di Antonio Saltini
1ª parte
Agrarian Sciences, vuole pubblicare in 10 puntate la storia della Federconsorzi di Antonio Saltini, a ricordo dell' enorme importanza che questa struttura ha avuto in più di 100 anni di vita nella realtà economica italiana.
Nella seconda metà dell’Ottocento una crisi drammatica scuote l’agricoltura europea. Le conquiste della meccanica hanno avvicinato ai centri urbani del Vecchio Continente le pianure americane, da cui dilaga l’onda di piena dei cereali della Prateria. In Italia a difendere l’economia agraria nascono, repentinamente, i consorzi agrari.
La Federconsorzi ha celebrato il giubileo secolare con l’approvazione del concordato con i creditori.Riconoscimento singolare delle benemerenze del maggiore organismo economico dell’agricoltura italiana, la circostanza non ha mancato di suscitare il rilievo dei cronisti: al di là del lustrino per titoli di cronaca non ha ispirato le riflessioni meno occasionali che un evento di valenza secolare non manca di suggerire, le riflessioni che pare utile tentare in un momento di somma confusione quale quello che vive l’agricoltura nazionale.
Dogane e ferrovie
A indurre al cimento è la considerazione delle urgenze cui i fondatori vollero dare risposta, nel 1892, in un momento di grave crisi di tutta l’economia agraria. L’unificazione nazionale aveva trasformato in unico terreno di competizione i mercati tradizionalmente indipendenti dei principati italiani, tra i quali la rapida costruzione delle grandi linee ferroviarie stava producendo l’osmosi che la semplice connessione doganale sarebbe stata incapace di determinare. Mentre sul nuovo mercato i produttori operanti in condizioni tecniche ed economiche radicalmente diverse erano costretti a misurarsi in una concorrenza alla quale erano impreparati, la politica tariffaria del nuovo governo, ispirata al rigoroso liberismo della Destra, apriva lo stesso mercato al confronto con le agricolture europee e degli altri continenti. Gli agricoltori italiani venivano risucchiati, così, nel vortice la cui turbolenza stava infliggendo i colpi più duri a sistemi agrari assai più solidi e tecnologicamente progrediti.
Delineare il quadro delle agricolture europee all’alba della grande rivoluzione mercantile, e rievocare le reazioni di ognuna alle prime avvisaglie del terremoto, è impegno il cui assolvimento dovrebbe tradursi in ampia, dettagliata rievocazione storica. A provare quanto quel quadro sia vasto è sufficiente sfogliare il libro scritto, al termine del ciclone, da un grande agronomo, Italo Giglioli. Pubblicato nel 1905, Concimi, mangimi, sementi e sostanze antiparassitarie. Commercio, frodi e repressione delle frodi, è il rapporto predisposto per il Ministero dell’agricoltura per aggiornare la legislazione nazionale sul commercio dei fertilizzanti e dei mangimi, in tutti i paesi civili disciplinato da norme rigorose, in Italia ancora abbandonato all’arbitrio di venditori e acquirenti. Se l’analisi completa costituirebbe impegno esorbitante, la considerazione dei tratti salienti dello scenario, e la constatazione dell’arretratezza del contesto italiano, sono condizioni necessarie per percepire l’ambizione dei propositi dei fondatori della Federazione italiana dei consorzi agrari, e misurare la portata del successo che ne coronò gli sforzi.
Le nazioni dell’antichità hanno sempre scambiato cereali: la contesa per la prima rotta cerealiera tra l’Europa e l’Asia, la rotta dei Dardanelli, si sviluppa, ininterrotta, dalla guerra di Troia, attraverso le guerre persiane, le imprese di Pompeo, il confronto tra Bisanzio e l’Islam, i primati successivi di Venezia e di Genova, fino allo scontro tra le potenze europee per spartire l’eredità dell’Impero ottomano. Lentezza del naviglio, deperibilità della merce, incertezza della domanda, hanno impedito, tuttavia, nei secoli, che gli scambi di cereali assumessero un ruolo diverso dall’integrazione degli approvvigionamenti di una capitale vivente di elargizioni frumentarie, il caso di Roma, o dell’intervento imposto da una carestia, il caso che si ripete, con tragica monotonia, in una successione interminabile di secoli.
1ª parte
Agrarian Sciences, vuole pubblicare in 10 puntate la storia della Federconsorzi di Antonio Saltini, a ricordo dell' enorme importanza che questa struttura ha avuto in più di 100 anni di vita nella realtà economica italiana.
