di Luigi Mariani
Leggiamo sul Fatto Quotidiano del 17 dicembre 2014 che “i 22
ristoranti di EXPO2015 sono stati assegnati senza gara alla ditta EATALY di
Oscar Farinetti, ex patron di Unieuro, che opererà in collaborazione con
l’Università delle Scienze Gastronomiche di Pollenzo.
I 20 ristoranti di Eataly
saranno gestiti a turno, un mese ciascuno, da 120 ristoratori italiani, cui andrà il 70 per cento degli incassi. Il
resto a Farinetti, che nei suoi 8 mila metri quadrati si propone di
"esaltare la biodiversità della cucina e dei nostri prodotti
agroalimentari, il nostro vero primato nel mondo".
Questa notizia porta a svariate considerazioni legate anzitutto
all’opportunità per la società EXPO2015 di indire una gara per assegnare i 22
ristoranti. Questo aspetto della questione è ampiamente affrontato dai media ed
in proposito rimandiamo all’articolo di Sonia Colombo sul sito Milano Expo 2015
non senza avere rilevato che un esposto all’autorità anticorruzione ed
un’interrogazione parlamentare (di Sinistra Ecologia e Libertà) mi paiono
segnali più che mai eloquenti.
Importante è soprattutto analizzare il significato culturale della
decisione assunta dalla società EXPO2015 di assegnare i 22 ristoranti
all’accoppiata Eataly-Pollenzo. In proposito l’amministratore delegato di Expo
spa, Giuseppe Sala, spiega che “L’esperienza di EATALY nel settore della
gastronomia é uno dei migliori biglietti da visita con cui possiamo presentare
il nostro Paese durante l’esposizione universale”. E’ questo un discorso ben
radicato nella cultura di Sala, il quale già espresse questo suo afflato nei
confronti di Carlo Petrini, che dell’Università delle Scienze Gastronomiche di
Pollenzo è il fondatore, in occasione di una conferenza di Petrini tenuta a
Milano il 13 maggio 2013, da noi commentata (qui).
A Giuseppe Sala sfugge totalmente il fatto che l’accoppiata
Eataly-Pollenzo rappresenta una componente culturalmente retriva perché fonda
la propria vocazione commerciale su un’idea di sistema agricolo-alimentare
neo-medioevale ed assolutamente non in grado di garantire sicurezza alimentare
e qualità al pianeta. Infatti non si costruisce sicurezza alimentare dicendo no
ad ogni tecnologia in agricoltura (no agli OGM, no ai concimi chimici, no ai
fitofarmaci, non al commercio, ecc.,) ed elevando a valori assoluti modi
arcaici di produzione e distribuzione (si al biologico, si alle agricolture di
prossimità, si al km 0, si alle varietà tradizionali, ecc.). Peraltro questi
“no” e questi “si” costituiscono i pilastri di un pensiero conservatore e luddista,
che negli ultimi vent’anni ha prevalso in una sinistra senz’anima al punto da
adagiarsi sempre più spesso sulle tesi della Coldiretti, come ha posto in
evidenza di recente Gilberto Corbellini in un suo articolo apparso su Wired.
E’ alla sinistra di governo infatti che piace la proposta di
Eataly-Pollenzo e cioè l’idea di prodotti di nicchia venduti a prezzi
esorbitanti perché elevati a simbolo del sistema agro-alimentare italiano. Si
tratta di un errore madornale sul piano strategico in quanto:
- il sistema agricolo-alimentare italiano non si fonda sui prodotti di nicchia, come attesta il fatto che le nostre esportazioni nell’agro-alimentare si reggono oggi sui vini, sui due grana (padano e reggiano) e sui due prosciutti (san Daniele e Parma);
- la garanzia di tipicità dovrebbe basarsi su materie prime di qualità prodotte localmente, fatto questo che proprio i sistemi arcaici propugnati da Eataly-Pollenzo sempre più impediscono di fare. Limitandoci alla sola alimentazione zootecnica si pensi ai vantaggi in termini di quantità e qualità delle produzioni che ci verrebbero dalla coltivazione dei mais OGM BT (che tipicità c’è nei mais ibridi attuali, sempre più inquinati da tossine da funghi?) o dalla coltivazione di soie OGM, che oggi importiamo dall’estero con grandi svantaggi per la nostra bilancia agro-alimentare.
