venerdì 5 giugno 2015

Da Filippo Re a EXPO 2015. Duecento anni di fasti della cultura agraria nazionale. Otto domande a Antonio Saltini

Agrarian  Sciences intervista Antonio Saltini 

 

Un periodo straordinario di acquisizioni scientifiche: Charles Darwin pubblica nel 1881, appena prima della sua scomparsa avvenuta nel 1882, il testo:“ La formazione della terra vegetale per l’azione dei lombrichi, con osservazioni intorno ai loro costumi”.
Si è all’alba della scienza agronomica ed i suoi cultori si interrogano sul ruolo del terreno nella nutrizione delle piante. Prof. Saltini ci commenti questo periodo.

Gli anni tra il 1859 e il 1880 sono anni chiave per la comprensione, da parte dell’uomo, delle leggi capitali che governano la natura vivente. Pasteur dissolve definitivamente, nel 1861, le ultime resistenze della concezione aristotelica della generazione spontanea. Confutata, nel 1600, da Redi per gli insetti e da Malpighi per i vegetali, l’antica credenza resiste ancora, ed è professata in università prestigiose, per i microrganismi. Pasteur dimostra che tutte le trasformazioni della sostanza organica reputate spontanee sono prodotte da microrganismi la cui diffusione ubiquitaria è dovuta alla leggerezza delle loro spore, trasportate ovunque dai moti dell’aria. Applica la scoperta, negli anni successivi, dimostrando che che ogni microrganismo è responsabile di una reazione specifica: distingue i responsabili delle muffe comuni, delle fermentazioni economicamente utili (alcol, pane), delle alterazioni del vino, delle principali epizozie. Il suo continuatore più illustre, Winogradsky, applicherà i metodi del maestro all’eplorazione della microflora del terreno.
Contemporaneamente Darwin spiega, nel 1859, come prendano forma e si differenzino, nella lotta per la conquista dello spazio vitale e del nutrimento, vegetali e  animali viventi allo stato selvatico, nel 1868 spiega come, diventato agricoltore e allevatore, l’uomo abbia selezionato, in parte inconsapevolmente, in parte consapevolmente, le migliaia di razze delle specie domestiche, vegetali e animali, da cui ricava il proprio cibo nelle regioni diverse del Globo. Nella seconda opera tenta una spiegazione dei meccanismi biologici che, in risposta agli stimoli naturali, o a quelli antropici, producono la variazione degli esseri viventi, quindi la composizione dei caratteri nuovi in  nuove razze: la teoria che propone è inconsistente. Seppure lettore attento della pubblicistica scientifica tedesca, gli è sfuggito l’articolo con il quale nel 1866 Johann Mendel ha pubblicato, su una rivista di diffusione modesta, la spiegazione delle leggi aritmetiche della ricombinazione dei caratteri genetici delle piante e degli animali.

Prof. Saltini ci ricordi i contributi di Winogradsky e Beijerinck: due figure antitetiche di grandi scienziati. Parlando di microbiologia, non si può nemmeno non ricordare Louis Pasteur, ossia il fondatore della moderna Tecnologia Alimentare.

Winogradsky e Beijerink sono protagonisti di una storica sfida per la comprensione del processo chiave, per la vita vegetale, con cui alcuni ceppi batterici convertono l’azoto atmosferico in azoto ammonico, quindi quello ammonico in nitrico, la forma in cui è comunemente assorbito dalle radici delle piante. Bejerink  perfeziona altresì, isolando gli specifici batteri, la fondamentale scoperta di Hellriegel, che nel  1886 ha dimostrato, confutando l’opinione di chimici e agronomi insigni, ricordo e Boussingault e Gilbert, che le radici delle leguminose hanno la proprietà di accogliere primordi batterici da cui si moltiplicano colonie che impiegano gli zuccheri forniti dalla piante per convertire l’azoto atmosferico in azoto proteico. Credo si debba individuare il documento che suggella una stagione straordinaria degli studi naturalistici nella lettura che Beijerinck svolge, nel 1904, alla Reale Società Olandese delle Scienze, illustrando il ruolo dei batteri nel ciclo della vita sulla Terra, cui contribuiscono restituendo all’ atmosfera  l’azoto e il carbonio che alghe e piante hanno convertito in composti organici assicurando le sostanze necessarie anche all’alimentazione degli animali e dei funghi, esseri, anch’essi, eterotrofi.
Il quadro delle scoperte ottocentesche della microbiologia sarebbe incompleto se trascurassimo quelle operate nella sfera della micologia, un universo penetrato, per la prima volta, nel 1700, da due naturalisti italiani, Targioni Tozzetti e Fontana, scopritori dell’agente della ruggine del grano, esplorato, nelle sue latitudini più ampie, negli ultimi decenni dell’Ottocento, da De Bary e Planchon, lo scopritore dell’agente della peronospora. Singolarmente, Planchon aggiunge la soperta micologica a quella entomologica, essendo stato il primo biologo a descrivere le fillossera, il parassita americano che, giunto in Europa, ne distrugge, impietosamente, i vigneti.

