di Sergio Salvi
Scheda frumento " Gregorio Mendel" Fonte: Museo della Scienza del Grano "Nazareno Strampelli" |
Il velo sullo Strampelli pubblico e privato ha iniziato a sollevarsi negli anni ’90, grazie soprattutto alle ricerche svolte da Tony J. Worland (1944-2001) in ambito genetico-agrario, con l’attribuzione a Strampelli della prima introduzione dei geni del nanismo (Rht8) e della precocità (Ppd-D1) nel frumento moderno, e da Roberto Lorenzetti sul fronte storico-biografico, con il recupero e lo studio dell’archivio privato reatino del genetista.
Ma lo “scuotimento della polvere” depositata sul velo è avvenuto attraverso altri studi, ancora più recenti, tendenti sia ad approfondire e verificare i contenuti dell’opera strampelliana sia a rivelare aspetti storico-biografici del personaggio che ne restituissero un’immagine più concreta e meno retorica.
Procedendo secondo la cronologia della vita di Strampelli, la prima nuvola di polvere è stata allontanata in relazione a quel primo esperimento d’ibridazione effettuato a Camerino nel 1900 tra i frumenti “Noè” e “Rieti”, sul quale il genetista non ha mai pubblicato nulla e che ci è giunto descritto dal figlio in una memoria stampata nel 1944.
Leggendo lo svolgimento di quell’esperimento, sembra quasi che lo spirito di Mendel si sia incarnato nelle membra dell’agronomo maceratese per applicare, stavolta sul grano, lo stesso schema sperimentale adottato quarant’anni prima sui piselli dall’abate moravo.
In realtà, gli scritti di altri autori dell’epoca e le modalità con le quali Mendel iniziò ad essere divulgato in Italia permettono di ricostruire una dinamica ben diversa. In altre parole, l’esperimento d’ibridazione con il quale si fa nascere la genetica agraria in Italia fu svolto secondo un approccio molto più naif, tendente a proporre, agli aspiranti agrimensori dell’Istituto Tecnico di Camerino (dove Strampelli insegnava agraria), una dimostrazione pratica di come in natura avvenissero spontaneamente degli incroci (anche tra varietà di una specie autogama come il frumento) e come da essi potessero emergere quelle variazioni à la Darwin che oggi chiamiamo mutazioni, ma che lo scienziato marchigiano riteneva fossero semplicemente dei caratteri già presenti nella specie e smascherati per effetto dell’incrocio. Una concezione, questa, che colloca Strampelli tra i mendelisti puri e, almeno in una breve fase iniziale, tra i seguaci della teoria ottocentesca della “selezione delle piccole specie” del botanico francese Alexis Jordan (1814-1897), alla quale, peraltro, si appellarono anche scienziati del calibro di Francesco Todaro (1864-1950) e Nikolaj I. Vavilov (1887-1943).
Uno degli aspetti più interessanti che lo scuotimento della polvere ha evidenziato è quello relativo all’approccio quasi “olistico” che Strampelli adottò nel risolvere il problema dell’aumento della produttività del frumento, che passava non solo attraverso il miglioramento della specie su base genetica, ma pure di tutto il sistema di coltivazione, chiamando in causa anche altre specie impiegate nella rotazione o nella consociazione col cereale. Strampelli, infatti, in quello che può essere scientificamente considerato il suo “periodo d’oro” (1903-1918), costituì - tra le altre - anche nuove varietà di lenticchia, fagiolo e pomodoro, partendo da varietà già apprezzate sul piano della qualità organolettica e della resistenza alla siccità, per fornire tipi migliorati sul fronte della produttività e della resistenza ai parassiti (lenticchia “Grigio-verde” resistente al tonchio, pomodoro “Varrone” resistente alle crittogame). Questo, probabilmente, anche nell’ottica iniziale di poterli destinare al clima caldo-arido del Meridione. Nel 1911, infatti, Strampelli ricevette ufficialmente dal Ministero di Agricoltura l’incarico di occuparsi dello studio dell’aridocoltura nell’Italia meridionale, che egli peraltro aveva già avviato nel 1906 con le prime sperimentazioni effettuate nel fondo concesso dal celebre senatore Cappelli, al quale lo scienziato, com’è noto, dedicò il suo più famoso frumento duro, protagonista assoluto del miglioramento di questa specie nei decenni successivi.
