venerdì 16 gennaio 2015

La Federconsorzi e l’agricoltura italiana: cento anni tra la storia e la cronaca

di Antonio Saltini

 
La Federconsorzi e l’agricoltura italiana: cento anni tra la storia e la cronaca raccoglie una serie di articoli scritti da Antonio Saltini. Questo che pubblichiamo oggi sarà il primo di una serie di documenti  di una vicenda ancora lontana da considerarsi conclusa  (qui)
 

LA CONTRADDIZIONE STATUTARIA SEME DELLA DISSOLUZIONE

Federconsorzi: cooperativa, holding finanziaria o impero da lottizzare?
Fondata a Piacenza nel 1892 per riunire i consorzi di agricoltori nati spontaneamente in varie province italiane, e promuoverne la creazione in quelle dove fosse mancata l’iniziativa spontanea, sotto la guida di presidenti di grande levatura civile, e di direttori di singolari capacità commerciali, la Federconsorzi estendeva in alcuni decenni le proprie attività, la gamma ed il volume delle merci acquistate, per conto dei consorzi associati, sul mercato internazionale e su quello nazionale, fino a divenire organismo economico di rilievo nazionale.
All’avvento del Fascismo il nuovo regime, dopo alcune schermaglie sostituiva il presidente, Emilio Morandi, geloso tutore dell’autonomia dell’organizzazione, con un commissario di propria nomina, e procedeva, con la promulgazione della legge Rossoni, dal nome del ministro proponente, ad una riforma radicale dello statuto dell’organizzazione. Da libere cooperative, i consorzi agrari divenivano strumenti della politica agraria governativa, da agenzia centrale dipendente dal consenso della periferia consortile, la Federconsorzi veniva trasformata nel centro di controllo della vita dei consorzi provinciali: nel nuovo clima autoritario i rapporti tra centro e periferia venivano specularmente invertiti.
Con rapporti di autorità opposti a quelli delle origini l’organizzazione era ereditata dal regime democratico che nasceva nel dopoguerra. Dopo un periodo di equilibri incerti, in cui un comunista, l’avvocato Spezzano, sedeva a capo dell’organizzazione, alla sua guida si insediavano gli uomini della Confederazione nazionale dei coltivatori diretti, l’organizzazione creata da Paolo Bonomi utilizzando gli uomini migliori delle organizzazioni fasciste dell’agricoltura. Conquistato l’apparato federconsortile la Coldiretti si preoccupava che i rapporti tra Federconsorzi e consorzi agrari mantenessero l’impronta gerarchica assunta nel periodo tra le due guerre. Lo scopo veniva raggiunto mediante tre ordini di strumenti:
1) la nomina, da parte delle assemblee provinciali dei consorzi agrari, nelle quali l’organizzazione bonomiana godeva di larga maggioranza, di consigli di amministrazione che non turbassero l’attività del vertice romano;
2) la fissazione della regola, sancita dall’art. 22 dell’allegato I del decreto legislativo 7 maggio 1948, n° 1232, che ristrutturava l’organizzazione federconsortile, che imponeva che i direttori dei consorzi agrari fossero scelti da un albo controllato dalla Federconsorzi;
3) una strategia commerciale che addossava ai consorzi oneri finanziari di entità tale da renderli dipendenti alla manovra del centro.
Nel torpore della base sociale, tutti i rapporti tra l’organizzazione e il mondo agricolo si riducevano a quelli tra il vertice aziendale e la dirigenza della Coldiretti, alla quale fonti informate sostengono che l’organizzazione federconsortile abbia fornito per venticinque anni gli imponenti mezzi necessari a mantenere una rete organizzativa estesa a tutte le campagne del Paese. Ogni rapporto sociale tra gli agricoltori e i consorzi agrari locali, già spento durante il regime fascista, costituisce, ormai, mera formalità: è circostanza nota, ad esempio, che gli elenchi dei soci di non pochi consorzi agrari comprendano i nomi di agricoltori non più tali in quanto defunti, emigrati, passati ad attività diverse: qualche revisione di elenchi avrebbe avuto inizio, pare, in tempi recentissimi. I soci dei consorzi agrari costituiscono quindi il corpo di azionisti più docile che qualsiasi società commerciale potesse auspicare: i vivi non meno dei morti. Un’impresa che abbia veste formale di cooperativa non deve adempiere, infatti, nemmeno all’onere di distribuire dividendi: può quindi trascurare di realizzarne, o, se li realizzi, ed è il caso della Federconsorzi, ha libertà di reinvestirli secondo i criteri del gruppo dirigente, siano quei criteri preoccupazioni aziendalistiche o opzioni politiche.
