venerdì 24 ottobre 2014

Improbabili difensori della terra


di Luigi Mariani




L’amico Francesco Marino mi ha chiesto un contributo in merito al Salone del Gusto 2014, che si tiene a Torino dal 23 al 27 ottobre 2014. Francamente mi risulta faticoso riproporre l’analisi sinottica di un fenomeno cosi ampio come Slow Food, analisi che il professor Gaetano Forni ed io abbiamo condotto (qui).

Pertanto in questa nota mi limiterò ad analizzare uno spot pubblicitario assai evocativo apparso ieri in un paginone (che suppongo a pagamento) pubblicato dal Corriere della Sera. Nei prossimi mesi ci terrei anche a sviluppare per questo sito un’analisi di uno dei pilastri ideologici di Slow Food e cioè l’ideologia della decrescita e della ruralizzazione del filosofo francese Serge Latouche, il quale mira a invertire la mentalità economica corrente fissando una moratoria all’innovazione tecnologica, diminuendo produzione e consumo e ritornando a una società vetero-agricola che lui giudica più sana dell’attuale società capitalistica. Su tale ideologia, che non esito a giudicare aberrante, invito per ora a leggere l’articolo “Il fantasma della decrescita” di Stefano Magni apparso il 3 ottobre su Nuova Bussola Quotidiana (qui)

Il 23 ottobre Lavazza ha occupato un’intera pagina del Corriere della Sera per riportare una foto del fotografo McCurry, in calce alla quale fa’ bella mostra di sé il seguente messaggio <<Benvenuti a tutti i difensori della terra. Per noi i difensori della terra sono tutti quei lavoratori che ogni giorno si impegnano per proteggere le proprie comunità, biodiversità e colture. Li abbiamo voluti celebrare con il calendario “The Earth Defenders” firmato da Steve McCurry che presenteremo a Torino nei giorni del “Salone del gusto e Terra madre” che si terrà dal 23 al 27 ottobre. Allo stesso modo dei lavoratori consideriamo difensori della terra tutti coloro che scelgono il rispetto delle culture e che sanno che l’eccellenza dei prodotti passa attraverso la sostenibilità. I proventi del calendario così come tutto il ricavato di Lavazza al Salone, verranno devoluti per sostenere insieme al nostro partner Slow Food il progetto “10.000 orti per l’Africa”. Un motivo di più per venire a visitarci>>.
Si tratta di un messaggio profondamente demagogico e confezionato su misura per cittadini che hanno da tempo perduto qualunque legame con la terra e che di conseguenza coltivano in modo nostalgico i miti da età dell’oro dell’agricoltura da fame del passato, miti su cui in tanti (Slow Food e non solo…) stanno da anni lucrando. Tali cittadini si sono da tempo scordati che gli europei hanno smesso di patire la fame quando la loro agricoltura ha iniziato a produrre cibo in quantità sufficiente e con requisiti qualitativi minimi garantiti, un risultato questo che si è potuto ottenere nutrendo adeguatamente le piante coltivate, proteggendole dai parassiti, dai patogeni e dalle malerbe con i fitofarmaci, dando loro acqua quando occorre, mettendo a punto un’efficiente catena del freddo per conservare i prodotti e creando un sistema distributivo evoluto. Tale complesso sistema agricolo-alimentare consente oggi di nutrire la popolazione europea in tutta sicurezza ed a prezzi contenuti e perciò meriterebbe di essere esportato nel resto del mondo per alleviare i problemi di  insicurezza alimentare e non di essere sottoposto alla critica feroce di tutti coloro (e Slow Food è in prima fila) che si propongono di sostituirlo con il “buon sistema agricolo-alimentare di una volta”, quello per intenderci che garantiva un’altissima mortalità neonatale, una vita media terribilmente bassa (48 anni nel 1900 contro gli oltre 80 odierni) e cibi unici, non tanto perché migliori di quelli attuali ma perché conditi da tanta fame…
Lo spartiacque fra la demagogia confezionata su misura per cittadini ignoranti ed una vera cultura agronomica sta a mio avviso nella capacità o meno di leggere quantitativamente le esigenze delle piante coltivate. Un esempio spicciolo è il seguente: se da un appezzamento di un ettaro voglio produrre 6 tonnellate (6000 kg) di granella di un ottimo grano duro da pasta (e dunque con il 13% di proteine, che sono poi pari a 13/6.25=2% di azoto), debbo far in modo che il mio grano riceva attraverso le radici e nel momento in cui gli è più necessario (al Nord fra fine febbraio e inizio maggio) 6000 kg x 0.02=120 kg di azoto. Il problema è che tutto questo azoto non lo posso ottenere dall’humus (che al massimo potrà cedere 30/40 kg di azoto e non sempre quando occorre alla pianta).
Pertanto o l’agricoltore si rassegna ad affamare la sua coltura, ottenendo così un prodotto a basso tenore d’azoto e dunque atto a produrre pasta di qualità scadente, oppure farà ricorso a concimi di sintesi che, contrariamente a quanto sostiene il "sociologo" Carlo Petrini, tanto terribili non sono, trattandosi di solito di urea, la stessa molecola presente nella nostra urina, o di ammoniaca che dall’urea deriva.
Se non avessimo i concimi di sintesi la produzione agricola mondiale si ridurrebbe in modo sostanziale rispetto a quella odierna ed il risultato sarebbe una catastrofe alimentare di cui patirebbero in primis i paesi in via di sviluppo. Il cittadino di queste cose nulla sa e nulla vuol sapere perché da sempre gli viene insegnato a considerarle futili o banali e dunque cade irrimediabilmente nella trappola degli slogan improntati al cibo naturale, al rifiuto della chimica, alle agricolture a chilometro 0, al cibo biologico e perciò puro, ai buoni cibi di una volta, ecc. ecc.
Ma come avrebbe dovuto essere il messaggio della Lavazza citato all’inizio per risultare corretto sul piano agronomico ed efficace sul piano pratico? Il messaggio avrebbe dovuto a mio avviso essere mirato allo sviluppo di un sistema agricolo efficiente ed efficace in Africa in termini di:
- filiera a monte del campo (imprese per la produzione dei macchinari e dei mezzi tecnici),
- produzione di campo basata su una genetica moderna (OGM inclusi, che fra l’alto consentirebbero di ridurre drasticamente l’uso di fitofarmaci) e su tecniche colturali allo stato dell’arte (concimazione, diserbo, interventi fitosanitari, irrigazione e così via)
- filiera a valle basata su moderne tecniche di conservazione dei prodotti (in gran parte dell’Africa manca l’energia e dunque non può esservi una catena del freddo) e di trasformazione e commercializzazione dei prodotti stessi, all’ingrosso ed al dettaglio.
Che c’entrano gli orti con tali obiettivi? Gli africani gli orti familiari li gestiscono benissimo da millenni e si può anzi dire che gli orti li abbiano inventati loro. Tuttavia non è con gli orti che si può risolvere il problema alimentare delle megalopoli, che anche in Africa sono sorte come funghi e che sono ahimè circondate da immani baraccopoli, in cui fare orticoltura è impossibile o quantomeno insalubre (pensate solo alla qualità delle acque usate per irrigare…).
Anche per questo sbaglia di grosso chi pensa di far sviluppare l’agricoltura africana puntando sugli orti, tutt’al più adatti a dare quei prodotti di nicchia che tanto piacciono a Slow food.