Oggigiorno, si assiste ad una enfatizzazione della cultura gastronomica (lo testimoniano il numero crescente di riviste e di programmi Tv), quasi che essa debba imporre l’agenda alla politica agricola italiana. In un ipotetico colloquio con il famoso gastronomo romagnolo Pellegrino Artusi, nel paragonare come ci si nutriva allora rispetto come ci si nutre oggi, cosa vi direste?


Mi è stato chiesto al Salone del gusto di Torino, tempio dei furori di una cultura dell’alimentazione
che esalta il manicaretto, ignora il ruolo capitale delle derrate chiave per l’alimentazione delle società umane, cosa immaginassi mi avrebbe detto Artusi se lo avessi incontrato, redivivo, visitando gli stand della manifestazione. Ho risposto che in Artusi deve essere ricordato l’alfiere di una cultura radicalmente opposta a quella dei gastronomi che sospingono folle di incolti a venerare tartufi e salmone come valori supremi dell’esistenza. Artusi era uomo profondamente radicato nei valori della cultura umanistica, nel culto della moderazione, dell’equilibrio, dell’autentica conoscenza. Insegnava a mangiare gustosamente ma a non alzarsi mai da tavola col fastidio dell’eccesso. Come tutte le persone colte dell’Ottocento venerava i grandi scienziati dell’epoca: credo che a Torino lo avrebbero sconvolto le dichiarazioni dei nuovi vati del cibo contro la scienza e gli scienziati, la scienza e gli scienziati che hanno assicurato al cibo, al tempo di Artusi minacciato da cento possibili alterazioni, da parassiti che attraverso il cibo si insediavano nell’organismo dei consumatori producendovi cento patologie gravi o persino mortali, integrità e sicurezza con cui possiamo, oggi, operare i nostri acquisti al supermercato.
In termini, quindi, di  politica degli approvvigionamenti, debbo confessare l’immenso fastidio per lo spettacolo che ci è stato propinato, negli ultimi vent’anni, dai successivi  ministri dell’agricoltura impegnati a ripetere, autentici pappagallini, il verbo di un gastronomo del tutto ignaro dei problemi della produzione agricola sui sei continenti, compreso, tra quei ministri, chi vantava titoli di docente di discipline agrarie. Un’esibizione da iscrivere, a caratteri d’oro, tra le cento prove che dimostrano, malinconicamente, che gli Italiani hanno accettato di essere governati da una delle classi politiche più avide, opportuniste, irresponsabili tra quante governino le nazioni della Terra. Gli Italiani hanno accettato, colpevolmente, che l’orda dei saccomanni si insediasse nel Parlamento nazionale, nei parlamentini regionali, rischiano che i danni dell’orda non siano più riparabili.

Expo 2015 a Milano è dedicata all’agricoltura. In un suo libro si parla dell’esposizione internazionale del 1893 a Chicago, dove Henry Gilbert associando il 50° anniversario della fondazione della stazione inglese di Rothamsted (dove è stato direttore), ai 400 anni dalla scoperta dell’America, propone alla cultura agronomica internazionale l’analisi dei risultati conseguiti in cinque decenni di ricerche agronomiche.
 
Professore ci potrebbe illustrare cosa ha rappresentato Rothamsted per l’avanzamento della scienza agronomica e, ipoteticamente, cosa potrebbe dire Gilbert all’Expo 2015?