Questa libertà di manovra ha svolto un ruolo determinante nel consentire al vertice dell’azienda le realizzazioni che oggi ne costituiscono la forza, lo strumento di quel dinamismo commerciale con cui l’organizzazione ha superato le crisi economiche più faticose conosciute dal Paese.
Per chi ne conosca meno che superficialmente le strutture e le sfere di attività l’organizzazione consorzi agrari - Federconsorzi costituisce, un’efficiente macchina commerciale, dotata di impianti di elevato livello tecnico, di una rete di vendita penetrante, guidata da uno staff manageriale di livello adeguato alla pluralità di operazioni di una holding la cui attività si manifesta sui mercati nazionali e su quelli esteri: costituisce ragione di orgoglio dell’organizzazione annoverare, nel proprio organico, 2.320 tecnici, agronomi, ingegneri, periti.
Delle capacità economiche dell’organismo si possono proporre innumerevoli prove, la prima delle quali può consistere nella constatazione che mentre da vent’anni in Italia tutti gli organismi appartenenti, a titolo diverso, all’universo del settore economico pubblico, continuano a chiedere aumenti dei  “fondi di dotazione”, per iniziative che impongono, poi, inevitabilmente, la richiesta di “fondi di ristrutturazione” per ripianare le perdite della nuova iniziativa, l’organizzazione federconsortile ha continuato a costruire e a rinnovare impianti di trasformazione, officine, mangimifici, elevandone, progressivamente, il livello tecnico ed aumentando, costantemente, il volume di operazioni, utilizzando, per lo più, mezzi propri: sull’uso, da parte dei consorzi agrari, di fondi Feoga, si imporrebbe una complessa serie di considerazioni, alcune delle quali imporrebbero rilievi sulla disinvoltura, il termine è eufemistico, di più di un ministro dell’agricoltura.
A chi volesse replicare osservando che la crescita dell’organismo non sarebbe stata difficile, perché realizzata a spese dell’agricoltura, sarebbe facile rispondere che l’Italia è il paese d’Europa dove fertilizzanti e trattori, due voci per le quali la Federconsorzi controlla oltre il 50 per cento del mercato nazionale, registrano i prezzi inferiori, e che per i prodotti diversi, dalle macchine operatrici agli antiparassitari, con la Federconsorzi competono sul mercato nazionale i grandi gruppi europei in possesso, per l’esistenza della Comunità europea, di identici diritti d’azione. E che competono con la Federconsorzi anche le organizzazioni cooperative, tanto “bianche” quanto “rosse”, che in settori specifici e in province particolari, hanno strappato alla Federconsorzi posizioni di rilievo, delle quali la Federconsorzi si è dimostrata più efficiente in aree e settori diversi.
Il controllo del mercato sul quale conserva, per una gamma vastissima di prodotti, una preminenza indiscutibile deriva alla Federconsorzi, come può verificarsi in ogni provincia ove operi un consorzio efficiente, dalla sostanziale organicità del disegno che collega apparato industriale, rete di approvvigionamento, rete di vendita, un disegno che si realizza in una compenetrazione di elementi di centralismo e di dinamismo periferico corrispondente ai modelli strategici dei grandi gruppi industriali.
Verificata la contraddizione tra la natura statutaria dell’organismo e la fisionomia che esso ha assunta nel quadro dell’economia nazionale, non si può non riconoscere le difficoltà che dovrebbe superare qualsiasi intervento politico sull’organizzazione federconsortile. L’unico intervento auspicabile dovrebbe essere, infatti, il ristabilimento di autentiche regole cooperativistiche nella vita dell’intero organismo, senza comprometterne efficienza e capacità operative, un intervento che imporrebbe tanta chiarezza quanta certamente non potrebbe rivestire né l’armistizio che si compisse dopo l’ultima mischia sulle mura dell’ente, né il compromesso negoziato tra la Democrazia Cristiana e le sinistre all’insegna della spartizione degli utili della grande holding.
