di Luigi Mariani
Nell'ambito della Giornata mondiale dell'ambiente, al Nelson Mandela Forum di Firenze è stato presentato il Dossier "Lavorare e vivere green in Italia"(leggi qui), con la top ten dei cibi che inquinano di più. In particolare il comunicato stampa diffuso dall'Ansa ci informa che secondo Coldiretti «ciliegie cilene, mirtilli argentini e asparagi del Perù salgono sul podio della top ten dei cibi che inquinano perché arrivano sulle tavole degli italiani dopo lunghi viaggi, con conseguente consumo di petrolio ed emissioni di gas serra».
Nella lista dei prodotti a rischio ci sono anche le rose
dell'Ecuador per le quali, sottolinea Coldiretti, «sono state denunciate
anche situazioni di sfruttamento del lavoro, condizioni a rischio per la
salute, messa in pericolo dai numerosi prodotti chimici con cui sono trattati i
fiori e la mancanza di tutele sindacali».
Nell'elenco ci sono poi anche le more del Messico, i
cocomeri del Brasile, i meloni di Guadalupe, i melograni da Israele e i
fagiolini dall'Egitto, «che arrivano sulle tavole - osserva Coldiretti - a
causa della cattiva abitudine di consumare fuori stagione alimenti di cui è
ricca anche l'Italia».
Mi sembra che da questo fiume in piena di contestazioni ai
prodotti di provenienza estera, emergano tre punti chiave che vale la pena di
discutere in dettaglio e cioè la mancanza di sicurezza di tali prodotti, il
fatto che il trasporto inquina ed infine la mancanza di tutele sindacali per i
lavoratori agricoli.
Sul primo tema ricordo che il problema della salubrità del
cibo non dipende solo da dove esso viene prodotto ma anche e soprattutto dei
controlli messi in atto su questo cibo. In altri termini senza controlli anche
il cibo che viene dalla Germania o magari da
Busto Arsizio può essere oltremodo pericoloso. È grazie ai controlli che
fenomeni come quello del vino al metanolo non si sono più ripetuti, ed è sempre
grazie al sistema dei controlli in atto nel nostro Paese che oggi possiamo
consumare con relativa sicurezza le mozzarelle campane prodotte nella tanto
vituperata “terra dei fuochi”. Emblematico in tal senso è il caso dei germogli
di fieno greco prodotti da una filiera biologica nella civilissima Germania e
che nel 2011 produssero 54 morti e oltre 10 mila ricoverati in ospedale. Di
questo evento, oltremodo traumatico e che poteva essere evitato se il sistema
dei controlli avesse funzionato a dovere, si parla pochissimo perché il
“biologico” secondo la vulgata diffusa dalla stessa Coldiretti produce cibi
salubri per definizione.
Circa poi il tema dell'inquinamento che deriverebbe dai
trasporti a distanza del cibo, in linea di massima si può convenire che il
problema sussista. Tuttavia mi domando se oggi noi italiani, primi esportatori mondiali di vino e grandi
esportatori di pasta, prosciutti e formaggio grana, possiamo permetterci
campagne protezionistiche basate sull'inquinamento da trasporto. Se infatti
riteniamo di imporre una moratoria alle importazioni di prodotti da zone remote
del mondo dobbiamo anche tener conto che la cosa sarà presto messa in atto
anche nei confronti dei nostri prodotti, con grande danno per i nostri
produttori e per la nostra stessa bilancia dei pagamenti.
Riguardo poi alle tutele sindacali per i lavoratori, val la
pena di ricordare che si sentono da tempo voci circa il riapparire del
caporalato nelle nostre campagne ed in particolare al sud, nelle zone di
raccolta dei pomodori. Non vorrei che il pomodoro italiano non fosse più
accettato all'estero per tali ragioni...
Circa poi il refrain sull'unicità del cibo italiano, ricordo
che la Bresaola valtellinese (buonissima) è fatta con carne di razze zebuine
che viene dal Brasile, che la nostra pasta (la migliore del mondo) è fatta con
grani australiani o canadesi che hanno spesso qualità superiore rispetto a
quella dei grani italiani e che il nostro bestiame da cui viene il latte per
tanti prodotti tipici è non di rado alimentato con soia OGM prodotta in Brasile
ed Argentina (e qui preciso che ciò non è affatto un male perché il cibo OGM
non ha mai fatto venire il mal di pancia a nessuno).
