lunedì 18 maggio 2015

Amartya Sen, un Ambasciator Expo fuori dal coro

di Luigi Mariani



Amartya Sen, 81 anni, è uno degli 87 ambasciatori expo (qui). Indiano del Bengala, economista, premio Nobel per l’Economia nel 1998, Sen insegna Economia e Filosofia a Harvard, tiene corsi al Trinity College di Cambridge e lezioni in mezzo mondo.
Leggo l'intervista a Sen del bravo Danilo Taino, apparsa il 13 maggio sul Corriere della Sera in cui si riflette sui temi della fame e dello sviluppo agricolo (qui). In tale intervista colgo alcuni interessanti messaggi legati al valore dell'innovazione tecnologica in agricoltura come strumento in grado di aumentare e stabilizzare le rese ed al commercio come fattore di sviluppo globale e locale. E colgo anche l’invito a non cadere nella trappola di slogan (kilometro 0, demonizzazione degli OGM, rivoluzione verde come elemento negativo, ecc.).
Parlando di innovazione tecnologica in agricoltura Sen cita in particolare l’esempio indiano, caso che è a mio avviso emblematico. Infatti quel paese per iniziativa del primo ministro Indira Gandhi fu teatro negli anni 60 del XX secolo di una delle più belle realizzazioni della rivoluzione verde, l’introduzione delle nuove varietà di frumento a taglia bassa selezionate da Norman Borlaug, Nobel per la pace 1970 (al riguardo si legga l’intervista a Norman Borlaug di Antonio Saltini ( qui).

