di Antonio Saltini
1ª parte
Un ponte tra Oriente e Occidente
La letteratura agraria ha, in Oriente, radici antiche quanto la
scrittura: è dall’età del bronzo, due millenni prima dell’inizio
dell’era cristiana, che le cronache geroglifiche dell’Egitto e le
tavolette cuneiformi della Mesopotamia registrano l’entità dei raccolti,
fissano regole per l’impiego delle acque, per l’assegnazione dei campi
da seminare, sanciscono i rapporti tra le classi sociali che partecipano
alla divisione dei frutti della terra. Le prime espressioni della
letteratura agraria della valle del Nilo, di quelle del Tigri e
dell’Eufrate, costituiscono, peraltro, terreno estraneo alla storia
della letteratura agraria dell’Occidente, tema di interesse più per
l’orientalista che per il cultore dell’agronomia europea.
Nella storia della cultura occidentale ha diritto ad un posto di
rilievo, invece, per l’influenza capitale che è destinata ad esercitare,
la Bibbia, la raccolta dei testi scritti da un popolo dell’Oriente
insediato sulle rive del Mediterraneo, in un paese aperto alle
comunicazioni con l’Occidente, destinato, non soltanto per l’ubicazione
geografica, a esercitare sulla civiltà europea un influsso profondo e
duraturo. Le pagine che nella Bibbia rivestono un significato agronomico
costituiscono, di diritto, il primo capitolo della storia della
letteratura agraria dell’Occidente.
Per il ruolo di sutura della civiltà ebraica tra l’Oriente, dove
l’agricoltura è nata, e l’Europa, ove essa si arricchirà, nei secoli,
degli apporti di tutti i continenti, componendoli con procedure
originali per convertirsi in tecnologia fondata sulla scienza, le pagine
bibliche sulle pratiche agricole costituiscono il preludio
dell’itinerario lungo il quale dalla riflessione sull’impiego delle
risorse naturali maturerà, in Occidente, la scienza agronomica moderna.
L’agricoltura costituisce, peraltro, elemento tanto rilevante della
civiltà ebraica che tutti i libri sacri sono intessuti di precetti,
parafrasi e metafore agricole e pastorali, il cui inventario è stato
realizzato, con meticolosità, fino dall’alba del Novecento, da una
schiera di studiosi. Tra i cento precetti e le cento parabole ispirate
all’agricoltura e all’allevamento pare interessante identificare,
quindi, quelli che testimoniano un’autentica riflessione sui rapporti
tra l’uomo e le risorse naturali oggetto di sfruttamento agricolo, quindi una concezione agronomica, trascurando gli innumerevoli elementi
di conoscenza sulle specie coltivate, vegetali e animali, le pratiche di
coltura e gli strumenti agrari, la cui catalogazione e il cui commento
sono proposti da una più ricca biblioteca.
Isacco manipola la riproduzione ovina
Per reperire, nella Bibbia, la prima pagina significativa per la
storia della coltivazione è sufficiente scorrere il capitolo della
creazione e giungere, al secondo capitolo della Genesi, alla descrizione
del Paradiso, una parola che sappiamo doversi tradurre, letteralmente,
con quella italiana “giardino”: “Prima che nascesse dalla terra ogni
virgulto dei campi, prima che producesse ogni erba nella regione, Dio
non aveva ancora fatto piovere sulla terra, né v’era l’uomo che la
rivoltasse… Aveva piantato Dio da principio un paradiso di delizia, dove
pose l’uomo che aveva formato. E produsse il Signore Iddio dalla terra
ogni legno bello a vedersi, e piacevole a cibarsene…”
Può apparire suggestiva espressione di poesia religiosa:
singolarmente la paleobotanica e l’archeologia hanno dimostrato che
nessuno, tra i centri di origine della coltivazione disposti sui
continenti, fosse dotato di una combinazione di specie vegetali e
animali altrettanto favorevole all’economia umana della regione in cui
la Scrittura colloca il Paradiso, la regione tra il Taunus, il Caucaso e
gli Zagros solcata dal Tigri e dall’Eufrate che gli archeologi hanno
denominato Mezzaluna fertile. In quell’area si sviluppa, al termine
dell’ultima glaciazione, una combinazione di specie vegetali e animali
che offre alle popolazioni di raccoglitori del Mesolitico una sicurezza
alimentare affatto particolare, che favorisce, in Età neolitica, la
nascita di un contesto di coltivazione e allevamento di organicità
ineguagliata sugli altri continenti.