Nella seconda metà dell’Ottocento una crisi drammatica scuote l’agricoltura europea. Le conquiste della meccanica hanno avvicinato ai centri urbani del Vecchio Continente le pianure americane, da cui dilaga l’onda di piena dei cereali della Prateria. In Italia a difendere l’economia agraria nascono, repentinamente, i consorzi agrari.
La Federconsorzi ha celebrato il giubileo secolare con l’approvazione del concordato con i creditori.Riconoscimento singolare delle benemerenze del maggiore organismo economico dell’agricoltura italiana, la circostanza non ha mancato di suscitare il rilievo dei cronisti: al di là del lustrino per titoli di cronaca non ha ispirato le riflessioni meno occasionali che un evento di valenza secolare non manca di suggerire, le riflessioni che pare utile tentare in un momento di somma confusione quale quello che vive l’agricoltura nazionale.
Dogane e ferrovie
A indurre al cimento è la considerazione delle urgenze cui i fondatori vollero dare risposta, nel 1892, in un momento di grave crisi di tutta l’economia agraria. L’unificazione nazionale aveva trasformato in unico terreno di competizione i mercati tradizionalmente indipendenti dei principati italiani, tra i quali la rapida costruzione delle grandi linee ferroviarie stava producendo l’osmosi che la semplice connessione doganale sarebbe stata incapace di determinare. Mentre sul nuovo mercato i produttori operanti in condizioni tecniche ed economiche radicalmente diverse erano costretti a misurarsi in una concorrenza alla quale erano impreparati, la politica tariffaria del nuovo governo, ispirata al rigoroso liberismo della Destra, apriva lo stesso mercato al confronto con le agricolture europee e degli altri continenti. Gli agricoltori italiani venivano risucchiati, così, nel vortice la cui turbolenza stava infliggendo i colpi più duri a sistemi agrari assai più solidi e tecnologicamente progrediti.
Delineare il quadro delle agricolture europee all’alba della grande rivoluzione mercantile, e rievocare le reazioni di ognuna alle prime avvisaglie del terremoto, è impegno il cui assolvimento dovrebbe tradursi in ampia, dettagliata rievocazione storica. A provare quanto quel quadro sia vasto è sufficiente sfogliare il libro scritto, al termine del ciclone, da un grande agronomo, Italo Giglioli. Pubblicato nel 1905, Concimi, mangimi, sementi e sostanze antiparassitarie. Commercio, frodi e repressione delle frodi, è il rapporto predisposto per il Ministero dell’agricoltura per aggiornare la legislazione nazionale sul commercio dei fertilizzanti e dei mangimi, in tutti i paesi civili disciplinato da norme rigorose, in Italia ancora abbandonato all’arbitrio di venditori e acquirenti. Se l’analisi completa costituirebbe impegno esorbitante, la considerazione dei tratti salienti dello scenario, e la constatazione dell’arretratezza del contesto italiano, sono condizioni necessarie per percepire l’ambizione dei propositi dei fondatori della Federazione italiana dei consorzi agrari, e misurare la portata del successo che ne coronò gli sforzi.
Le nazioni dell’antichità hanno sempre scambiato cereali: la contesa per la prima rotta cerealiera tra l’Europa e l’Asia, la rotta dei Dardanelli, si sviluppa, ininterrotta, dalla guerra di Troia, attraverso le guerre persiane, le imprese di Pompeo, il confronto tra Bisanzio e l’Islam, i primati successivi di Venezia e di Genova, fino allo scontro tra le potenze europee per spartire l’eredità dell’Impero ottomano. Lentezza del naviglio, deperibilità della merce, incertezza della domanda, hanno impedito, tuttavia, nei secoli, che gli scambi di cereali assumessero un ruolo diverso dall’integrazione degli approvvigionamenti di una capitale vivente di elargizioni frumentarie, il caso di Roma, o dell’intervento imposto da una carestia, il caso che si ripete, con tragica monotonia, in una successione interminabile di secoli.
La rivoluzione del vapore
Perché il grano divenga oggetto di flussi internazionali cospicui e costanti occorre un’autentica rivoluzione, che si produce, a metà dell’Ottocento, in corrispondenza al trionfo di quattro congegni meccanici: la trebbiatrice, la mietitrice, la locomotiva ferroviaria e il piroscafo a vapore. Il prototipo della trebbiatrice mossa dalla forza idraulica viene sperimentato nel 1786, nei decenni successivi vengono perfezionati i modelli mossi da un maneggio a cavalli. La prima mietitrice, a barra frontale, viene presentata nel 1827, la prima locomotiva terrestre solca le campagne inglesi nel 1805, la prima caldaia montata su un’imbarcazione ne muove le pale nel 1783: occorreranno cinquantacinque anni perché, con la sostituzione dell’elica alle pale, nasca il piroscafo.