Parlando dell’India, Sen dice che "oggi potrebbe produrre molto più cibo. Il problema è che non ha abbastanza mercato per farlo: i redditi di una parte della popolazione sono troppo bassi. La lezione che ci viene dalla Green Revolution indiana degli anni Sessanta che ha eliminato le morti per fame è che se vuoi più cibo puoi averlo. L’applicazione di nuove tecnologie alla produzione agricola e la politica governativa di accumulare riserve crearono un circuito virtuoso. Ciò ha dimostrato che il limite non sta nella capacità di produrre. Anche la discussione in atto sugli OGM è esagerata. Gli Ogm possono porre alcuni problemi, ma si tratta di eccezioni. Persino la Rivoluzione Verde indiana fu biotecnologica. Per esempio nel riso."
A ciò aggiungo che tutta la storia dell’agricoltura ci parla di biotecnologie, se è vero ad esempio che l’antenato selvatico del frumento (Triticum beoticum L.) ha 14 cromosomi mentre il grano tenero (Triticum aestivum L.), frutto di selezioni ancestrali operate migliaia di anni orsono dai nostri progenitori, di cromosomi ne ha addirittura 42, come frutto di 2 incroci con graminacee del genere Aegilops seguiti da poliploidizziazioni.
Nell’intervista a Sen emerge anche il valore del commercio internazionale come mezzo per battere la fame in quanto "in grado di produrre la crescita economica necessaria alla creazione di benessere, come indicava Adam Smith. Adam Smith, però - prosegue Sen - diceva anche che l’altro elemento importante è lo sviluppo delle capacità umane. E qui ci sono cose che solo i governi possono fare, l’intervento sulla salute e sull’istruzione. Prendiamo gli esempi di Giappone, Taiwan, Singapore, Hong Kong e poi della Cina: lì, l’incontro di alfabetizzazione ed economia di mercato ha prodotto grandi successi".Sempre sul commercio Sen attacca in modo deciso il concetto di chilometro 0, che tanto piace alle nostre latitudini. Sen dice infatti che «dal punto di vista dell’economia, il concetto di chilometro 0 è un concetto che non so da dove venga. Certo, ogni sabato vado al farmer’s market, ci trovo prodotti buonissimi che i contadini portano direttamente. Ma non ho niente contro un buon pane fatto con grano canadese."
A mio giudizio la posizione aperta e progressista di Sen è la cartina di tornasole del provincialismo che ha segnato il dibattito fin qui condotto in sede di Expo e sul quale in questo sito si sono pubblicati diversi articoli di denuncia. Non si può infatti organizzare un Expo dedicato ai temi dell’alimentazione e pensare poi di farlo divenire cassa di risonanza per vecchie ideologie, tecnologie di produzione agricola antiquate e rigurgiti anticapitalistici conditi di odio per le multinazionali e di slogan sul presunto fallimento del sistema agricolo mondiale che paiono usciti da un Italian graffiti degli anni 70.
Come elemento originale dell’intervista (e che poi una costante del pensiero di Sen) segnalo anche l’attenzione al tema della capacità di spesa delle popolazioni povere. Dice infatti Sen che  "Nel mondo continua a esserci un problema di fame endemica: non forte abbastanza per uccidere ma forte abbastanza per indebolire le popolazioni, per debilitare i bambini e i giovani e deprimere la produttività economica delle persone. È una questione di fame ma non necessariamente di produzione di cibo. Il problema è la povertà: se non la si rimuove, ci saranno sempre fame e inedia. Si tratta di affrontare il problema economico: centrare l’attenzione sul cibo e non sulla fame è un limite, nel senso che il cibo c’è e che la questione della produzione alimentare è ampiamente esagerata. Nei decenni, è cresciuta molto più della popolazione. E può crescere ancora. Ma il meccanismo attraverso cui ciò può avvenire è economico: devono aumentare i redditi delle popolazioni, per metterle in grado di comprare; ciò farebbe crescere i prezzi agricoli, darebbe reddito ai coltivatori e si andrebbe verso una produzione maggiore e più ricca. Non siamo di fronte a una crisi della produzione alimentare o all’impossibilità di avere cibo."
In queste parole colgo anche il consiglio (ormai tardivo) a centrare Expo non tanto sui temi della culinaria facendone una sorta di "prova del cuoco" planetaria ma sui temi della fame e dunque dei modi di produzione e commercializzazione delle derrate (tecniche agronomiche" in luogo di "gastronomia", "filiere agro-alimentari e commercio" in luogo di "arte nel cibo").
Anche l’accento posto da Expo sul tema dello spreco di cibo in occidente e della necessità di ridistribuire viene in sostanza ritenuto debole da Sen, il quale alla domanda " Lei non sembra molto attratto dalla ridistribuzione, eppure nei Paesi ricchi c’è un grande spreco di cibo" risponde che «Nel mondo non vedo molte possibilità di ridistribuzione. C’è però spazio per la crescita economica». Insomma, insegniamo ai PVS a produrre cibo anziché sommergerli con le nostre eccedenze.
Tagliente anche il giudizio su Vandana Shiva, attivista indiana e pure lei ambasciatrice di Expo. «La apprezzo per la sua preoccupazione riguardo al benessere degli altri. Ha ragione nell’invitare a stare attenti quando si aumentano le rese agricole attraverso gli Ogm, perché si possono creare problemi all’ambiente. Ma le conclusioni che ne trae, la sua opposizione alle nuove varietà non sono logiche, conseguenti. A creare problemi non sono le tecnologie ma la cattiva gestione del territorio. Possiamo benissimo combinare le nuove tecnologie con il rispetto della biodiversità. Se non vogliamo chiamarli Ogm, chiamiamoli nuove varietà».
Mi piace infine richiamare la risposta all’ultima domanda di Taino su cosa il Nobel pensi dell’Expo italiana: «Penso che Expo dovrebbe riconoscere e individuare bene il problema della fame. Cioè discutere di politica e di economia. Ed essere ambizioso, non sottovalutare cioè la capacità d’influenza che l’Italia può avere nel mondo. È un Paese di grande rilievo potenziale: ospita il Vaticano con un Papa che, sulle questioni della povertà, onora il suo nome; a differenza di altri Paesi ricchi, non è visto come un potere coloniale e imperialista; non è nemmeno percepito come rigido nelle politiche economiche, a differenza della Germania o dell’Olanda. Per non parlare del rilievo che ancora oggi hanno nei Paesi in via di sviluppo figure come Gramsci o esperimenti cinematografici come il neorealismo. L’Italia ha la possibilità di influenzare il discorso politico globale. Non deve sottovalutarlo». Mi pare un’ottima idea, magari da valorizzare per il prossimo Expo perché, parliamoci chiaro, pensare di cambiare i paradigmi culturali di Expo 2015 a rassegna in corso è un po’ come "voler raddrizzar le gambe ai cani". Per rendersi conto del punto a cui è la notte basta scorrere l’elenco degli alti 86 (oltre a Sen) ambasciatori di Expo: nessun agronomo ma in compenso 25 campioni sportivi, 21 personaggi delle spettacolo e 14 cuochi.



In proposito invito i lettori a domandarsi se con uno schieramento imbottito di personaggi sia possibile affrontare il tema della produzione di cibo a livello globale.  Penso che gli “ambasciatori” siano la miglior cartina di tornasole di quanto ci si possa attendere dall’Expo sui temi che ci stano tanto a cuore e cioè quelli dell’innovazione tecnologica in agricoltura.             

               




Luigi Mariani

Già docente di Agronomia e Agrometeorologia all'Università degli Studi di Milano, è attualmente condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano.



2 commenti:

  1. Un'altro articolo di grande qualità che ci aiuta a meglio comprendere le cose e superare le speculazioni degli pseudo-ambientalisti della ... Domenica!

    RispondiElimina
  2. C'è almeno un dato positivo di Expo: se ne discute. Ritengo che, al di là delle strane scelte, sulle quali concordo pienamente con Mariani, che mostrano tutto il nostro provincialismo e il nostro ritardo, abbiamo l'occasione di far sentire altre voci e di aprire un dibattito. Il pensiero dominante è dominante solo nella nostra televisione e in una classe politica che ha perso da tempo la fiducia delle persone, preoccupata solo di conservarsi e non della verità delle cose; d'altra parte gli esperti veri del settore agricolo, come dimostra anche questo articolo, per una regola della dialettica, hanno a disposizione materia su cui esercitare la ragione. Chissà che non vinca la ragionevolezza! Ne è un bel esempio Amartya Sen.

    RispondiElimina

Printfriendly