La Rivoluzione agraria moderna nasce, in Inghilterr
a, a metà del Seicento, quando un viaggiatore inglese, sir Weston, tornato da un viaggio in Brabante, spiega agli agricoltori del Regno i vantaggi di alternare la coltura del grano a quella del trifoglio: il grano produrrà molto di più, oltre al grano si produrrà una grande quantità di foraggio, che moltiplicherà le produzioni di latticini e di carne. Per duecento anni agronomi e agricoltori britannici sviluppano questa idea chiave, moltiplicano le formule di rotazione, selezionano il proprio bestiame perchè il foraggio, che producono in quantità sempre più ingente, sia utilizzato da animali che consumando meno producano di più, e quanto producono possieda le qualità più elevate, ad esempio i lombi ricoperti di grasso che, convertiti in arrosto, allietano i pranzi di baronetti, ammiragli e professori di Cambridge.
Nel 1843 Justus Liebig capisce l’importanza  delle scoperte di De Saussure, il genio della biologia che ha spiegato, perfettamente e definitivamente, i processi chiave della fisiologia vegetale, la fotosintesi e l’assorbimento radicale degli ioni minerali, ma che nessuno ha compreso. Divulgatore geniale, Liebig si appropria delle scoperte del grande elvetico e scrive il manifesto dell’agronomia moderna, fondata sulla conoscenza della fisiologia dell’assorbimento minerale. La sua spiegazione contiene, però, un errore sul ruolo correlativo di fosforo e azoto. Lawes e Gilbert, che nel medesimo anno hanno intrapreso le indagini di Rothamsted, identificano l’errore, ne nasce la polemica più infuocata della storia dell’agronomia, ma, corretto l’errore, i due dioscuri della sperimentazione britannica intraprendono le straordinarie esperienze che coronano, al cinquantesimo anno, l’epopea della rotazione, di cui forniscono la perfetta spiegazione chimica e fisiologica. Al termine dell’esposizione americana Gilbert propone, nelle conferenze che tiene a presidi di facoltà di agraria e direttori di stazioni sperimentali, la mirabile concezione dell’azienda agricola quale organismo vivente, organismo economico e biologico, una concezione che assicurerebbe il perfetto equilibrio ecologico dell’agricoltura del Pianeta se l’esplodere delle esigenze alimentari non avesse costretto gli agricoltori del Mondo a moltiplicare le produzioni fondandole sui fertilizzanti di sintesi, il cui impiego in equilibrio con le costanti naturali è meno agevole della perfetta integrazione tra colture cerealicole e allevamenti che costituisce il cardine dell’azienda concepita concludendo, a Rothamsted, la straordinaria esperienza della Rivoluzione agraria moderna.


Nel delineare i contributi di Dockucaev, il padre della moderna pedologia e di Mendeleijev, emerge che all’epoca la Russia incarnava il primato degli studi pedologici. Primato mantenuto fino all’epoca della Rivoluzione d’Ottobre. Lei  afferma  nei suoi scritti  che in 25 secoli non più di dieci scienziati avrebbero fornito dei contributi essenziali per penetrare il segreto della fertilità, essendo questo un tema di indagine complesso e sfuggente.  Potrebbe commentare quest’aspetto?

Dokuchaev è autentico genio russo, un uomo dalle intuizioni straordinarie, che ries
ce a sviluppare malgrado l’assenza di strumenti di laboratorio adeguati. Ricordiamo che per poter perfezionare la propria teoria dovette mandare i campioni di suolo prelevati a tutte le latitudini della Steppa in Francia e in Germania: il laboratorio dell’istituto di chimica di San Pietroburgo era diretto da uno dei grandi geni della storia della disciplina, Mendeleijeev, ma non era in grado di realizzare l’analisi di cento campioni di terreno. L’intuito di Dokuchaev si rivela nella congegnazione della teoria climatica, nel riconoscimento, cioè, del ruolo prioritario del clima nella determinazione del profilo di un terreno, un risultato che il figlio del pope realizza, eminentemente, analizzando e confutanto le cento teorie che avevano tentato di spiegare la costituzione del chernozém. La sua resta eminentemente un’impresa logica. L’unico strumento meccanico impiegato per realizzarla è la troika sulla quale ha percorso le migliaia di chilometri che separano le estremità opposte della Steppa.

In Italia dopo il 1860, ci si trova a dovere convertire in un contesto unitario, le 100 agricolture del paese.
Nel frattempo aumentava la durezza dello scontro mercantile, che il progresso dei mezzi di trasporto aveva acceso sul finire dell’Ottocento, tra i produttori di derrate di tutto il mondo.
E’ il periodo dell’Inchiesta Agraria (1877), della nascita delle prime stazioni sperimentali, quindi della creazione delle “Cattedre Ambulanti” di agricoltura. Ci potrebbe commentare questo periodo, la nascita delle Cattedre e quindi  di un’altra istituzione strettamente connessa: la Federconsorzi?