Pare coerente, a proposito, dubitare del diritto dei partiti a interventi che non fossero di autentica natura giuridica e istituzionale: legittimati a pretendere la titolarità dell’organizzazione non possono essere ritenuti, a rigore, che i produttori agricoli, che dell’organismo federconsortile furono i creatori e che oggi ne sono i clienti: sarebbe ingenuo, peraltro, sottovalutare le difficoltà a restituire il ruolo di soci a una moltitudine di operatori che nell’ente non vede, ormai, che una controparte commerciale.
Un contributo oltremodo modesto si può attendere, del resto, dalle organizzazioni professionali degli agricoltori, le organizzazioni i cui rappresentanti siedono nel Consiglio di amministrazione dell’organismo, che sul problema hanno espresso, negli ultimi decenni, atteggiamenti tanto equivoci quanto opportunistici: la Coldiretti con la propria gestione verticistica, la Confagricoltura con la sostanziale connivenza, meno assoluta nella forma, non nella sostanza durante la gestione di Alfredo Diana. Non possono certamente riconoscersi, infatti, neppure a quella, tra le confederazioni agrarie, che moltiplica gli slogan sull’imprenditorialità, propositi e capacità di promuovere l’assunzione diretta, in chiave cooperativistica, da parte degli agricoltori, del governo dell’ente.
Titoli di legittimazione maggiori non si possono attribuire all’Alleanza dei contadini, l’organizzazione agricola di sinistra finora esclusa dall’amministrazione dell’organismo, impegnata in passato a identificare nella Federconsorzi un apparato operante secondo i canoni del “parassitismo monopolistico” stabiliti dai testi del marxismo agrario, assolutamente incapace di analisi obiettive della gestione dell’insieme Federconsorzi – consorzi agrari.
Anche chi immaginasse, del resto, la capacità delle forze agricole di promuovere il ripristino del carattere cooperativistico della Federconsorzi, non potrebbe sottovalutare i problemi tecnici e di equilibrio aziendale che l’intervento dovrebbe affrontare. L’anomalia di un complesso di entità economiche, Federconsorzi, consorzi agrari, società collegate, dal giro di affari di migliaia di miliardi, fondato su uno statuto cooperativistico, che opera, da decenni, quale grande società privata, non è contraddizione giuridica ed economica che si possa immaginare di risolvere senza traumi.
Intervenire su un organismo tanto complesso per imporgli trasformazioni radicali comporta, non si può nascondere, il rischio di minare l’efficienza, il pericolo della paralisi, l’eventualità di rendere necessario, come conseguenza dell’intervento, per consorzi agrari e per Federconsorzi, lo stanziamento di “fondi di dotazione” dell’entità di quelli con cui il Paese assicura la continuità “produttiva” di Iri, Eni ed Efim, l’erogazione con cui ha dovuto chiudere le passività dell’Egam.
Se i ministri dell’agricoltura successivamente demandati del controllo dell’organismo, testimoni compiacenti della “privatizzazione” che si è sviluppata contrastata, si fossero meno disinteressati della corrispondenza tra lo statuto e la prassi operativa, forse l’immenso patrimonio di strumenti e di capacità manageriali concentrate nell’organismo sarebbe stato diretto, fino dal dopoguerra, a prestare un contributo più trasparente allo sviluppo dell’agricoltura italiana, oggi non sussisterebbe il rischio di distruggere, nella rissa politica in cui non è improbabile che si procederà alla ristrutturazione, il maggiore strumento operativo sussistente per l’intervento economico nell’agricoltura nazionale.


1- Salvatore Gatti, Non piove, governo ladro, L’Espresso, 11 lug. 1976
2- Manlio Rossi Doria, Rapporto sulla Federconsorzi, Bari 1963
3-Idomeneo Barbadoro, La Federconsorzi nella politica agraria italiana, Cgil, Roma 1961
4- Leonida Mizzi, Parlano i fatti, Giornale di agricoltura, 2 lug. 1961
5- Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, Consuntivi e programmi dell’Assemblea generale ordinaria dei soci, Roma, 30 apr. 1975
6- Federazione italiana dei consorzi agrari, Consuntivi e programmi all’Assemblea generale ordinaria dei soci, Roma, 30 apr. 1977



Antonio Saltini 
Docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e vita. E' autore della Storia delle Scienze Agrarie opera in 7 volumi.  www.itempidellaterra.com.

Nessun commento:

Posta un commento