Oltre al miglioramento del grano e delle colture da avvicendamento o consociazione, l’approccio olistico strampelliano fu orientato, seppure per un breve periodo di tempo, anche sullo studio delle interazioni chimiche che s’instaurano tra specie diverse a livello del suolo mediante il rilascio di quelle che, all’epoca, lo scienziato chiamava tossine, ma che oggi conosciamo come sostanze allelopatiche. Tra il 1909 e il 1912 Strampelli svolse alcune ricerche - testimoniate da documenti d’archivio e da pubblicazioni di altri autori che gliele attribuirono - con le quali egli tentò di “mimare” in vaso le interazioni allelopatiche presenti nelle condizioni reali di avvicendamento o consociazione, rimarcando così, anche sotto il profilo chimico, l’importanza dello studio dell’agroecologia nei sistemi colturali.
La mole e l’importanza strategica delle ricerche e sperimentazioni sul frumento costrinsero Strampelli ad abbandonare progressivamente questi interessantissimi studi che tuttavia, oggi, essendo stati riscoperti, pongono lo scienziato su di un piedistallo alquanto più elevato rispetto a quello, pure notevole, sul quale lo collocarono gli eccezionali contributi dati alla granicoltura. Contributi che non parlano solo di nanismo del fusto e precocità di maturazione, ma anche di altro.
Recentemente, infatti, gruppi di ricerca internazionali hanno attribuito al lavoro di Strampelli la diffusione su scala planetaria di altri due geni di rilevante importanza, tracciandone l’origine alle varietà di frumento tenero (come “Mentana” e “Ardito”) da lui costituite a Rieti negli anni ’20 e ampiamente utilizzate nei programmi di miglioramento genetico del cereale avviati a partire dal Secondo dopoguerra da tutti i principali Paesi produttori.
Il primo di questi geni si chiama Lr34 e conferisce resistenza durevole o tolleranza alle ruggini (leaf, yellow e stripe), ma anche all’oidio, alla septoriosi e al virus del nanismo giallo dell’orzo (attualmente il nome completo del gene è: Lr34/Yr18/Sr57/Pm38/Sb1/Bdv1).
Il secondo gene, anch’esso tracciato sino alle più famose varietà strampelliane, è Bo4, alias Bot(Tp4A)-B5c, che conferisce tolleranza al boro e richiama l’attenzione, ancora una volta, sul tema dell’aridocoltura. L’eccesso di boro nel terreno, infatti, costituisce un serio problema per il grano coltivato in molti Paesi a clima caldo-arido.
L’aspetto interessante che accomuna i geni Lr34 e Bo4 è che in entrambi i casi gli autori delle rispettive ricerche indicano la loro fonte originaria nel “Rieti”, la varietà di frumento su cui Strampelli imperniò il suo programma di miglioramento. Ma non un “Rieti” qualsiasi tra le molte accessioni disponibili: secondo i ricercatori, infatti, quella usata da Strampelli sarebbe stata una particolare selezione del grano reatino che però, oggi, non sappiamo identificare con esattezza a causa della natura geneticamente eterogenea delle varietà locali, categoria alla quale il “Rieti” appartiene. I tentativi d’individuare Lr34 e Bo4 nelle “moderne” accessioni di “Rieti”sono finora falliti e se oggi volessimo ripetere gli esperimenti di Strampelli usando un’accessione qualsiasi di questo grano probabilmente falliremmo nell’impresa di ottenere gli stessi suoi risultati.
Quanto appena illustrato pone ancora una volta l’accento, qualora ce ne fosse stato bisogno, sull’importanza della conservazione della biodiversità.
Dalle molte novità scientifiche sul conto di Strampelli è impossibile tenere separate le altrettante novità emerse sulla sua biografia non-scientifica. Così, vi sono temi che riguardano il personaggio, alcuni addirittura spinosi, che oggi possono essere rivisti secondo altre chiavi di lettura.
Uno di questi temi riguarda il rapporto di Strampelli col fascismo.
