di Luigi Mariani
Pertanto
in questa nota mi limiterò ad analizzare uno spot pubblicitario
assai evocativo apparso ieri in un paginone (che suppongo a
pagamento) pubblicato dal Corriere della Sera. Nei
prossimi mesi ci terrei anche a sviluppare per questo sito un’analisi
di uno dei pilastri ideologici di Slow Food e cioè l’ideologia
della decrescita e della ruralizzazione del filosofo francese Serge
Latouche, il quale mira a invertire la mentalità economica corrente
fissando una moratoria all’innovazione tecnologica, diminuendo
produzione e consumo e ritornando a una società vetero-agricola che
lui giudica più sana dell’attuale società capitalistica. Su tale
ideologia, che non esito a giudicare aberrante, invito per ora a
leggere l’articolo “Il
fantasma della decrescita” di
Stefano Magni apparso il 3 ottobre su Nuova Bussola Quotidiana (qui)
Il
23 ottobre Lavazza ha occupato
un’intera
pagina del Corriere della Sera per riportare una foto del fotografo
McCurry, in calce alla quale fa’ bella mostra di sé il seguente
messaggio <<Benvenuti
a tutti i difensori della terra. Per noi i difensori della terra sono
tutti quei lavoratori che ogni giorno si impegnano per proteggere le
proprie comunità, biodiversità e colture. Li abbiamo voluti
celebrare con il calendario “The Earth Defenders” firmato da
Steve McCurry che presenteremo a Torino nei giorni del “Salone del
gusto e Terra madre” che si terrà dal 23 al 27 ottobre. Allo
stesso modo dei lavoratori consideriamo difensori della terra tutti
coloro che scelgono il rispetto delle culture e che sanno che
l’eccellenza dei prodotti passa attraverso la sostenibilità. I
proventi del calendario così come tutto il ricavato di Lavazza al
Salone, verranno devoluti per sostenere insieme al nostro partner
Slow Food il progetto “10.000 orti per l’Africa”. Un motivo di
più per venire a visitarci>>.
Si
tratta di un messaggio profondamente demagogico e confezionato su
misura per cittadini che hanno da tempo perduto qualunque legame con
la terra e che di conseguenza coltivano in modo nostalgico i miti da
età dell’oro dell’agricoltura da fame del passato, miti su cui
in tanti (Slow Food e non solo…) stanno da anni lucrando. Tali
cittadini si sono da tempo scordati che gli europei hanno smesso di
patire la fame quando la loro agricoltura ha iniziato a produrre cibo
in quantità sufficiente e con requisiti qualitativi minimi
garantiti, un risultato questo che si è potuto ottenere nutrendo
adeguatamente le piante coltivate, proteggendole dai parassiti, dai
patogeni e dalle malerbe con i fitofarmaci, dando loro acqua quando
occorre, mettendo a punto un’efficiente catena del freddo per
conservare i prodotti e creando un sistema distributivo evoluto.
Tale complesso sistema agricolo-alimentare consente oggi di nutrire
la popolazione europea in tutta sicurezza ed a prezzi contenuti e
perciò meriterebbe di essere esportato nel resto del mondo per
alleviare i problemi di insicurezza alimentare e non di essere
sottoposto alla critica feroce di tutti coloro (e Slow Food è in
prima fila) che si propongono di sostituirlo con il “buon sistema
agricolo-alimentare di una volta”, quello per intenderci che
garantiva un’altissima mortalità neonatale, una vita media
terribilmente bassa (48 anni nel 1900 contro gli oltre 80 odierni) e
cibi unici, non tanto perché migliori di quelli attuali ma perché
conditi da tanta fame…
Lo
spartiacque fra la demagogia confezionata su misura per cittadini
ignoranti ed una vera cultura agronomica sta a mio avviso nella
capacità o meno di leggere quantitativamente le esigenze delle
piante coltivate. Un esempio spicciolo è il seguente: se da un
appezzamento di un ettaro voglio produrre 6 tonnellate (6000 kg) di
granella di un ottimo grano duro da pasta (e dunque con il 13% di
proteine, che sono poi pari a 13/6.25=2% di azoto), debbo far in modo
che il mio grano riceva attraverso le radici e nel momento in cui gli
è più necessario (al Nord fra fine febbraio e inizio maggio) 6000
kg x 0.02=120 kg di azoto. Il problema è che tutto questo azoto non
lo posso ottenere dall’humus (che al massimo potrà cedere 30/40 kg
di azoto e non sempre quando occorre alla pianta).