La sperimentazione dei primi modelli dei quattro apparecchi si protrae, nei primi decenni dell’Ottocento: quando, a metà del secolo, le vicende parallele hanno prodotto macchine efficienti ed economiche, l’effetto del loro impegno combinato è la trasformazione delle pianure americane, la Prateria a Nord e la Pampa nel Sud, in distese di cereali destinati alla fame delle metropoli industriali che in Europa si sviluppano con turbolenza, di cui le agricolture del Vecchio Continente sono incapaci di soddisfare l’insaziabile domanda.
Prova la potenza della combinazione la caduta del prezzo del frumento sul mercato di Londra, che assurge a borsa cerealicola del Globo: il quarter di otto staia (291 litri) che nel 1870 costava 2 sterline e 5 scellini, viene venduto, nel 1895, a 1 sterlina, 2 scellini e 8 pence. Del prezzo finale la componente che spetta ai trasporti si è ridotta più che proporzionalmente: se nel 1870 il trasporto per ferrovia da Chicago a New York costava 113 pence, la traversata 66, nel 1895 le due voci si sono contratte, rispettivamente, a 47 e a 23 pence.
Dalle inchieste alle istituzioni sperimentali e divulgative
Le reazioni delle agricolture europee alla testa d’ariete che, attraverso l’Atlantico, ne conquista i mercati tradizionali, possono ordinarsi su tre terreni diversi: quello politico, quello scientifico, quello organizzativo. Sul primo le manifestazioni del disagio da parte dei ceti rurali accendono, in tutti i paesi del Continente, dibattiti parlamentari che portano al varo di inchieste affidate a commissioni governative, le quali elaborano, al termine dei propri lavori, imponenti relazioni, il più monumentale apparato analitico sulle produzioni della terra della storia della cultura economica e politica.
Dalle indagini parlamentari prendono corpo misure di intervento che mirano a colmare gli svantaggi delle produzioni nazionali attraverso il potenziamento degli apparati scientifici e l’accelerazione della divulgazione delle tecniche più aggiornate, o mediante la migliore organizzazione mercantile. La prima risposta si traduce nella creazione della rete di stazioni sperimentali e di istituti di istruzione il cui numero si moltiplica esponenzialmente tra il 1860 e il 1880, la seconda nella creazione degli organismi di rappresentanza degli agricoltori, al primo posto le cooperative.
Tanto sul terreno scientifico e divulgativo quanto su quello organizzativo dimostrano il dinamismo più vivace due piccole nazioni, la Danimarca e l’Olanda, la rapidità dei cui interventi ne colloca le agricolture, nei frangenti della grande crisi, in posizioni significativamente privilegiate. Seppure più lentamente, distanzia tutti i concorrenti, sul terreno sperimentale, la Germania, dove si registra altresì la nascita di un precoce e solido movimento cooperativo. Segue a qualche distanza la Francia, dove i governi della seconda Repubblica varano una serie di impegnative misure su entrambi i terreni di confronto.
Reagisce con tempestività minore delle nazioni rivali, paradossalmente, l’Inghilterra, i cui governanti, tutori delle esportazioni industriali, e arbitri benevoli delle importazioni agricole dalle colonie, non si preoccupano della decadenza dell’agricoltura che vanta il primato augusto della Rivoluzione agraria moderna.
Il malessere agrario e l’Inchiesta
Per definire, nella cornice europea, la più congrua collocazione dell’Italia, è necessario evitare l’abbaglio di date ingannevoli. La prima indagine agraria italiana viene effettuata, infatti, nel 1876, la grande Inchiesta nazionale è varata l’anno successivo, viene perfezionata nel 1882. Il primo organismo associativo tra agricoltori vede la luce nel 1886 con l’approvazione della legge che istituisce i “comizi agrari”, le stazioni agrarie italiane nascono, nel 1870, con i primi decreti di fondazione firmati dal ministro Castagnola. L’ordito delle date parrebbe porre il Paese all’avanguardia tra le nazioni impegnate per il progresso dell’agricoltura. La deduzione sarebbe ingannevole: nelle conclusioni, che presenta al Parlamento, dell’Inchiesta agraria, il coordinatore del vasto lavoro, il senatore cremonese Jacini, dimostra l’impotenza della classe al governo, incapace, di fronte all’evidenza di arretratezza e miseria, di varare qualunque misura che comprometta il quieto benessere dei percettori di rendite agrarie, il ceto delle cui preoccupazioni Jacini è ligio interprete.