Pertanto, poiché nel commercio mondale vige la regola
dell'occhio per occhio, è plausibile che prima o poi brasiliani, argentini,
australiani, canadesi, ecc. si mettano a chiedere le royalties su quello che
spacciamo come "cibo italiano" senza che in realtà lo sia fino in fondo,
e che fino in fondo per inciso non potrà mai esserlo se è vero che siamo
ampiamente dipendenti dall'estero per le materie prime con cui tale cibo è
prodotto. Il paradosso è che per divenire autosufficienti in termini di materie
prime alimentari (alimenti zootecnici, grano da pasta, ecc.) dovremmo puntare
sull'innovazione tecnologica (ingegneria genetica, agrotecniche innovative), un
concetto che la Coldiretti vede da sempre come fumo negli occhi e che invece è
stato da tempo recepito da un'organizzazione agricola assai più lungimirante, e
cioè la Confagricoltura.
Vorrei infine fare un piccolo richiamo di tipo morale: il
commercio con l'estero aiuta fortemente i paesi in via di sviluppo ad
affrancarsi dalle situazioni di indigenza in cui spesso si trovano. Pertanto quando
acquisto le ottime pere argentine o cilene (spesso prodotte da nostri
connazionali emigrati) ritengo di fare del bene aiutando quei produttori
agricoli e quelle economie. Queste campagne dei Coldiretti mi sembrano invece
ispirate da tutt'altra filosofia e certo non da carità cristiana nei confronti
dei loro colleghi d'oltre mare.
In ragione di ciò si può esprimere il fondato timore che il
povero Nelson Mandela si sia rivoltato nella tomba nell'udire quanto si è
scritto nel dossier presentato a Firenze. Ma soprattutto bisogna domandarsi se
il Paese organizzatore di Expo 2015 possa rassegnarsi a simili rigurgiti di
protezionismo di bassa lega.
Dipartimento
di Produzione Vegetale - Università degli Studi Milano - See more at:
http://www.orizzontenergia.it/comitato.php?id_comitato=14&titolo=Luigi+Mariani#sthash.2oe2RXzW.dpuf
Solitamente concordo con le opinioni del dott. Mariani. Questa volta però l'affermazione che l'importazione di alimenti dai PMA giovi al loro sviluppo mi sembra azzardata. Vedere il caso Myanmar- persecuzione dei Rohyngia, od i comunicati degli agricoltori cambogiani, che lamentano che i prezzi del loro riso rimangono al livello di sussistenza, ed i profitti vanno tutti ai traders internazionali
RispondiEliminaRagionamento fondamentalmente giusto, le chiusure di mercato non hanno mai aiutato le economie a crescere, specialmente se queste dipendono dall'import di materie prime (come gran parte della nostra economia). Inoltre in termini di impatto ambientale (CO² e altri gas serra), produrre ortaggi fuori stagione in serra riscaldata in Olanda o in Italia non penso sia meno impattante che importare gli stessi da paesi che li producono in pieno campo in controstagione.
RispondiEliminaÈ ancora più impattante la pasta italiana fatta con grani canadesi e venduta in Canada! Questa dovrebbe essere tassata pesantemente poiché distrugge il mercato italiano, in ripresa solo per il bio.
RispondiEliminaA proposito, correggete la fake dei morti x bio in Germania (ritenete i tedeschi così stupidi che dopo una tragedia di quel tipo continuino ad essere il miglior mercato bio? Grazie a certi agronomi italiani, comprano bio dalla Spagna, dalla Romania ma poco dall'Italia...) leggete: http://www.ilfattoalimentare.it/allerta-europa-non-consumare-semi-germogli-fieno-greco-sospetta-http://www.ilfattoalimentare.it/allerta-europa-non-consumare-semi-germogli-fieno-greco-sospetta-contaminazione-escherichia-coli-alto-adige-ritira-commercio.html-escherichia-coli-alto-adige-ritira-commercio.html
Tu ti chiami Anonimo di nome e Vigliacco di cognome vero?
EliminaAltro che fake la notizia dei morti per EC in Germania. L'azienda Gärtnerhof de Bienenbüttel da dove provenivano i semi germogliati era un'azienda biologica.
Informarsi per favore ecco un documento mai confutato: http://www.slate.fr/story/39309/bacterie-tueuse-nichee-graines-germees-allemandes
La pasta italiana prodotta inevitabilmente con parte del grano canadese e rivenduta in Canada è un successo della nostra capacità di trasformatori.
RispondiEliminaIl grano ci costa 30 cent/kg, la pasta la rivendiamo a 150. Quindi ne dovremmo andar fieri, invece continuano da sana tradizione machiavellica le guerre civili e fratricide.
Produciamo 4 milioni di tonnellate di grano, all'industria pastaria grazie al buon nome nel mondo ne occorrono 6 milioni per consentire di mantenere un costante flusso di esportazione.
Dai facciamoci del male, continuiamo a diffamarci da soli
Si sa del resto come starnazzano convinti milioni di webeti semianalfabeti che nella pasta della nota marca ci siano micotossine, gliphosate, cadmio, isotopi radioattivi, geni moderni celiachiogeni, glutine ingrassante e solo tracce di grano, o no?
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiElimina