di Alfonso Pascale
Con l’avvio della
discussione parlamentare sulla legge di stabilità si torna a parlare
della Federconsorzi. Si tirano in ballo i famigerati mille miliardi
di lire che Manlio Rossi-Doria nel 1963 - in un meticoloso rapporto
alla Commissione parlamentare d’inchiesta sui limiti della
concorrenza – denunciò essere l’ammontare che lo Stato aveva
speso e la Federconsorzi incamerato, senza che questa presentasse
regolari rendiconti sulla gestione delle attività esercitate per
conto dei pubblici poteri nella politica granaria del dopoguerra.
L’attacco non era tanto rivolto contro l’organizzazione
economica, quanto invece alla Coldiretti e alla Dc, che vennero
individuate come le destinatarie, di fatto, delle ingenti risorse
finanziarie.
Lo scandalo che allora ne
seguì fu uno dei temi di un’infuocata campagna elettorale per le
politiche. E rimase proverbiale la puntata della tribuna elettorale
televisiva in cui un veemente e caustico Gian Carlo Pajetta polemizzò
con la sedia lasciata vuota da Paolo Bonomi. Il capo della Coldiretti
preferì, infatti, fare la parte del convitato di pietra piuttosto
che trovarsi nei panni dell’accusato per l’ammanco denunciato da
Rossi-Doria.
Passarono le elezioni e
il nuovo ministro dell’Agricoltura, Mariano Rumor, senza battere
ciglio, rispose alla Camera che i calcoli di Rossi-Doria non erano
esatti ma non negò l’ammanco: la somma fatta sparire dalle casse
della Federconsorzi senza rendere conto a nessuno non era di mille
miliardi ma solo di 850. Insomma, lo scandalo veniva ammesso ma lo si
accantonò senza un dibattito parlamentare e solo con l’approvazione
frettolosa di una sanatoria che scaricò sullo Stato l’onere degli
interessi a cui avrebbe dovuto far fronte la Federconsorzi. Un costo
che in seguito lieviterà a dismisura fino a raggiungere cifre che
supereranno quelle relative ai consuntivi non approvati dalla Corte
dei Conti.
Dopo cinquant’anni un
tribunale ha decretato l’esigibilità del rimborso di quel costo
senza tener conto che, nel frattempo, la legge 410 del 1999 aveva
sciolto l’organizzazione a seguito del suo commissariamento
avvenuto nel 1991 e del concordato preventivo oggetto di una lunga
vicenda giudiziaria che ancora non si è conclusa. La Corte di
Appello di Roma nel 2010 ha addirittura fissato i criteri per
determinarne l’ammontare.
E così, senza battere
ciglio, si rimuove dalla memoria collettiva del Paese un crac da 6
mila miliardi di lire avvenuto vent’anni prima; una grande
abbuffata a cui avevano partecipato imprenditori, finanzieri e
trafficanti d’ogni risma per acquistare a pochi soldi le aziende,
il patrimonio fondiario ed edilizio della Federazione. Non si
considera quel crollo un colpevole indebolimento dell’intera
agricoltura italiana. Era venuto meno, infatti, un patrimonio
imponente di strumenti economici, la cui mancanza negli anni decisivi
della progressiva apertura dei mercati aveva privato il settore
primario nazionale di una parte rilevante delle strutture
organizzative necessarie per competere, con minori rischi e più
opportunità, con altri Paesi meglio attrezzati del nostro.
L’unica
preoccupazione diventa quella di trovare un marchingegno giuridico –
da inserire in un qualsiasi provvedimento di legge - per dirottare
400 milioni di euro alla Coldiretti. La quale vanta quel credito –
maturato a seguito di un cinquantennio di opachi rapporti tra la
Federconsorzi e lo Stato - per conto di una manciata di consorzi
agrari sopravvissuti al disastro finanziario della casa madre e
pervicacemente risparmiati ad una riforma che li avrebbe dovuto
ricondurli alla forma cooperativa, eliminando una specialità ormai
priva di senso.
Allora l’idea è quella
di ricostituire la Federconsorzi per fare in modo che poi riesca a
pagare i suoi debiti ai consorzi agrari. Ci aveva provato Ugo
Sposetti (Pd), ultimo tesoriere dei Ds, ma il suo emendamento
era stato respinto. Aveva osato di nuovo Antonio D’Alì (Pdl),
con un emendamento alla legge di stabilità dell’anno scorso, ma
anche quel tentativo era andato a vuoto.
A ragione si era fatto
sentire Poletti, presidente dell’Alleanza Cooperative Italiane: “È
un golpe alla giustizia e all’equità sociale del Paese
l’emendamento che porterebbe alla ricostituzione della
Federconsorzi, regalandole 400 milioni di euro di “ammassi” che
verrebbero così sottratti ai suoi creditori e ai produttori agricoli
del paese. Suona come uno sfregio imperdonabile nei confronti delle
famiglie, dei lavoratori e delle imprese che annaspano tra sacrifici
inenarrabili in una crisi senza fine, mentre si rastrellano anche le
monetine per trovare copertura finanziaria alla legge di stabilità
che è all’esame del Parlamento”.
I continui tentativi
andavano a vuoto mentre a ricoprire la carica di presidente della
Coldiretti era Sergio Marini. Il quale sentì il bisogno di
dimettersi benché fosse stato rieletto solo alcuni mesi prima. E
strappandosi le vesti, minacciò di fondare un partito. Nel frattempo
avrebbe dato vita ad una fondazione culturale denominata “Italia
S.p.A”.
Non è trascorso nemmeno
un anno dalle dimissioni e Marini è tornato alla ribalta per
annunciare che è pronto a dare gambe al suo intento. Egli torna alla
carica per annunciare la nascita del "partito della gente",
guarda caso proprio mentre il Parlamento si accinge a discutere la
nuova legge di stabilità.
Anche Paolo Bonomi,
quando la Dc non obbediva ai suoi ordini, minacciava liste autonome
di coltivatori diretti. Ma Aldo Moro non si faceva ricattare e
l’ultima volta, per tutta risposta, promosse Giovanni Marcora al
dicastero agricolo, il democristiano più distante, idealmente e
politicamente, dalla "bonomiana". Si rivelerà il miglior
ministro dell’Agricoltura che l’Italia repubblicana abbia avuto.
Matteo Renzi saprà fare altrettanto?
Sindacalista e
scrittore, già vicepresidente nazionale della Cia (Confederazione Italiana Agricoltori)
e fino al 2011 vicepresidente dell’ istituto Zooprofilatico Sperimentale delle
regioni Lazio e Toscana. Ultima sua fatica letteraria: Radici & Gemme.
La società civile delle campagne dall'Unità ad oggi. www.alfonsopascale.it
.......fra Aldo moro e Matteo Renzi c'è un abisso.....purtroppo.......
RispondiEliminaIl titolo è intrigante e l'argomento merita ma da un autore con questo curriculum mi aspetto ben di più e ben di meglio. Noto una certa, come dire?, reticenza sindacale ad andare fino in fondo nel racconto...
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