Nelle oasi mesopotamiche crescono naturalmente fichi, melograni,
pistacchi, mandorle, uva e olive, nella steppa circostante branchi di
pecore, capre e bovini selvatici pascolano tra i cereali selvatici: sono
condizioni che è verosimile abbiano assicurato alle genti primitive,
dodici millenni prima dell’Era cristiana, una facilità di reperimento
del cibo che l’uomo non avrebbe più conosciuto nel lungo cammino della
storia, la condizione felice che il testo sacro attribuisce ai
progenitori dopo la creazione. Vegetali e animali del contesto
mesopotamico sono, peraltro, agevolmente assoggettabili alla signoria
umana: è questa la premessa del prendere forma, nella Mezzaluna, di
un’agricoltura evoluta in significativo anticipo su quella dell’Asia
orientale e dell’America centromeridionale, quell’agricoltura che
alimenta, già nel quarto millenio avanti Cristo, autentiche popolose
società urbane.
Proseguendo la lettura della Genesi, giunti al trentesimo capitolo il
cronista ci illustra, nei versi dedicati al soggiorno di Giacobbe
presso Labano, di cui sposa, una dopo l’altra, entrambe le figlie, il
procedimento con cui il nipote di Abramo sottrae al suocero la parte più
cospicua delle greggi che ha contribuito, con la propria accortezza, ad
accrescere. Il giovane desidera fare ritorno, con le mogli, alla terra
del padre, il suocero, che ne ha sperimentato l’abilità a capo dei suoi
pastori, lo prega di restare, chiedendogli cosa desideri come compenso.
“Tu sai come ti ho servito, e quanto grande sia divenuta la tua
ricchezza nelle mie mani – risponde il giovane pastore –; prima che
arrivassi da te avevi poco, ora sei diventato ricco: il Signore ti ha
benedetto al mio arrivo. È giusto che provveda un poco anche alla mia
casa. Rispose Labano: Cosa ti darò? E l’altro: non voglio nulla, ma se
farai quello che chiedo, pascolerò ancora le tue pecore. Volgi i tuoi
greggi, e separa tutte le pecore variegate e pezzate, e tutto ciò che
sia bruno, maculato e variegato, tanto nelle pecore quanto nelle capre,
sia la mia mercede. Risponderà di me domani la mia giustizia, quando
sarà per te il tempo di verificare il patto, tutto ciò che non sarà
variegato, macchiato e bruno, tanto nelle pecore quanto nelle capre, mi
accuserà di furto. Rispose Labano: Quello che chiedi mi è gradito. E
separò quel giorno le capre, e le pecore, e i capri e gli arieti,
variegati e maculati, e tutto il gregge di un solo colore, cioè di lana
bianca o nera, affidò alle mani dei suoi figli. E pose uno spazio di tre
giorni tra sé e il genero, che pascolava il resto dei suoi greggi.
Prendendo allora Giacobbe verghe verdi di pioppo, di mandorlo, e di
platano, in parte le decorticò, e tolta la corteccia, in quelle che
erano state spogliate apparve il candore, quelle che non erano state
spogliate rimasero verdi, e così il colore ne divenne vario. Le pose nei
canali, dove veniva effusa l’acqua, e quando venivano le greggi
all’abbeverata, e avevano davanti agli occhi le verghe, concepivano
guardandole. Avvenne che nel calore della monta le pecore guardassero le
verghe, e procreassero una progenie maculata, variegata e pezzata di
colore diverso… Così quando le pecore si accoppiavano nella prima
stagione, Giacobbe collocava le verghe sui canali dell’acqua, davanti
agli occhi degli arieti e delle pecore, perché concepissero guardandole,
quando invece la monta era tardiva, o per l’ultimo parto, non le
metteva. E così quelle tardive erano di Labano, quelle della prima
stagione di Giacobbe. L’uomo divenne ricco oltre ogni misura, ed ebbe
molti greggi, servi e serve, cammelli e asini.”
Nella storia delle conoscenze umane è la prima testimonianza
dell’interesse dell’allevatore per individuare la legge della
trasmissione delle caratteristiche degli animali, un fenomeno la cui
comprensione assicurerebbe vantaggi evidenti, che resterà mistero,
tuttavia, fino al crepuscolo dell’Ottocento. La curiosità, tuttavia, e
la scelta dei riproduttori sulla base di una credenza o di un
pregiudizio, non sono, peraltro, scevri di conseguenze, esercitando
sulla morfologia animale un’azione selettiva che, seppure indipendente
dai propositi, può manifestare, soprattutto ove sia persistente,
conseguenze anche cospicue. Qualsiasi siano i criteri con cui,
sostituendosi alla selezione naturale, il pastore sceglie gli agnelli da
destinare alla riproduzione, il suo intervento altera, infatti, i
meccanismi di ricombinazione dei caratteri genetici delle specie
divenute dimestiche, accrescendo progressivamente la differenza dai
progenitori. L’accorgimento di Giacobbe per ottenere, al parto, pecore
di colore bianco è certamente singolare: non saranno essenzialmente
diversi, pealtro, gli espedienti che suggerirà, per controllare i
caratteri del frutto del concepimento, il maggiore filosofo
dell’antichità, Aristotele.