Non è possibile riassumere in una risposta cinquant’anni di storia dell’agricoltura italiana. A chi volesse penetrare quella storia suggerisco di leggerne le tappe nei capitoli successivi delle mie Scienze agrarie. Sintetizzando, sottolineo che l’analisi deve iniziare riconoscendo l’immensa arretratezza scientifica della cultura agraria nazionale tra il 1800 e il 1860. Attrono al 1800 scrive le proprie opere il conte reggiano Filippo Re, professore a Bologna, un dotto che non ha capito né la rivoluzione chimica di Lavoisier, né quella fisiologica di De Saussure, né quella fitopatologica di Targioni Tozzetti e Fontana. Le opere di questo singolare “scienziato”, che legge i testi dei fondatori della scienza moderna dichiarando di trovarvi “amene curiosià”, sono considerati testi “scientifici”, da fattori, possidenti e parroci italiani, per mezzo secolo. Letterati illustri, ricordo Ezio Raimondi, vi additano, ancora oggi, una prova della “mirabile” eredità di Galileo in agricoltura.
All’immensa arretratezza della cultura scientifica una classe politica preoccupata solo di conservare i propri privilegi, che sarebbero irreparabilmente compromessi se i contadini pretendessero di emergere dall’abbrutente miseria cui sono costretti, aggiunge, con l’inchiesta agraria, la prova della propria volontà di conservazione a qualunque costo. Quella classe fonda le prime istituzioni agrarie, ma avendo dissanguato le casse pubbliche addossando al nuovo Tesoro il debito dei ducati preunitari, non è in grado di finanziarle. I due soli agronomi di levatura europea del quadro nazionale, Cosimo Ridolfi e Gaetano Cantoni, creano, a Pisa e a Milano, le prime scuole universitarie di agricoltura, ma i mezzi sono tanto esigui che il numero dei laureati è assolutamente inadeguato a colmare i ruoli delle stazione create, quantomeno sulla carta, per spingere l’agricoltura nazionale al progresso.
E’ la Facoltà di Milano che riesce a creare un piccolo nucleo di laureati dotati della cultura innovativa necessaria alla grande svolta. Mantenuto unito da legami di probabile natura massonica, quel gruppo è il perno dell’organismo che segna la grande svolta, la Federconsorzi, fondata nel 1892, l’istituzione che, attraverso il binomio vincente costituito da cattedra ambulante e consorzio agrario, produrrà, nelle province dove si insedia un alfiere della nuova cultura agronomica, il prodigio della nascita di un’agricoltura moderna. Singolarmente l’organismo sarà destinato all’estinzione, l’anno precedente il centesimo anniversario, dall’oscura vicenda fallimentare suggellata da uno degli uomini che più lucidamente hanno incarnato le doti supreme della classe politica nazionale: cinismo, opportunismo, la straordinaria capacità di occultare qualunque verità, sociale, politica, economica. La dissoluzione dell’organismo corrisponde, la coincidenza centenaria è singolare, all’inizio del  processo di confusa involuzione in cui l’agricoltura italiana viene  coinvolta, nel crepuscolo del Novecento, soffocando i vigorosi impulsi al progresso che l’hanno sospinta, tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, a conquiste produttive e tecnologiche tali da consentirne il confronto con quelle più evolute dell’intero Occidente.

Dalle Cattedre Ambulanti, si è passati alla creazione degli Ispettorati Agrari (1935), per passare quindi alla stagione della “Battaglia del grano”  (anni ’30 del secolo scorso), quindi alla stagione dei “Piani verdi e del redito garantito dalla Comunità Europea” (secondo dopoguerra),  quindi a quello che lei definisce un fortunato periodo per l’agricoltura italiana: quello che va indicativamente dal 1960 al 1980. Successivamente a quel periodo, anche a causa di una diversa politica agricola comunitaria adottata dall’UE, l’agricoltura ha perso nettamente di importanza nel contesto economico e sociale. Che prospettive intravvede per il futuro? A parte l’enfatizzazione dei prodotti tipici, stiamo o non stiamo attraversando, in agricoltura, un periodo prolungato di “torpore”?