In sostanza dunque il “biglietto da visita” di cui parla Sala si
rivela un modo efficacissimo per negare i valori cui EXPO dovrebbe ispirarsi e
cioè quelli di una sicurezza alimentare globale che sia fondata su “cibi di
qualità stabilita e resi disponibili a tutta l’umanità a prezzi contenuti” e
non su “presunte eccellenze vendute a prezzi esorbitati ad aristocratici
estimatori con poco sale in zucca”.
Risibile appare poi lo slogan recentemente diffuso dai supporter di
Farinetti (fra i quali curiosamente troviamo anche il leghista Salvini) secondo
cui “meglio Eataly che McDonald”. Uno slogan debole per i seguenti motivi:
a) se
i 20 ristoranti fossero stati messi in gara si sarebbe potuto definire un
capitolato che fissasse in modo efficace i desiderata della committenza (in
termini di tipicità, qualità, prezzi, ecc.), per cui chiunque avesse
partecipato alla gara (Mc Donald incluso, perché no) sarebbe stato poi tenuto a
rispettarli;
b) non oso neppure pensare che l’offerta italiana
in fatto di ristorazione o brand di rilevanza internazionale si riduca a Eataly
e Slow Food (così come l’offerta di elettrodomestici non si limita a Unieuro),
ma in ogni caso una gara sarebbe stata l’occasione buona per mettere in luce le
“eccellenze” esistenti in tale ambito;
c) a
dimostrazione di quanto al punto (b) sta il fatto che, come ci segnala il
succitato articolo deI Fatto Quotidiano, “Piero Sassone, presidente di Icif
(Italian Culinary Institute for Fareigners) —ha presentato al presidente
dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone, un esposto in cui denuncia
presunte irregolarità nella gara per la ristorazione al padiglione Italia — si
chiede: "Ma é possibile che a Eataly siamo stati dati due padiglioni
senza gara? Cantone e il Bureau International des Expositions non hanno niente
da eccepire?”.
Il problema concreto che si pone a valle di tale vicenda è che una
gara avrebbe dovuto essere pianificata per tempo e non certo a 120 giorni
dall’apertura dell’EXPO. Andando così le cose, Farinetti finisce davvero per
essere l’unica spiaggia, il che gli consente oggi di maramaldeggiare
minacciando di ritirarsi a fonte delle polemiche che l’assegnazione diretta
hanno inevitabilmente scatenato. E qui sorgono spontanee alcune domande: perché
non si è pensato prima alla gara? perché si è finiti per infilarsi nella trita
logica emergenziale, che tanti guai ha dato e sta dando al nostro Paese?
Non deve infine sfuggire che al fondo di tutto sta un evidente
problema politico: quando la classe politica italiana si renderà conto che
l’agricoltura non è un’attività di nicchia, appannaggio di pochi gruppi di
“clienti” e “portaborse”? Il segnale dato dal Ministro delle Politiche Agrarie
e Forestali, Martina (titolare della delega per EXPO), che nel semestre
italiano di presidenza UE ha organizzato un vertice informale dei Ministri
dell’Agricoltura presso l’Università delle Scienze Gastronomiche di Pollenzo, è
eloquente circa l’attuale visione strategica che la classe politica italiana ha
nei confronti del nostro sistema agricolo-alimentare.
La denuncia della graziosa donazione "premieriale" a un amico e compare
RispondiEliminadi affari è vergogna che non sarebbe tollerata, ritengo, in nessuna repubblica di banane. Articolo, assolutamente tempestivo, di esemplare chiarezza, lucido e assolutamente obiettivo è malinconico esempio di ciò che dovrebbe essere il giornalismo. La prova è,
purtroppo, che nessun giornale si preoccuperà dell'abuso che disonora la
legalità dell'intero paese..