Bibliografia
In molti hanno riferito sui rapporti di Strampelli con Mussolini, sul ruolo giocato dallo scienziato nella “primogenitura” della stessa “Battaglia del grano” e sulla genuinità o meno della sua devozione al regime. Tuttavia, andrebbe evidenziato anche un altro aspetto che potrebbe fornire una spiegazione alternativa ai motivi che indussero Strampelli a prendere, il 7 settembre 1925, la tessera del Partito nazionale fascista. L’agronomo marchigiano s’iscrisse infatti al Pnf due mesi prima che entrasse in vigore la famigerata “legge sulle associazioni” (Legge 26 novembre 1925 n. 2029 ) che prevedeva il licenziamento dall’impiego per tutti i dipendenti dello Stato, delle Province e dei Comuni iscritti ad associazioni i cui aderenti fossero soggetti a vincolo di segretezza; un giro di parole in “burocratese” per chiamare in causa e sparigliare dalla gestione delle leve del potere statale l’unica organizzazione che poteva essere di reale intralcio alla definitiva presa del potere da parte di Mussolini: la Massoneria.
Recentemente, si è scoperto che Strampelli era massone: risulta, infatti, che nel 1906 egli era affiliato col grado di Maestro nella loggia di rito scozzese “Giuseppe Petroni” di Terni. Non sappiamo se nel 1925 la sua affiliazione alla Massoneria perdurasse, ma se così fosse, ecco che l’iscrizione di Strampelli al Pnf trova una possibile spiegazione di ben altro significato. In altre parole, esiste la possibilità che Strampelli si sia iscritto al Pnf, in un momento per lui fondamentale in termini di carriera scientifica, semplicemente per non essere rimosso dalla direzione di ben due enti di ricerca pubblici (la Stazione sperimentale di granicoltura di Rieti e l’Istituto nazionale di genetica per la cerealicoltura di Roma). Ripudiando l’appartenenza alla Massoneria e ufficializzando, con la tessera del Pnf, la propria fedeltà al regime, Strampelli si sarebbe garantito l’incolumità e, con essa, la possibilità di continuare a rendere un importante servizio al Paese.
Inoltre, un’autentica magagna che grava su Strampelli è la sua presenza nell’aula di Palazzo Madama il 20 dicembre 1938, quando furono approvate in via definitiva le leggi razziali antiebraiche. Durante la votazione, tuttavia, successe qualcosa di davvero strano.
Dall’esame degli Atti parlamentari emerge, per prima cosa, che la chiamata d’appello vide presenti in aula 170 senatori, 6 dei quali, però, non presero parte alle operazioni di voto: il totale dei voti espressi, infatti, fu di 164. Inoltre, passando dalla votazione per la conversione in legge del decreto sul monopolio statale delle banane alle cinque votazioni successive, tutte relative alla conversione in legge dei decreti razziali, un gruppetto di 5-6 senatori si sganciò dalla maggioranza e votò contro, salvo poi tornare nei ranghi in merito alle votazioni dei provvedimenti successivi.
A me piace pensare che in quel gruppo di senatori “assenteisti” dopo l’appello iniziale e di “franchi tiratori” occasionali - sebbene di nessuno di essi sapremo mai il nome, perché le operazioni di voto si svolsero a scrutinio segreto - possa esservi stato anche Nazareno Strampelli.
Una volta, una delle sue nipoti ha dichiarato che nel 1922, in occasione del viaggio in Argentina, Nazareno portò con sé il figlio Benedetto perché voleva che questi «… avesse una mente aperta a tutte le culture…». È davvero molto difficile credere che lo stesso uomo, in una fredda giornata di dicembre di sedici anni dopo, possa essere entrato in Senato (dove peraltro non si recava quasi mai) per votare a favore della peggiore delle “chiusure mentali”.
Dallo studio articolato e senza pregiudizi di Nazareno Strampelli e della sua opera emergono, dunque, uno scienziato a tutto campo, che non necessariamente vede legato il suo nome al frumento, e - scavalcando ogni retorica del passato - un essere umano con i suoi vizi e le sue virtù.
Il futuro della conoscenza e della divulgazione di questo personaggio passa soprattutto attraverso lo studio delle fonti archivistiche ancora inesplorate e delle testimonianze d’epoca raccolte in modo diversificato, poiché variegata fu la sua esperienza di vita terrena prima che le parole degli uomini la consegnassero alla storia.
