di Antonio Saltini
La Federconsorzi e l’agricoltura italiana: cento anni tra la
storia e la cronaca raccoglie una serie di articoli scritti da Antonio Saltini.
Questo che pubblichiamo oggi sarà il primo di una serie di documenti di una vicenda ancora lontana da considerarsi
conclusa (qui)
LA
CONTRADDIZIONE STATUTARIA SEME DELLA DISSOLUZIONE
Federconsorzi:
cooperativa, holding finanziaria o impero da lottizzare?
Fondata a Piacenza nel 1892 per riunire i consorzi di agricoltori
nati spontaneamente in varie province italiane, e promuoverne la creazione in
quelle dove fosse mancata l’iniziativa spontanea, sotto la guida di presidenti
di grande levatura civile, e di direttori di singolari capacità commerciali, la
Federconsorzi estendeva in alcuni decenni le proprie attività, la gamma ed il
volume delle merci acquistate, per conto dei consorzi associati, sul mercato
internazionale e su quello nazionale, fino a divenire organismo economico di
rilievo nazionale.
All’avvento del Fascismo il nuovo regime, dopo alcune
schermaglie sostituiva il presidente, Emilio Morandi, geloso tutore
dell’autonomia dell’organizzazione, con un commissario di propria nomina, e
procedeva, con la promulgazione della legge Rossoni, dal nome del ministro
proponente, ad una riforma radicale dello statuto dell’organizzazione. Da
libere cooperative, i consorzi agrari divenivano strumenti della politica
agraria governativa, da agenzia centrale dipendente dal consenso della
periferia consortile, la Federconsorzi veniva trasformata nel centro di
controllo della vita dei consorzi provinciali: nel nuovo clima autoritario i
rapporti tra centro e periferia venivano specularmente invertiti.
Con rapporti di autorità opposti a quelli delle origini l’organizzazione
era ereditata dal regime democratico che nasceva nel dopoguerra. Dopo un
periodo di equilibri incerti, in cui un comunista, l’avvocato Spezzano, sedeva
a capo dell’organizzazione, alla sua guida si insediavano gli uomini della
Confederazione nazionale dei coltivatori diretti, l’organizzazione creata da
Paolo Bonomi utilizzando gli uomini migliori delle organizzazioni fasciste
dell’agricoltura. Conquistato l’apparato federconsortile la Coldiretti si
preoccupava che i rapporti tra Federconsorzi e consorzi agrari mantenessero
l’impronta gerarchica assunta nel periodo tra le due guerre. Lo scopo veniva
raggiunto mediante tre ordini di strumenti:
1) la
nomina, da parte delle assemblee provinciali dei consorzi agrari, nelle quali
l’organizzazione bonomiana godeva di larga maggioranza, di consigli di
amministrazione che non turbassero l’attività del vertice romano;
2) la
fissazione della regola, sancita dall’art. 22 dell’allegato I del decreto
legislativo 7 maggio 1948, n° 1232, che ristrutturava l’organizzazione
federconsortile, che imponeva che i direttori dei consorzi agrari fossero
scelti da un albo controllato dalla Federconsorzi;
3) una
strategia commerciale che addossava ai consorzi oneri finanziari di entità tale
da renderli dipendenti alla manovra del centro.
Nel torpore della base sociale, tutti i rapporti tra
l’organizzazione e il mondo agricolo si riducevano a quelli tra il vertice
aziendale e la dirigenza della Coldiretti, alla quale fonti informate sostengono
che l’organizzazione federconsortile abbia fornito per venticinque anni gli imponenti
mezzi necessari a mantenere una rete organizzativa estesa a tutte le campagne
del Paese. Ogni rapporto sociale tra gli agricoltori e i consorzi agrari
locali, già spento durante il regime fascista, costituisce, ormai, mera
formalità: è circostanza nota, ad esempio, che gli elenchi dei soci di non
pochi consorzi agrari comprendano i nomi di agricoltori non più tali in quanto
defunti, emigrati, passati ad attività diverse: qualche revisione di elenchi
avrebbe avuto inizio, pare, in tempi recentissimi. I soci dei consorzi agrari
costituiscono quindi il corpo di azionisti più docile che qualsiasi società
commerciale potesse auspicare: i vivi non meno dei morti. Un’impresa che abbia
veste formale di cooperativa non deve adempiere, infatti, nemmeno all’onere di
distribuire dividendi: può quindi trascurare di realizzarne, o, se li realizzi,
ed è il caso della Federconsorzi, ha libertà di reinvestirli secondo i criteri
del gruppo dirigente, siano quei criteri preoccupazioni aziendalistiche o
opzioni politiche.
