di Luigi Mariani
In un commento apparso su Nature Geoscience (Silver, 2014) ed in cui si chiosa una ricerca pubblicata più avanti nella rivista (Reich, 2014), si usa un titolo a mio avviso tendenzioso (“A faulty fertilizer”, che io tradurrei con “Un fertilizzante difettoso” ma si accettano traduzioni migliori, se ne avete…) e nel sottotitolo si precisa che “Elevated levels of CO2 can stimulate photosynthesis in plants and increase their uptake of atmospheric carbon. A five-year study in Minnesota grasslands shows that increased plant uptake of CO2 is restricted by the availability of vital nutrients and water.”
Trattasi della classica “scoperta dell’acqua calda” ma che in tempi di
Anthropogenic Global Warming può essere sbandierata come una nuova acquisizione
della ricerca a tutti coloro che nulla sanno di storia della scienza.
Ricordo allora che già nel 1828 il botanico tedesco Carl Sprengel
enunciò la “legge del minimo” (poi ripresa e divulgata da Justus Liebig) la quale
dice in sostanza che la crescita degli esseri viventi è controllata non
tanto dalla quantità totale delle risorse disponibili quanto dalla risorsa più
scarsa, il cosiddetto fattore limitante (azoto, fosforo, potassio, carbonio o
quant’altro). Un tale concetto è del resto evidente a tutti noi: basta pensare
a che speranza di vita avrebbe un essere umano che fosse alimentato solo di
carboidrati (fonte di carbonio) e senza alcun apporto proteico e vitaminico.
In sostanza dunque la CO2 è un fertilizzante (o meglio un concime,
volendo metter i punti sulle i) ed è in assoluto il più importante dei concimi
in quanto il carbonio costituisce mediamente il 45% della sostanza organica
secca dei vegetali (tabella 1) che essendo organismi autotrofi
fotosintetizzanti alimentano con la loro sostanza organica tutte le catene
alimentari del pianeta.
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