All’Inchiesta segue, quindi, l’inerzia: la creazione dei comizi, creature inconsistenti cui gli agricoltori non accrediteranno alcuna fiducia, e l’istituzione delle stazioni sperimentali, dotate di risorse risibili di fronte agli investimenti nella sperimentazione di tutti i paesi avanzati, non sono che conati incerti di infrangerla.
In un volume autorevole, Il capitalismo nelle campagne, Emilio Sereni, storico marxista e dirigente comunista, ha sostenuto che in Italia lo stato liberale nasce malforme siccome non nasce da una rivoluzione borghese: la rivoluzione che gli è mancata avrebbe dovuto abolire, sostiene, ogni residuo feudale nelle campagne. Non privi di coraggio su terreni diversi, i governanti della Destra sarebbero stati pavidi e malsicuri, secondo Sereni, di fronte al problema della ripartizione, attraverso rendite, profitti e salari, dei frutti della terra. Seppure la storia abbia suggerito la maggiore cautela verso le sentenze dei seguaci di Marx, non v’è dubbio che il timore di alterare la precaria staticità di un edificio insicuro detta ai governanti dell’Italia unita il più rigido immobilismo sociale.
Perché il grano divenga oggetto di flussi internazionali cospicui e costanti occorre un’autentica rivoluzione, che si produce, a metà dell’Ottocento, in corrispondenza al trionfo di quattro congegni meccanici: la trebbiatrice, la mietitrice, la locomotiva ferroviaria e il piroscafo a vapore. Il prototipo della trebbiatrice mossa dalla forza idraulica viene sperimentato nel 1786, nei decenni successivi vengono perfezionati i modelli mossi da un maneggio a cavalli. La prima mietitrice, a barra frontale, viene presentata nel 1827, la prima locomotiva terrestre solca le campagne inglesi nel 1805, la prima caldaia montata su un’imbarcazione ne muove le pale nel 1783: occorreranno cinquantacinque anni perché, con la sostituzione dell’elica alle pale, nasca il piroscafo.
La sperimentazione dei primi modelli dei quattro apparecchi si protrae, nei primi decenni dell’Ottocento: quando, a metà del secolo, le vicende parallele hanno prodotto macchine efficienti ed economiche, l’effetto del loro impegno combinato è la trasformazione delle pianure americane, la Prateria a Nord e la Pampa nel Sud, in distese di cereali destinati alla fame delle metropoli industriali che in Europa si sviluppano con turbolenza, di cui le agricolture del Vecchio Continente sono incapaci di soddisfare l’insaziabile domanda.
Prova la potenza della combinazione la caduta del prezzo del frumento sul mercato di Londra, che assurge a borsa cerealicola del Globo: il quarter di otto staia (291 litri) che nel 1870 costava 2 sterline e 5 scellini, viene venduto, nel 1895, a 1 sterlina, 2 scellini e 8 pence. Del prezzo finale la componente che spetta ai trasporti si è ridotta più che proporzionalmente: se nel 1870 il trasporto per ferrovia da Chicago a New York costava 113 pence, la traversata 66, nel 1895 le due voci si sono contratte, rispettivamente, a 47 e a 23 pence.
Dalle inchieste alle istituzioni sperimentali e divulgative
Le reazioni delle agricolture europee alla testa d’ariete che, attraverso l’Atlantico, ne conquista i mercati tradizionali, possono ordinarsi su tre terreni diversi: quello politico, quello scientifico, quello organizzativo. Sul primo le manifestazioni del disagio da parte dei ceti rurali accendono, in tutti i paesi del Continente, dibattiti parlamentari che portano al varo di inchieste affidate a commissioni governative, le quali elaborano, al termine dei propri lavori, imponenti relazioni, il più monumentale apparato analitico sulle produzioni della terra della storia della cultura economica e politica.
Dalle indagini parlamentari prendono corpo misure di intervento che mirano a colmare gli svantaggi delle produzioni nazionali attraverso il potenziamento degli apparati scientifici e l’accelerazione della divulgazione delle tecniche più aggiornate, o mediante la migliore organizzazione mercantile. La prima risposta si traduce nella creazione della rete di stazioni sperimentali e di istituti di istruzione il cui numero si moltiplica esponenzialmente tra il 1860 e il 1880, la seconda nella creazione degli organismi di rappresentanza degli agricoltori, al primo posto le cooperative.