Questa libertà di manovra ha svolto un ruolo determinante nel
consentire al vertice dell’azienda le realizzazioni che oggi ne costituiscono
la forza, lo strumento di quel dinamismo commerciale con cui l’organizzazione
ha superato le crisi economiche più faticose conosciute dal Paese.
Per chi ne conosca meno che superficialmente le strutture e le
sfere di attività l’organizzazione consorzi agrari - Federconsorzi costituisce,
un’efficiente macchina commerciale, dotata di impianti di elevato livello
tecnico, di una rete di vendita penetrante, guidata da uno staff manageriale di
livello adeguato alla pluralità di operazioni di una holding la cui attività si
manifesta sui mercati nazionali e su quelli esteri: costituisce ragione di
orgoglio dell’organizzazione annoverare, nel proprio organico, 2.320 tecnici,
agronomi, ingegneri, periti.
Delle capacità economiche dell’organismo si possono proporre
innumerevoli prove, la prima delle quali può consistere nella constatazione che
mentre da vent’anni in Italia tutti gli organismi appartenenti, a titolo
diverso, all’universo del settore economico pubblico, continuano a chiedere
aumenti dei “fondi di dotazione”, per
iniziative che impongono, poi, inevitabilmente, la richiesta di “fondi di
ristrutturazione” per ripianare le perdite della nuova iniziativa, l’organizzazione
federconsortile ha continuato a costruire e a rinnovare impianti di
trasformazione, officine, mangimifici, elevandone, progressivamente, il livello
tecnico ed aumentando, costantemente, il volume di operazioni, utilizzando, per
lo più, mezzi propri: sull’uso, da parte dei consorzi agrari, di fondi Feoga,
si imporrebbe una complessa serie di considerazioni, alcune delle quali imporrebbero
rilievi sulla disinvoltura, il termine è eufemistico, di più di un ministro
dell’agricoltura.
A chi volesse replicare osservando che la crescita dell’organismo
non sarebbe stata difficile, perché realizzata a spese dell’agricoltura, sarebbe
facile rispondere che l’Italia è il paese d’Europa dove fertilizzanti e trattori,
due voci per le quali la Federconsorzi controlla oltre il 50 per cento del
mercato nazionale, registrano i prezzi inferiori, e che per i prodotti diversi,
dalle macchine operatrici agli antiparassitari, con la Federconsorzi competono
sul mercato nazionale i grandi gruppi europei in possesso, per l’esistenza
della Comunità europea, di identici diritti d’azione. E che competono con la
Federconsorzi anche le organizzazioni cooperative, tanto “bianche” quanto
“rosse”, che in settori specifici e in province particolari, hanno strappato
alla Federconsorzi posizioni di rilievo, delle quali la Federconsorzi si è
dimostrata più efficiente in aree e settori diversi.
Il controllo del mercato sul quale conserva, per una gamma
vastissima di prodotti, una preminenza indiscutibile deriva alla Federconsorzi,
come può verificarsi in ogni provincia ove operi un consorzio efficiente, dalla
sostanziale organicità del disegno che collega apparato industriale, rete di
approvvigionamento, rete di vendita, un disegno che si realizza in una
compenetrazione di elementi di centralismo e di dinamismo periferico
corrispondente ai modelli strategici dei grandi gruppi industriali.
Verificata la contraddizione tra la natura statutaria
dell’organismo e la fisionomia che esso ha assunta nel quadro dell’economia
nazionale, non si può non riconoscere le difficoltà che dovrebbe superare
qualsiasi intervento politico sull’organizzazione federconsortile. L’unico
intervento auspicabile dovrebbe essere, infatti, il ristabilimento di
autentiche regole cooperativistiche nella vita dell’intero organismo, senza
comprometterne efficienza e capacità operative, un intervento che imporrebbe
tanta chiarezza quanta certamente non potrebbe rivestire né l’armistizio che si
compisse dopo l’ultima mischia sulle mura dell’ente, né il compromesso
negoziato tra la Democrazia Cristiana e le sinistre all’insegna della
spartizione degli utili della grande holding.