Credo di avere già suggerito una risposta. Reputo si debba aggiungere che i mercati internazionali stanno attraversando una stagione di sovvertimenti  capitali. Lo sviluppo industriale dell’Europa si è compiuto, grazie alla disponibilità di ampie superfici agricole (nei paesi occidentali 3-4-5.000 metri di suoli arabili pro capite) con il costo sistematicamente decrescente delle derrate agricole. Lo sviluppo agricolo dell’Asia (dove la disponibilità di suoli arabili è misurabile tra i 300 ed i 1.000 metri pro capite) si compirà a costi  crescenti degli alimenti. Un paese, come il nostro, che ha sacrificato, in cinquant’anni di crescita edilizia, metà dei propri suoli di pianura, sarà esposto, domani, a tutte le ripercussioni della crescita dei consumi in Asia, una crescia che potrebbe portare il prezzo degli alimenti a livelli tali da sovvertire i cardini del nostro sistema economico. Chi ha propugnato un credo alimentare fondato sull’eccellenza del companatico potrebbe dovere riconoscere, domani, che, senza disporre di pane, il companatico più appetitoso lascia, alzandosi da tavola, un languore allo stomaco.   

Ogni periodo ha le proprie “paure”. Relativamente al tema OGM ed all’attenzione che il mondo politico dedica a questa specifica tematica, quindi a questi comportamenti dei consigli comunali, qual’è il suo commento? L’attenzione all’agricoltura è rivolta esclusivamente ai pur importanti risvolti ambientali, spesso quando fanno notizia (è così anche per gli allevamenti)? La professione di agronomo che futuro può avere?

Il nostro raccolto di mais dell’estate scorsa è rinchiuso nei magazzini dei centri di raccolto senza che nessuno dica che l’eccezionale siccità ha provocato una proliferazione di parassiti (la farfallina Piralide, le cui feci alimentano il Fusarium, un fungo che produce una serie intera delle tossine più letali esistenti in natura. A quanto è dato sapere le Usl evitano le visite di controllo che dovrebbero eseguire in quei magazzini, perché dovrebbero destinare alla distruzione decine di milioni di quintali, un’operazione per cui non esistono inceneritori a sufficienza. Scrivo l’illazione pronto a ricredermi di fronte a certificati suggellati dai bolli ufficiali. Contro quanto scrisse, in un articolo memorabile, il giornaletto agricolo della Regione Emilia, che, mentendo, proclamò che non esistevano mais immuni alla farfalletta, esistono decine di mais immuni, prodotti dai laboratori delle società sementiere americane. Se avessimo coltivato mais ogm oggi il mais sigillato nei magazzini “proibiti” potrebbe essere convertito, tranquillamente, in mangimi. Invece per non doverlo distruggere dovrà essere “tagliato” con mais americano immune (perché ogm) Secondo i dati del laboratorio di una grande provincia maidicola, che ho ottenuto, riservatamente, dal direttore, il 30 per cento delle partite analizzate avrebbero dovuto essere destinate alla distruzione. Se alla media dei campioni di quella provincia corrispondesse quella nazionale l’Italia dovrebbe importare 20-30 milioni di quintali di mais (ogm) dagli Stati Uniti, ma, data la scarsità delle disponibilità Usa per l’esportazione, provocata dalla siccità estiva, e dalla scelta americana di trasformare una quota ingente del proprio mais in etanolo (e ingrassare il bestiame con il glutine residuo, che le distillerie restituiscono agli agricoltori, sullo stesso rimorchio, per pochi centesimi), un acquisto italiano di quell’entità farebbe esplodere i prezzi. Il mais che compreremmo per “tagliare” il nostro inquinato porterebbe i costi dei mangimi fuori da ogni ordine economico. L’allevamento italiano reggerebbe difficilmente il colpo. I geniali protagonisti della lotta nazionale all’ingresso delle piante ogm nella Penisola avrebbero raggiunto, provocando il crollo dell’allevamento, l’obiettivo agognato di costringere gli italiani alla conversione vegetariana (rinunciando, contro quanto è sempre stato supposto, anche a latte e yogurth): forse la soluzione per sfidare le traversie future dei mercati agricoli con qualche probabilità di sopravvivere. Quanto al ruolo degli agronomi, reputo che avrebbero, innanzitutto, il dovere di spiegare, contro il veto di politici e imbonitori, la verità delle circostanze, quanto scomode possano essere.


Nessun commento:

Posta un commento