Tanto sul terreno scientifico e divulgativo quanto su quello organizzativo dimostrano il dinamismo più vivace due piccole nazioni, la Danimarca e l’Olanda, la rapidità dei cui interventi ne colloca le agricolture, nei frangenti della grande crisi, in posizioni significativamente privilegiate. Seppure più lentamente, distanzia tutti i concorrenti, sul terreno sperimentale, la Germania, dove si registra altresì la nascita di un precoce e solido movimento cooperativo. Segue a qualche distanza la Francia, dove i governi della seconda Repubblica varano una serie di impegnative misure su entrambi i terreni di confronto.
Reagisce con tempestività minore delle nazioni rivali, paradossalmente, l’Inghilterra, i cui governanti, tutori delle esportazioni industriali, e arbitri benevoli delle importazioni agricole dalle colonie, non si preoccupano della decadenza dell’agricoltura che vanta il primato augusto della Rivoluzione agraria moderna.
Il malessere agrario e l’Inchiesta
Per definire, nella cornice europea, la più congrua collocazione dell’Italia, è necessario evitare l’abbaglio di date ingannevoli. La prima indagine agraria italiana viene effettuata, infatti, nel 1876, la grande Inchiesta nazionale è varata l’anno successivo, viene perfezionata nel 1882. Il primo organismo associativo tra agricoltori vede la luce nel 1886 con l’approvazione della legge che istituisce i “comizi agrari”, le stazioni agrarie italiane nascono, nel 1870, con i primi decreti di fondazione firmati dal ministro Castagnola. L’ordito delle date parrebbe porre il Paese all’avanguardia tra le nazioni impegnate per il progresso dell’agricoltura. La deduzione sarebbe ingannevole: nelle conclusioni, che presenta al Parlamento, dell’Inchiesta agraria, il coordinatore del vasto lavoro, il senatore cremonese Jacini, dimostra l’impotenza della classe al governo, incapace, di fronte all’evidenza di arretratezza e miseria, di varare qualunque misura che comprometta il quieto benessere dei percettori di rendite agrarie, il ceto delle cui preoccupazioni Jacini è ligio interprete.
All’Inchiesta segue, quindi, l’inerzia: la creazione dei comizi, creature inconsistenti cui gli agricoltori non accrediteranno alcuna fiducia, e l’istituzione delle stazioni sperimentali, dotate di risorse risibili di fronte agli investimenti nella sperimentazione di tutti i paesi avanzati, non sono che conati incerti di infrangerla.
In un volume autorevole, Il capitalismo nelle campagne, Emilio Sereni, storico marxista e dirigente comunista, ha sostenuto che in Italia lo stato liberale nasce malforme siccome non nasce da una rivoluzione borghese: la rivoluzione che gli è mancata avrebbe dovuto abolire, sostiene, ogni residuo feudale nelle campagne. Non privi di coraggio su terreni diversi, i governanti della Destra sarebbero stati pavidi e malsicuri, secondo Sereni, di fronte al problema della ripartizione, attraverso rendite, profitti e salari, dei frutti della terra. Seppure la storia abbia suggerito la maggiore cautela verso le sentenze dei seguaci di Marx, non v’è dubbio che il timore di alterare la precaria staticità di un edificio insicuro detta ai governanti dell’Italia unita il più rigido immobilismo sociale.
Lo spirito conservatore dei governanti della Destra conosce il tragico apice nei moti per il “macinato”, una rivolta per il pane che accende luci sinistre nell’Europa investita dalla marea del frumento americano. Nell’inadeguatezza dell’azione degli organi di governo, la creazione della Federazione nazionale dei consorzi agrari, e quella degli organismi che si moltiplicano, progressivamente, tra i ranghi che essa coordina, propone un segno inequivocabile di vitalità e di lungimiranza: l’unico avvenimento di autentico rilievo innovativo che nel primo cinquantennio di vita unitaria anima la vita sonnolenta delle campagne. Ai protagonisti, e alle modalità, dell’avvenimento, è necessario dedicare un’attenzione circostanziata.
Antonio Saltini
Docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e vita. E' autore della Storia delle Scienze Agrarie opera in 7 volumi. www.itempidellaterra.com
Docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e vita. E' autore della Storia delle Scienze Agrarie opera in 7 volumi. www.itempidellaterra.com
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