Quello che dunque occorrerebbe fare è intensificare anche in Africa l’agricoltura di pieno campo e, a tale riguardo, ricordo che oggi disponiamo di vari esempi di operazioni di trasferimento tecnologico mirato all’intensificazione colturale in terra africana. Ad esempio un modello che mi pare interessante è quello del progetto CATALIST di IFDC ((qui)), finanziato dal ministero degli esteri dell’Olanda e che si propone di catalizzare l’intensificazione rapida del'agricoltura nei paesi in via di sviluppo con lo scopo di favorire la stabilizzazione sociale e ambientale. La prima edizione del progetto (2006-2012) fu dedicata a Ruanda, Burundi e repubblica Democratica del Congo mentre la seconda si svolge in Uganda. Nell’ambito di tale progetto un personaggio simbolo è l’agronoma Sandra Kavira di cui si è già parlato in questo sito (qui).

Insomma, l’invito che verrebbe spontaneo rivolgere alla Lavazza è quello di affidarsi a veri agronomi e non a demagoghi per impostare serie iniziative di cooperazione allo sviluppo. Con l’effimero infatti si costruiscono campagne pubblicitarie vincenti (il Mulino Bianco Barilla ne è un illustre antesignano) ma non si possono certo fondare su basi solide le politiche di promozione dello sviluppo rurale e di sicurezza alimentare.

L’autore ringrazia il professor Gaetano Forni per i consigli in sede di revisione della bozza di questo articolo.



Luigi Mariani  
Docente  di Agrometeorologia all’Università degli Studi di Milano. E' stato Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia, costituita per promuovere questa disciplina  nei settori dell’insegnamento, della ricerca e dei servizi.






Per sfamare il mondo: ostriche , prosciutto, tartufi, .…… la ricetta Slow Food  servita con tanta demagogia.


Salone del Gusto and Terra Madre 2014 Official Preview


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