria - del grano” fu un’operazione a metà tra la sperimentazione agricola su scala nazionale e l’azione di propaganda politica, che se da un lato fece registrare un effettivo incremento nella produzione nazionale di frumento, dall’altro non sortì alcun reale effetto strutturale vantaggioso per l’agricoltura del Paese. Basti considerare che a fronte di un progressivo aumento del frumento prodotto sul suolo italiano e di una conseguente minore importazione di cereale dall’estero, il totale annuo di frumento disponibile rimase sostanzialmente invariato nell’arco del decennio 1925-1935. Il tutto a fronte di una popolazione in continuo aumento, che fu possibile sfamare solo perché al frumento si aggiunse una maggior produzione di mais.
La “Battaglia”, dunque, tecnicamente riuscì, ma sostanzialmente la disponibilità di frumento pro capite diminuì progressivamente: un po’ come in quella barzelletta in cui il chirurgo comunica ai familiari del malato che l’intervento è perfettamente riuscito ma il paziente è morto. E, di fatto, la morte della nostra granicoltura - seppur momentanea - sopraggiungerà nel giro di pochi anni.
Nello stesso momento in cui il regime fascista celebrava la vittoria della “Battaglia del grano” tributando “onoranze nazionali” a Nazareno Strampelli (1933), dall’altra parte del pianeta, in Giappone, era in pieno svolgimento il “Piano quinquennale” inaugurato l’anno precedente, che presentava incredibili analogie con la “Battaglia” italiana soprattutto sul fronte dell’impiego di varietà migliorate di frumento. Infatti, alla diffusione di varietà resistenti alle ruggini, a fusto corto e a maturazione precoce che caratterizzava l’impresa italiana, il Giappone faceva eco con nuove varietà anch’esse dotate di bassa statura e precocità di maturazione che in molti casi, proprio come nelle varietà costituite da Strampelli, presentavano un evidente linkage delle due caratteristiche. Questo non desta meraviglia più di tanto se consideriamo che gli stessi frumenti di Strampelli devono le loro caratteristiche di nanismo e precocità proprio grazie alla presenza, nel loro pedigree, del frumento giapponese “Akakomugi”, portatore dei geni Rht8 (nanismo gibberellina-sensibile) e Ppd-D1 (insensibilità al fotoperiodo).
Il Giappone basò il suo “Piano quinquennale” - grazie al quale raggiungerà l’autosufficienza nella produzione di grano - sull’adozione di nuove varietà di frumento nelle quali la bassa statura era richiesta affinché esse potessero resistere all’allettamento ed essere coltivate in consociazione con altre specie, secondo l’usanza diffusa in quel Paese, mentre la precocità di maturazione aveva una duplice funzione: poter disporre di varietà che potessero essere mietute prima dell’avvento della stagione delle piogge (che interessa tutto il territorio nipponico tranne la più settentrionale isola di Hokkaido) e agevolare la rotazione con il riso, che seguiva la coltura del grano.
Proprio come fece Strampelli agli inizi del ‘900, anche il Giappone si dotò di materiale genetico proveniente dall’estero al fine di migliorare le varietà tradizionali del cereale, ma i risultati migliori furono ottenuti mediante selezioni (anche per linea pura) ed incroci basati sull’impiego di genotipi locali.
Mentre ormai la guerra si avviava alla conclusione, in Messico era già operativo il team di agronomi statunitensi giunti nel Paese centroamericano a seguito della joint venture stabilita in “chiave petrolifera” tra il Governo locale e la Fondazione Rockefeller. A fronte del trasferimento scientifico e tecnologico in materia agricola, infatti, gli Stati Uniti otterranno come contropartita l’accesso ai giacimenti del Golfo del Messico.
È da questa operazione di “reciproco scambio” che la celebre “Rivoluzione verde” iniziò a muovere i primi passi. Norman E. Borlaug (1914-2009), che di quella rivoluzione sarà proclamato “padre” grazie all’assegnazione del Nobel per la pace nel 1970, giunse alla costituzione di nuove varietà di frumento ad alta resa utilizzando, in particolare, due varietà figlie dell’ideale autarchico di altrettanti Paesi usciti devastati dal conflitto: il “Mentana” di Strampelli, che trasferì ai nuovi frumenti americani la resistenza alle ruggini (gene Lr34) e l’insensibilità al fotoperiodo (Ppd-D1), e il “Norin 10”, varietà costituita nel 1932 da Gonjiro Inazuka e giunta negli USA a seguito dell’occupazione militare americana del Giappone, che portò in dote i geni del nanismo insensibile alla gibberellina (Rht-B1b e Rht-D1b).
Così, per uno strano scherzo del destino, due glorie di altrettante autarchie nazionali diventarono i pilastri di una rivoluzione che parlava di “democrazia del cibo” e lotta alla fame nel mondo, a cominciare da quei Paesi in via di sviluppo che, come il Messico, l’India e il Pakistan, concretizzeranno nel giro di pochi anni l’obiettivo dell’autosufficienza già auspicato in altri tempi e in altri luoghi.Con la “Rivoluzione verde”, dunque, il cerchio si chiuse, ma se ne aprì un altro rimasto ancora oggi drammaticamente aperto.
La popolazione mondiale continua ad aumentare e la “nuova rivoluzione verde” da tutti auspicata dovrà poggiare le proprie fondamenta su pilastri altrettanto nuovi, figli non degli estremismi culturali ma del trasversalismo della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica.



Bibliografia  


Dalrymple D. G., 1978. Development and spread of high-yielding varieties of wheat and rice in the less developed nations, Foreign Agricultural Economic Report No. 95, 6th edition, U.S. Department of Agriculture, Washington D.C., U.S.A.
Salvi S., Porfiri O., Ceccarelli S., 2013. Nazareno Strampelli the prophet of the green revolution, The Journal of Agricultural Science, Vol. 151, No. 1, pp. 1-5.
Stanford University, 1935. Japanese self-sufficiency in wheat, Wheat Studies of the Food Research Institute, Vol. 12, No. 3 (November), pp. 57-100.
Stanford University, 1935. The world wheat situation 1934-35, Wheat Studies of the Food Research Institute, Vol. 12, No. 4 (December), pp. 101-182.
Wright B.D., 2012. Grand missions of agricultural innovation, Research Policy, Vol. 41, pp. 1716-1728.



Sergio Salvi
Laureato in Scienze Biologiche presso l’Università di Camerino, nel corso della sua attività di ricercatore si è occupato di genetica lavorando presso enti di ricerca pubblici e privati. Dal 2007 svolge attività di ricerca e divulgazione storico-scientifica su Nazareno Strampelli, rivolgendo particolare attenzione al recupero d’informazioni inerenti l’attività scientifica meno nota del genetista marchigiano e all’attualità delle innovazioni da lui introdotte in agricoltura.

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