Propone un elemento accessorio di interesse, nell’episodio della
Genesi, la menzione dei canali impiegati per l’abbeverata, che possono
essere le semplici conche attorno ad un pozzo, la fonte più semplice di
acqua nella regione mesopotamica, ma possono essere altresì canali di
derivazione da un corso d’acqua. Piuttosto che alla pastorizia il
canale, se di autentico canale si tratta, è legato all’agricoltura,
un’attività che la letteratura storica contrappone, tradizionalmente,
all’allevamento, che nello scenario in cui Giacobbe accudisce alle
greggi del suocero non è elemento antitetico, ma complementare
all’economia del bestiame. All’arrivo di ospiti Abramo, signore di
armenti, nel diciottesimo capitolo della Genesi fa impastare alle
schiave farina per offrire ai visitatori, con il vitello arrosto, una
focaccia di grano: la prova di un’economia ambivalente, che comprende
allevamento e coltivazione. La terra dei patriarchi è il lembo
occidentale della regione che si distende attorno ai Due Fiumi, la
grande Mezzaluna in cui agricoltura e allevamento nascono insieme e
insieme si sviluppano, iscrivendo un fenomeno unico negli annali
dell’umanità, che in nessuno degli altri poli di origine
dell’agricolturaa registrano una connessione altrettanto solida tra
coltivazione e allevamento, quella correlazione che si converte in
binomio inscindibile con l’impiego dei bovini nell’aratura dei campi
destinati ai cereali.
Aggiunge un elemento di interesse alla narrazione del trentesimo
capitolo della Genesi l’inclusione, nel patrimonio di un patriarca, con
le pecore e le schiave, dei cammelli, che non sono originari della
Mesopotamia, ma dell’Asia centrale, la cui presenza tra le specie
domestiche, sulle sponde dei Due Fiumi all’alba del secondo millennio
avanti Cristo, presuppone scambi antichi tra regioni lontane, con la
progressiva traslocazione della specie e la sua adozione, quale mezzo di
trasporto, da parte delle società pastorali della Mezzaluna, che, per
gli spostamenti delle greggi tra pascoli estivi e invernali, necessitano
di un mezzo di trasporto robusto e paziente, due caratteristiche che
non possiede il cavallo, un animale rapido ma impaziente, inadatto al
trasporto dell’oneroso corredo di tende, tappeti, vasellame di cucina,
scorte di cibo, che costituisce la ricchezza di Abramo, di Isacco e dei
loro discendenti.
I patriarchi prevengono il sovrapascolo
Tra i brani della Genesi che propongono notizie ed elementi di
giudizio sui rapporti tra le società mesopotamiche e le risorse naturali
all’alba dell’Età del bronzo il più significativo è costituito dal
racconto del commiato tra Esaù e Giacobbe che, dopo il baratto della
primogenitura per le famose lenticchie, uno dei primi legumi coltivati, e
la fuga del secondogenito, astuto ma timoroso, si rappacificano e
vivono qualche tempo insieme, fino a quando sono proprio le leggi dello
sfruttamento delle risorse a imporne la separazione. “Prese allora Esaù
le sue mogli, i figli e le figlie – leggiamo nel capitolo XXXVI del
primo libbro della Bibbia – e ogni vivente della sua casa, e la
sostanza, e le greggi, e tutto quello che aveva potuto avere nella terra
di Canaan, e se ne andò in un’altra regione, si allontanò da suo
fratello Giacobbe. Infatti erano molto ricchi, e non potevano abitare
insieme: non li sopportava la terra della loro peregrinazione per la
moltitudine delle greggi. E Esaù abitò sul monte Seir, che è Edom.”
L’Onnipotente ha benedetto i due patriarchi assicurando la
prolificità delle loro spose, delle loro schiave, delle loro bestie, che
si sono tanto moltiplicate da non poter più essere ospitate dalla
medesima regione. Nella sua essenzialità, l’evento solleva i nodi
essenziali delle relazioni tra gli uomini, gli spazi geografici, la
vitalità dei manti vegetali da cui dipende l’alimentazione degli
animali, quindi quella dei pastori che degli animali vivono. È stato,
tra il Settecento e l’Ottocento, Robert Malthus a sostenere, per primo,
che la terra non sarebbe capace di sostenere un numero illimitato di
esseri viventi, animali e uomini, spiegando che alle pratiche agrarie di
ogni epoca corrisponderebbe un numero massimo di esseri umani che i
sistemi naturali sarebbero capaci di sostenere: il superamento di quel
limite provocherebbe, inevitabilmente, inedia e malattie, che
ricondurrebbero il numero dei viventi al di sotto del limite violato.