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Strampelli B., 1944. Nazareno Strampelli come pioniere e scienziato nel campo genetico, Istituto nazionale di genetica per la cerealicoltura «Nazareno Strampelli», Stabilimenti tipografici Carlo Colombo, Roma.
Sergio Salvi
Laureato
in Scienze Biologiche presso l’Università di Camerino, nel corso della sua
attività di ricercatore si è occupato di genetica lavorando presso enti di
ricerca pubblici e privati.
Dal
2007 svolge attività di ricerca e divulgazione storico-scientifica su Nazareno
Strampelli, rivolgendo particolare attenzione al recupero d’informazioni
inerenti l’attività scientifica meno nota del genetista marchigiano e
all’attualità delle innovazioni da lui introdotte in agricoltura.
Penso possa essere utile apportare qualche notizia di quel frumento NOE' usato dallo Strampelli nell'incrocio del 1901 con il RIETI.
RispondiEliminaNoè è un frumento che data 1826 ed è una varietà-popolazione diffusa dal Marchese di Noè (da qui il nome) e dopo da Plante, mugnaio di Nérac, cittadina del dipartimento Lot et Garonne nel Sudovest della Francia. Si tratta di uno dei tanti frumenti d'Aquitania che hanno fatto la storia della granicoltura francese e fu selezionato da una varietà popolazione importata dalla Russia per il consumo alimentare nel XIX sec. La varietà si è diffusa in tutto il Sudovest e nella regione di Parigi.
Dal Noè, nel 1850, sono state ricavate le varietà "Rouge de Bordeaux", Japhet e Glos Bleu e sono i primi esempi di frumenti prossimi alla selezione per linee pure. Si trattava di varietà precoci, di buona pianificabilità, ma poco resistenti all'ellettamento, sensibili al freddo e alla ruggine gialla.
Dobbiamo arrivare al 1889 per avere il “Bordier” la prima varietà frutto d’incrocio tra il Noè e la varietà inglese “Prince Albert”. L’incrocio è stato fatto dalla storica ditta Vilmorin-Andrieux. Si tratta della prima varietà, che poi ha dato luogo ad una numerosissima serie di frumenti in Francia e che spiega il rimontare verso Nord della granicoltura produttiva di quel paese, nella quale si è fatto ricorso alla genetica inglese (resistenza al freddo). A questa si aggiunsero poi le varietà “Bon Fermier” (1905) e “Hatif inversable” (1908). Probabilmente lo Strampelli deve essere venuto a conoscenza dell’uso delle varietà inglesi in quanto l’incrocio triparentale di partenza che ha dato origine alle quattro varietà della “battaglia del Grano” usava la varietà olandese “Wilhelmina Tarwe” che nella sua genealogia aveva lo “Squarehead”, varietà inglese appunto.
Il Rieti usato da Strampelli è stato usato anche in Francia ed infatti la varietà “Institut Agronomique” ottenuta dal Prof Schribaux nel 1922 è frutto di un incrocio triparentale tra (Rieti x Epis Carré) x Hatif inversable. Questa varietà che assommava resistenza al freddo e alle ruggini è considerata la capostipite di quelle varietà che presentavano la caratteristica di buona regolarità di resa produttiva, caratteristica questa esaltata poi nelle due varietà storiche della granicoltura francese che sono la Vilmorin 27 (1933), ma che deriva da un incrocio del 1910, che per 25 anni è stata la più coltivata in Francia, finchè poi la Florimond Desprez non ha costituito il “Cappelle-Desprez” nel 1946, la quale per un decennio ha coperto la metà della superficie francese di frumento e si vendeva ancora negli anni 1960. E’ la varietà che ha permesso di soddisfare lo sciovinismo francese nei confronti dell’Inghilterra in quanto fu molto seminata anche dalla “perfida Albione”. La terza varietà appartenente a questa categoria di varietà che non presentano mai exploit produttivi eclatanti, ma che sono sempre nelle prime posizioni nelle graduatorie di produttività e la varietà “Soissons” del 1988 (ancora non uscita totalmente dal mercato) ancora di costituzione Florimond Desprez.