Pertanto
o l’agricoltore si rassegna ad affamare la sua coltura, ottenendo
così un prodotto a basso tenore d’azoto e dunque atto a produrre
pasta di qualità scadente, oppure farà ricorso a concimi di
sintesi che, contrariamente a quanto sostiene il "sociologo" Carlo
Petrini, tanto terribili non sono, trattandosi di solito di urea, la
stessa molecola presente nella nostra urina, o di ammoniaca che
dall’urea deriva.
Se
non avessimo i concimi di sintesi la produzione agricola mondiale si
ridurrebbe in modo sostanziale rispetto a quella odierna ed il
risultato sarebbe una catastrofe alimentare di cui patirebbero in
primis i paesi in via di sviluppo. Il cittadino di queste cose nulla
sa e nulla vuol sapere perché da sempre gli viene insegnato a
considerarle futili o banali e dunque cade irrimediabilmente nella
trappola degli slogan improntati al cibo naturale, al rifiuto della
chimica, alle agricolture a chilometro 0, al cibo biologico e perciò
puro, ai buoni cibi di una volta, ecc. ecc.
Ma
come avrebbe dovuto essere il messaggio della Lavazza citato
all’inizio per risultare corretto sul piano agronomico ed efficace
sul piano pratico? Il messaggio avrebbe dovuto a mio avviso essere
mirato allo sviluppo di un sistema agricolo efficiente ed efficace in
Africa in termini di:
-
filiera a monte del campo (imprese per la produzione dei macchinari
e dei mezzi tecnici),
-
produzione di campo basata su una genetica moderna (OGM inclusi, che
fra l’alto consentirebbero di ridurre drasticamente l’uso di
fitofarmaci) e su tecniche colturali allo stato dell’arte
(concimazione, diserbo, interventi fitosanitari, irrigazione e così
via)
-
filiera a valle basata su moderne tecniche di conservazione dei
prodotti (in gran parte dell’Africa manca l’energia e dunque non
può esservi una catena del freddo) e di trasformazione e
commercializzazione dei prodotti stessi, all’ingrosso ed al
dettaglio.
Che
c’entrano gli orti con tali obiettivi? Gli africani gli orti
familiari li gestiscono benissimo da millenni e si può anzi dire che
gli orti li abbiano inventati loro. Tuttavia non è con gli orti che
si può risolvere il problema alimentare delle megalopoli, che anche
in Africa sono sorte come funghi e che sono ahimè circondate da
immani baraccopoli, in cui fare orticoltura è impossibile o
quantomeno insalubre (pensate solo alla qualità delle acque usate
per irrigare…).
Anche
per questo sbaglia di grosso chi pensa di far sviluppare
l’agricoltura africana puntando sugli orti, tutt’al più adatti a
dare quei prodotti di nicchia che tanto piacciono a Slow food.
Quello
che dunque occorrerebbe fare è intensificare anche in Africa
l’agricoltura di pieno campo e, a tale riguardo, ricordo che oggi
disponiamo di vari esempi di operazioni di trasferimento tecnologico
mirato all’intensificazione colturale in terra africana. Ad esempio
un modello che mi pare interessante è quello del progetto CATALIST
di IFDC
((qui)),
finanziato dal ministero degli esteri dell’Olanda e che si propone
di catalizzare l’intensificazione rapida del'agricoltura nei paesi
in via di sviluppo con lo scopo di favorire la stabilizzazione
sociale e ambientale. La prima edizione del progetto (2006-2012) fu
dedicata a Ruanda, Burundi e repubblica Democratica del Congo mentre
la seconda si svolge in Uganda. Nell’ambito di tale progetto un
personaggio simbolo è l’agronoma Sandra Kavira di cui si è già
parlato in questo sito (qui).
Insomma,
l’invito che verrebbe spontaneo rivolgere alla Lavazza è quello di
affidarsi a veri agronomi e non a demagoghi per impostare serie
iniziative di cooperazione allo sviluppo. Con l’effimero infatti si
costruiscono campagne pubblicitarie vincenti (il Mulino Bianco
Barilla ne è un illustre antesignano) ma non si possono certo
fondare su basi solide le politiche di promozione dello sviluppo
rurale e di sicurezza alimentare.
L’autore
ringrazia il professor Gaetano Forni per i consigli in sede di
revisione della bozza di questo articolo.
Luigi Mariani
Luigi Mariani
Docente
di
Agrometeorologia all’Università degli Studi di Milano. E' stato Presidente dell’Associazione
Italiana di Agrometeorologia, costituita per promuovere questa disciplina
nei settori dell’insegnamento, della ricerca e dei servizi.
Per sfamare il mondo: ostriche , prosciutto, tartufi, .…… la ricetta Slow Food servita con tanta demagogia.
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