Alla dottrina di Malthus si sono opposti, con uguale calore, gli
esponenti di tutte le professioni cristiane, cattolici e protestanti,
propensi a vedere nell’imperativo divino del primo capitolo della
Genesi, “Moltiplicatevi e popolate la terra” un mandato incondizionato.
La lettura critica del commiato dei due fratelli suggerisce, invece, che
l’esperienza pastorale avrebbe insegnato ai patriarchi che la crescita
di un popolo benedetto dall’Onnipotente può condurlo ad una consistenza
che la terra sulla quale vive non è più in grado di sostenere. Un
accrescimento ulteriore delle bestie e degli uomini produrrebbe il
degrado dei pascoli, quindi il deperimento del bestiame, la povertà
degli uomini6.
Evitando di concentrare nella terra di Canaan un numero di animali
superiore alle sue capacità, i figli di Isacco prevengono, con
accortezza ecologica, il fenomeno degenerativo che botanici e agronomi
definiscono “sovrapascolo”, il processo che si constata, oggi, nelle
regioni pastorali dell’Asia e, soprattutto, dell’Africa. Complessa
sostituzione delle specie pabulari più ricche con specie più rozze, e
meno nutrienti, il sovrapascolo costringe le tribù pastorali che
l’abbiano causato ad eliminare i bovini più esigenti, per allevare
ovini, quindi a sostituire gli ovini con i caprini, che, rodendo anche
le radici delle erbe, predispongono il terreno alla depredazione del
vento, premessa, nelle aree subtropicali, della conversione di una
steppa erbosa in deserto.
Contro le interpretazioni di Malthus di chi non ne ha mai letto il
testo, il limite oltre il quale il popolamento di una regione travalica
le potenzialità delle risorse alimentari non è, per l’economista
inglese, vincolo assoluto, è, piuttosto, limite relativo. Esaù e
Giacobbe si separano non tanto perché la terra di Canaan sia incapace di
sostenere una popolazione superiore all’entità di due piccole tribù di
pastori, complessivamente alcune centinaia di esseri umani e qualche
decina di migliaia di pecore, vacche e cammelli, ma perché le pratiche
di allevamento e di coltivazione che quelle tribù praticano non
consentono di ricavare, da quella terra, alimenti per un numero maggiore
di esseri viventi. Trasformate le convalli in arativi, quella terra può
mantenere una popolazione senza confronto superiore: consterà di
centinaia di migliaia di persone la popolazione della Palestina al tempo
di Davide e sarà, forse, ancora maggiore al tempo del censimento di
Augusto.
Ma ad ogni stadio delle pratiche agrarie corrisponde un limite, che
l’evoluzione della tecnologia sposta lentamente, secondo una
progressione alquanto più lenta di quella che è capace di realizzare una
popolazione priva di vincoli alimentari. Elidendone le asserzioni
accessorie, il teorema di Malthus si riduce alla constatazione che la
produzione di alimenti si è sempre sviluppata, storicamente, ad un ritmo
più lento di quello secondo cui si moltiplicherebbe la popolazione
umana ove non lo impedisse la carenza di cibo.
Paradossalemente, dimostra la congruenza del teorema il popolamento
attuale della Palestina, dove la ricomposizione della diaspora biblica
ha raccolto cinque milioni di persone in una regione in cui la
tecnologia agronomica più progredita è incapace di alimentarne, per
l’esiguità delle superfici e le carenze di acqua, un numero superiore
alla metà, tanto che solo la massiccia importazione di cereali americani
consente di nutrire un paese la cui popolazione ha perduto ogni
rapporto biologico con le risorse naturali. Ma sul piano planetario i
cereali che può acquistare un paese in possesso di valuta estera sono
sottratti ai paesi dove all’inedia si associa l’impossibilità di
acquistare quanto non si può, o non si sa, ottenere dalla terra.
Antonio Saltini
Già docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e Vita.
E' autore della Storia delle Scienze Agrarie, l’ultima edizione dell’opera, in sette volumi pubblicati tra il 2010 e il 2013, è ora proposta in lingua inglese "Agrarian Sciences in the West". Tale opera, per la ricchezza dei contenuti e dell'iconografia, costituisce un autentico unicum nel panorama editoriale mondiale, prestandosi in modo egregio a divulgare in tutto il mondo la storia del pensiero agronomico occidentale
Antonio Saltini
Già docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e Vita.
E' autore della Storia delle Scienze Agrarie, l’ultima edizione dell’opera, in sette volumi pubblicati tra il 2010 e il 2013, è ora proposta in lingua inglese "Agrarian Sciences in the West". Tale opera, per la ricchezza dei contenuti e dell'iconografia, costituisce un autentico unicum nel panorama editoriale mondiale, prestandosi in modo egregio a divulgare in tutto il mondo la storia del pensiero agronomico occidentale
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