Pare coerente, a proposito, dubitare del diritto dei partiti a
interventi che non fossero di autentica natura giuridica e istituzionale:
legittimati a pretendere la titolarità dell’organizzazione non possono essere
ritenuti, a rigore, che i produttori agricoli, che dell’organismo
federconsortile furono i creatori e che oggi ne sono i clienti: sarebbe ingenuo,
peraltro, sottovalutare le difficoltà a restituire il ruolo di soci a una
moltitudine di operatori che nell’ente non vede, ormai, che una controparte
commerciale.
Un contributo oltremodo modesto si può attendere, del resto, dalle
organizzazioni professionali degli agricoltori, le organizzazioni i cui
rappresentanti siedono nel Consiglio di amministrazione dell’organismo, che sul
problema hanno espresso, negli ultimi decenni, atteggiamenti tanto equivoci quanto
opportunistici: la Coldiretti con la propria gestione verticistica, la
Confagricoltura con la sostanziale connivenza, meno assoluta nella forma, non
nella sostanza durante la gestione di Alfredo Diana. Non possono
certamente riconoscersi, infatti, neppure a quella, tra le confederazioni agrarie,
che moltiplica gli slogan sull’imprenditorialità, propositi e capacità di promuovere
l’assunzione diretta, in chiave cooperativistica, da parte degli agricoltori,
del governo dell’ente.
Titoli di legittimazione maggiori non si possono attribuire all’Alleanza
dei contadini, l’organizzazione agricola di sinistra finora esclusa
dall’amministrazione dell’organismo, impegnata in passato a identificare nella
Federconsorzi un apparato operante secondo i canoni del “parassitismo
monopolistico” stabiliti dai testi del marxismo agrario, assolutamente incapace
di analisi obiettive della gestione dell’insieme Federconsorzi – consorzi
agrari.
Anche chi immaginasse, del resto, la capacità delle forze agricole
di promuovere il ripristino del carattere cooperativistico della Federconsorzi,
non potrebbe sottovalutare i problemi tecnici e di equilibrio aziendale che
l’intervento dovrebbe affrontare. L’anomalia di un complesso di entità
economiche, Federconsorzi, consorzi agrari, società collegate, dal giro di
affari di migliaia di miliardi, fondato su uno statuto cooperativistico, che
opera, da decenni, quale grande società privata, non è contraddizione giuridica
ed economica che si possa immaginare di risolvere senza traumi.
Intervenire su un organismo tanto complesso per imporgli
trasformazioni radicali comporta, non si può nascondere, il rischio di minare
l’efficienza, il pericolo della paralisi, l’eventualità di rendere necessario,
come conseguenza dell’intervento, per consorzi agrari e per Federconsorzi, lo
stanziamento di “fondi di dotazione” dell’entità di quelli con cui il Paese
assicura la continuità “produttiva” di Iri, Eni ed Efim, l’erogazione con cui
ha dovuto chiudere le passività dell’Egam.
Se i ministri dell’agricoltura successivamente demandati del
controllo dell’organismo, testimoni compiacenti della “privatizzazione” che si
è sviluppata contrastata, si fossero meno disinteressati della corrispondenza
tra lo statuto e la prassi operativa, forse l’immenso patrimonio di strumenti e
di capacità manageriali concentrate nell’organismo sarebbe stato diretto, fino
dal dopoguerra, a prestare un contributo più trasparente allo sviluppo
dell’agricoltura italiana, oggi non sussisterebbe il rischio di distruggere,
nella rissa politica in cui non è improbabile che si procederà alla
ristrutturazione, il maggiore strumento operativo sussistente per l’intervento
economico nell’agricoltura nazionale.
1- Salvatore Gatti, Non piove, governo ladro, L’Espresso, 11 lug. 1976
2- Manlio Rossi Doria, Rapporto sulla Federconsorzi, Bari 1963
3-Idomeneo Barbadoro, La Federconsorzi nella politica agraria italiana, Cgil, Roma 1961
4- Leonida Mizzi, Parlano i fatti, Giornale di agricoltura, 2 lug. 1961
5- Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, Consuntivi e programmi dell’Assemblea generale ordinaria dei soci, Roma, 30 apr. 1975
6- Federazione italiana dei consorzi agrari, Consuntivi e programmi all’Assemblea generale ordinaria dei soci, Roma, 30 apr. 1977
Antonio Saltini
Docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e vita. E' autore della Storia delle Scienze Agrarie opera in 7 volumi. www.itempidellaterra.com.
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